Lezioni sulla Divina Commedia/Appendice/V. Critica del 'Tipo' e dell'estetica dello Schopenhauer

Appendice - V. Critica del 'Tipo' e dell'estetica dello Schopenhauer

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Appendice - V. Critica del 'Tipo' e dell'estetica dello Schopenhauer
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V

CRITICA DEL «TIPO»
E DELL’ESTETICA DELLO SCHOPENHAUER

Dalla lezione V: Mondo poetico.

Ms. autografo della Bibl. Naz. di Napoli, XVI, C 36.


Il filosofo, se vede un pomo cadere, corre subito con l’animo alla legge che governa quel fatto. Dante nasconde dietro ciascun fatto un’idea, e vuole che noi corriamo da quello a questa, opera con intenzione filosofica e vuole che noi operiamo con la stessa intenzione.

Il poeta procede per l’opposta via. Quando gli si affaccia il generale, lo trasmuta immediatamente in un raggio di sole. Invano vorrebbe persuadere a sé ed agli altri che quel raggio è un semplice velo di quel generale: vedetelo, come vi s’indugia, come l’accarezza, come di un’immagine pullulano altre immagini. L’ingegno piú potente della sua intenzione gli fa una dolce forza, lo gitta nell’obblio, lo ammalia, ed egli cede, tra ingannato e desideroso di lasciarsi ingannare: quella donna dovea essere il modello, ed è divenuta l’amata. Tale è l’obblio di Dante. Comincia con intenzione filosofica, ma come gli apparisce la realtá, le gira intorno invaghito, e vi si appaga, e gode e fa godere: e il concetto? Non lo riconosce piú: aveva in mente una idea; e si trova innanzi una fanciulla. Il concetto è calato nell’immagine,è divenuto l’immagine. Il pittore volea fare una Madonna ed ha fatto una Fornarina. [p. 353 modifica]

Nella forma didascalica ed allegorica il pensiero sta fuori dell’immagine, espresso o sottinteso che sia. Ma il pensiero è come la farfalla. Allettato dallo splendore dell’immagine, gira e gira, finisce col cadervi entro. In questo misterioso connubio muoiono entrambi. L’immagine muore come figura; il pensiero muore come figurato. Muoiono, perché sentono giá in sé le condizioni di una nuova esistenza; il loro morire è il loro nascere. L’immagine diventa idolo, il pensiero diventa ideale, e nella gloriosa metempsicosi nasce la poesia, nasce la persona poetica. L’idolo è l’immagine, che ha ricevuto il pensiero nel suo grembo; l’ideale è il pensiero vivente, fatto anima; la persona è la creatura libera, che ha in se stessa il suo significato. Qui le forme didascalica ed allegorica sono distrutte, e la loro morte è la nascita della poesia. Il popolo greco che ebbe un senso cosí squisito del bello espresse con vivaci fantasie il passaggio da quelle forme imperfette all’arte, dalla sfinge alla coscienza, dal quantitativo al qualitativo. Il pensiero è Pigmalione che nel delirio del desiderio sente la fredda pietra scaldarsi tra le sue braccia ed acquistar moto e senso; è il raggio di sole che anima la statua di Mennone e ne trae suoni melodiosi.

Il mondo dantesco nasce, quando la filosofia diviene creatrice, quando il pensiero, che come figurato è un sottinteso ed un di fuori, cala nella figura e diviene il suo significato e, se posso dir cosí, il suo cervello. L’allegoria muore e la poesia nasce. L’idea sta nell’immagine, come il genere sta nell’individuo. Ora si può dire che comincia la creazione: poiché per rispetto alla poesia tradurre la realtá in concetti è il distruggere, e tradurre i concetti in realtá è il creare. Abbiamo però fin qui un semplice avviamento alla vita, una semplice base. Dico che quando l’idea è fuori dell’oggetto, o non ci è punto vita, o ci è una vita artificiale e subbiettiva. Quando l’idea penetra nell’oggetto, abbiamo giá la condizione della vita, il dato, il supposto. Pure se il genere vi rimane come genere, la vita si arresta nel punto stesso che incomincia, e la condizione che deve produrla rimane come colpita da sterilitá, appunto perché in luogo di rimanere una semplice condizione, si vuol trasformare in [p. 354 modifica]tutto. La forma che vi corrisponde è la personificazione. Cosí Lucia, la Donna gentile ecc. sono semplici generi con un nome di battesimo. Supponete che volendo il poeta rappresentare l’uomo in generale l’avesse chiamato Dante, e che questo Dante non fosse che il puro genere sotto le mentite sembianze dell’individuo, ed avrete la personificazione. Questa forma è il peccato di tutti gl’ingegni mediocri. È una forma, in cui l’allegoria non è ancora oltrepassata, perché, quantunque il figurato stia nella figura, ci sta come figurato, come una generalitá, di cui la figura è il semplice involucro. Il genere non dee chiudersi maestosamente in se stesso, come un Dio ozioso; dee trasformarsi, diventare tipo. Nel genere è la condizione della poesia, nel tipo è la sua culla, è il primo apparire della vita. Forma tipica è per esempio il Tasso del Goethe e la Lia e la Rachele di Dante. Rachele che sta seduta tutto il giorno e mai non torce l’occhio da Dio, è piú che un genere, e meno che un individuo, è un tipo. É il concetto della vita contemplativa, divenuto immagine ed azione, divenuto una persona contemplante, ma una persona in abbozzo, cosí poco realizzata che potresti chiamarla quasi un’idea platonica, cioè il semplice esemplare. Quando il poeta giunge al tipo, ha giá oltrepassata la forma didascalica, l’allegoria e la personificazione, si trova giá nel mondo visibile, prima condizione della poesia. Nel tipo il genere apparisce, acquista una forma. Nel didascalico la forma è una metafora, nell’allegoria è una figura, nel genere è una personificazione. La chiamiamo forma per un abuso di linguaggio, perché veramente non è se non un mezzo artificiale ed esterno per rendere accessibile all’immaginazione il pensiero, da cui rimane distinta. Nel tipo questa dualitá è superata; la forma penetra nell’essenza, s’immedesima col pensiero, il pensiero esiste come forma; non puoi piú spiccare l’uno dall’altra, non puoi neppure piú dire pensiero o forma, come ben puoi nelle forme antecedenti; hai bisogno di un nuovo vocabolo per esprimere questo nuovo essere, quest’uno di due, il tipo.

Nel tipo nasce la persona poetica, ma solo come persona divina, cioè come il permanente nel perpetuo divenire delle cose, sottratto al prima ed al poi, all ’ubi ed al quando, alle passioni ed alle vicissitudini: di che stupendo esempio è la Fortuna di [p. 355 modifica]Dante. La persona tipica è perciò non ancora l’individuo, anzi è la negazione di quello, perché dee essere concepita come species rei, e non come cosa esistente nel tal tempo, nel tal luogo e nelle tali relazioni, che è a dire come individuo. È la negazione dell’individuo, e nondimeno dee prendere faccia d’individuo, non potendo la specie essere rappresentata come specie. Ne nasce l’individuo modello, un individuo astratto, nel quale il differente scompare, e rimane solo il comune. Qui è l’imperfetto, il manchevole di questa forma, non ci è vera unitá. L’individuo ci sta come un semplice mezzo di rappresentazione; l’idea rimane un generale, tfn non-individuo; la forma la prende ad imprestito, non è la sua forma, ed in luogo di adagiarvisi e nascondervisi, tende continuamente a spiccarsene ed a mostrarsi. Cosi il Tasso del Goethe è un prestanome, la copia di una idea, che se ne stacca visibilmente, e spande per entro il componimento la freddezza dell’astrazione.

Gli estetici moderni credono di aver trovato nel tipo la base della poesia, ciò che la distingue dalla pura scienza e dalla pura veritá. E il tipo è divenuto il criterio del critico e il modello del poeta. Il critico, quando gli si fa innanzi un personaggio poetico, lo scioglie immediatamente in tipo e spesso in concetto. Il poeta guarda l’oggetto con occhio di critico, lo analizza, distingue il permanente dal transitorio. Il permanente si scioglie dall’individualitá e gli si presenta in una forma generale, come tipo; l’oggetto che volea rappresentare, è scomparso, è ito a confondersi nel mare dell’essere, nella generalitá del suo tipo, vale a dire è morto. Avendo ora il poeta innanzi non piú l’individuo, ma il tipo, lo esamina, lo determina, ne fa il letto di Procuste, e vi accomoda a viva forma l’oggetto, aggiungendo e tagliando. In questo individuo artificiale, dove tutto è predeterminato, come in un orologio, hai mutilazione ed esagerazione. Quello che ne è risecato, e che il costruttore chiama l’accidente, l’indifferente, il ripugnante ecc. solo perché si trova fuori del suo modello, è pur quello in cui que’ caratteri generali hanno il calore della vita. E come il tipo non si trova mai tutto intero in nessun individuo, ed il poeta vuol pure porvelo tutto, insieme con la mutilazione hai l’esagerazione; ciò che vi è, si trova lí [p. 356 modifica]accumulato e ingrandito: magrezza in certe parti, in certe altre idropisia. L’individuo è falsificato in grazia del tipo; eppur questo chiamano gli estetici con superbo titolo «poesia monumentale».

La filosofia moderna, sorta da un’esagerata reazione contro il materialismo, ha molto conferito a gittare critica e poesia in questo indirizzo. Il concetto, l’ideale, l’intelligibile, l’idea platonica, il tipo, il divino, l’eterno ecc.: ecco le parole favorite della nuova poetica, che sospingono lo stesso genio ad un lavoro puramente intellettuale: poiché queste parole mostrano abbastanza, come l’attenzione è condotta piú specialmente sulle idee. Certo la poetica richiede che il tipo, il divino, l’ideale ecc. sia individuato, incarnato, che il Dio sia fatto uomo; ma questo povero individuo ci sta a pigione, ci sta unicamente come faccia del tipo. Schopenhauer, il quale sorge ora dopo lungo obblio sull’orizzonte, ora che le maggiori stelle della filosofia sono scomparse, è colui che piú logico di tutti ha portato alle sue ultime conseguenze la teorica. Il poeta secondo lui dee nell’individuo considerar solo l’essenziale, il genere di esso, e perciò sua materia sono le idee nel senso platonico, le specie delle cose, sciolte dalla loro temporanea esistenza. E perché il poeta possa salire dalle singole cose alle loro idee, dee egli medesimo sciogliersi dalla sua individualitá, obbliarsi per dir cosí come individuo ed esser genere; allora non gli si presenteranno individui, ma idee, e l’idea è ciò solo che ci è d’interessante nell’individuo. Ora la poesia è appunto il contrario; e se è la morte di qualche cosa, è la morte dell’idea, perdentesi nel particolare, fino a smarrir la coscienza di se stessa, fino ad obbliarsi. Ma nella persona tipica domina l’idea sotto apparenza d’individuo, e lo scopo poetico è raggiunto, quando il lettore in ultimo annulla l’individuo, l’apparenza, e giunge al tipo; e fosse solo il tipo! Ma data la spinta, non ci è piú ritegno, e spesso il lettore passa oltre sino all’idea di quello. Sicché in questo cammino retrivo la poesia odierna per voler troppo idealizzare va a cadere nelle forme didascalica ed allegorica, da cui è uscita la poesia dantesca. Vale a dire, in luogo del mondo vivente ci dá un mondo metaforico, nel quale l’individuo è una vuota forma, un velo, una figura, un paragone, una simulazione...