Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione VI

Il Paradiso - Lezione VI

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Lezione VI

[Monotonia del sentimento dell’amore.
Sguardo delle anime alla terra: Piccarda e Giustiniano.]


Finché si rimane nel campo delle forme, non si esce dal descrittivo, dalla natura. Bisognava animar queste forme, dar loro sentimenti e pensieri. Questo nella forma spontanea ve l’ho mostrato nell’angelo e nell’uomo. Come le forme si concentrano nella luce, cosí i sentimenti si unificano nell’amore inesausto senza fine, comune a tutti. L’individuo vanisce nel genere; della tragedia rimane il solo coro; suonano, cantano, ballano; ma in quei suoni e in quei canti non vi è niente che si riferisca al tale ed al tale; le luci entrano le une nelle altre; ed il poeta trova parole bizzarre per esprimere questa compenetrazione: «s’inluia», «t’inlei», «intuassi», «immiassi», «s’india» ecc. Che cosa è dunque divenuta l’anima? Un sol calore di molte bragie, un solo odore di molti fiori, l’individuo naufragato nel mare dell’essere.

                                         Cosi un sol calor di molte brage
Si fa sentir, come di molti amori
Usciva solo un suon di quella image.
     

In questa evaporazione del sentimento non trovi piú quella varietá che costituisce la vita interna; e basterá a vedere questa successiva evanescenza della forma, osservando Francesca, Pia e Piccarda. La prima esprime tutte le sue passioni terrene, e vi si innebbria; l’altra le indica appena, ma sono tocchi che ti richiamano tutto il quadro; in Piccarda il terreno è affatto svanito; vi è l’azione, non vi è piú il sentimento.

                                         Uomini poi a mal piú che a bene usi
Fuor mi rapiron della dolce chiostra;
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi.
     
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La bellezza di questo canto è tutta nella prima impressione che riceve Dante alla vista delle anime celesti, che si traduce nella dolcezza e vivacitá dello stile:

                                         O ben creato spirito che a’ rai
Di vita eterna la dolcezza senti,
Che non gustata non s’intende mai,
     Grazioso mi fia se mi contenti
Del nome tuo e della vostra sorte.
     

Ma queste figure monotone si animano all’improvviso quando rivolgono lo sguardo alla terra. Il paradiso si trasforma in una tribuna, dalla quale si ammaestra e si riprende; l’ordine divino diviene come tipo e modello delle cose umane. Innanzi tutto vediamo comparire un sistema generale, che comprende il sistema politico di Dante. È l’impero personificato in Giustiniano ordinatore delle leggi, e giá ricordato nel purgatorio:

                                         Che vai perché ti racconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vuota?
     

«Il pubblico segno», come Dante lo chiama, è l’aquila di cui Giustiniano fa la storia dal punto che lasciò Troia fino a’ tempi di Dante. La storia è rapida in fino a Giulio Cesare, le cui imprese descrive con particolare compiacenza. Calmo e grave, finché narra fatti passati, si anima ad un tratto e si appassiona quando giunge a’ tempi di Dante, dove l’indignazione l’ironia il disprezzo escon fuori:

                                         E non l’abbatta esto Carlo novello
Coi Guelfi suoi; ma tema degli artigli
Che a piú alto leon trasser lo vello.
     Molte fiate giá pianser gli figli
Per la colpa del padre; e non si creda
Che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli.