Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/297


il paradiso 29i

Lezione V

[Il sentimento e il pensiero del divino negli angeli e nei beati.]


Le forme poetiche del Paradiso sono illusorie, rimanendo a distanza dall’oggetto che debbono rappresentare. Cosi quando Dante paragona il cangiamento del volto di Beatrice ad una donna che arrossa per vergogna e poi rimbianca; o quando paragona gli spiriti nuotanti nella luce a’ granelli di polvere o minuzie de’ corpi moventisi in un raggio di sole; quello che ci è di netto è il terreno, ed il celeste rimane in una vaga lontananza. Le forme dunque sono illusioni; l’obbietto da loro rappresentato è anch’esso una illusione, poiché la luce non è l’anima, ma la sua parvenza ed è illusione ancora il cangiamento della luce di colore e d’intensitá. Per ogni dove in cielo è paradiso, la luce è immutabile; Dante è che muta. Quanto piú sale su, tanto piú s’india, e tanto piú i suoi occhi acquistano di vigore; sicché vede le cose celesti piú lucenti, piú belle; e la visione piú chiara gli è indizio ch’egli è salito piú alto, che è cresciuto in virtú.

                                         Siccome per sentir piú dilettanza,
Bene operando l’uom di giorno in giorno
S’accorge che la sua virtú te avanza;
     Sí m’accors’io che il mio girare intorno
Col cielo insieme, avea cresciuto l’arco,
Veggendo quel miraeoi piú adorno.
     

Similmente Beatrice apparisce dapprima in luce temperata, e a poco a poco gli si svela, non essendo i suoi occhi negli infimi gradi del cielo potenti a contemplarla in tutta la sua bellezza. Una volta gli dice che la sua bellezza

                                         Se non si temperasse, tanto splende.
Che il suo mortai podere al suo fulgore
Sarebbe fronda cui tuono scoscende.