Lezioni di eloquenza/Lezione I/Trasunto dalla lezione I

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Lezione I - Capitolo VI Lezione II
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TRASUNTO

DALLA LEZIONE I




Dei fondamenti e dei mezzi
della letteratura.


Poichè mi piace di non allontanarmi dai miei principii nel corso di quelle lezioni che imprendo a tesservi, mi pare necessario di prima esporvi quelle regole generali da cui avranno dipendenza i particolari soggetti. Pertanto ridurrò la loro sostanza in poche sentenze, dimostrando in qual modo mi accinga a parlarvi dei fondamenti, e dei mezzi della letteratura.

Ed eccoli a sei sommi Capitoli ridotti.

I. La letteratura è annessa alle facoltà naturali.

II. Le facoltà naturali sono annesse allo studio. [p. 115 modifica] III. Le facoltà naturali e lo studio sono congiunti ai bisogni della società.

IV. I bisogni sono annessi alle verità.

V. La letteratura è annessa alla lingua.

VI. La lingua è annessa allo stile, e lo stile alle facoltà naturali d’ogni individuo.


CAPITOLO I.


La letteratura è annessa alle facoltà naturali.


Le facoltà naturali dipendono dalla sensibilità al piacere e al dolore: queste facoltà sono sottomesse alla ragione, e tanto più delicate in forza della memoria, del desiderio, e della immaginazione.

L’uomo dotato di queste tre facoltà in sommo grado, è il solo atto alla letteratura, valendosi pienamente dell’uso della parola. Chi manca, o è povero di queste doti, non conseguirà mai verace merito letterario.


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CAPITOLO II.


Le facoltà naturali sono annesse allo studio.


Lo studio è riscaldato dal desiderio di accrescere il sapere, dall’ardore dell’anima, che dicesi fantasia. Chi dunque è più capace di sentire, è pur capace di idee più forti, e di applicazione più intensa. Per giovarsi dell’esempio è d’uopo studiare i grandi esemplari, e per creare bisogna sentire del proprio. Si unirà perciò all’esempio de’ grandi modelli lo studio del cuore umano, della natura vivente, senza il quale poco gioverebbero, e la privata contemplazione, e il genio natio.


CAPITOLO III.


Le facoltà naturali e lo studio sono annessi

ai bisogni della società.


Tutte quelle facoltà che dona la natura, presumono bisogni. Ma il bisogno di esercitare le proprie facoltà, sarà nell’uomo attivo a seconda delle circostanze in cui si trova. — Le [p. 117 modifica]distinzioni di stato, di natura e di società, sono inutili declamazioni, perchè la società nasce dalla natura dell’uomo, come la letteratura dalle sue passioni. — L’uso della parola deve mantenere l’equilibrio tra il potere di chi comanda e la docilità di chi obbedisce. Questa alleanza tra la parola e la forza costituisce la persuasione. — Chi non ama la sua patria non può divenire utile letterato mai. I trepidi cittadini sono pertanto dannosi letterati, e il genio chiamato dalla natura deve conoscere ed esaminare le costituzioni sociali, animato dallo spirito patriotico, e leggere nel cuore la filosofia e la politica.


CAPITOLO IV.

I bisogni sono annessi alle verità.

L’uomo così formato ha un leale carattere, che sta tra la severa ragione di stato e la cieca schiavitù, cioè nè pretende, nè troppo concede agli uomini.

Il letterato che tace la verità morirà col suo secolo, o poco dopo. Esso deve far conoscere ed amare la verità con grate pitture, e fantasmi impressivi, ma la verità eterna, che sempre [p. 118 modifica]regna. Pochi ragionano, tutti sentono, dunque il quadro delle passioni sarà lo stile per tutti. E notisi pure, che i pochi ragionatori non sono sempre a ragionar disposti, mentre in ogni ora amano di sentire. Gli scrittori che non hanno conosciuto questo naturale principio, o che lo trascurano nelle loro opere, non ottennero il voto de’ cuori, che è pur quello superiore ad ogni altro di gloria e di fama. Quanti autori per avere voluto troppo finamente limare col gergo della filosofia il parto delle Grazie, dormono dimenticati nelle biblioteche, più rispettati che sentiti; e quanti ancor viventi letterati di corte e di tavolino saranno coi loro nomi seppelliti, in grazia di non saper parlare alla sensibilità degli uomini con quello spirito di verità che diversifica dall’arte, come dalle tenebre la luce.


CAPITOLO V.

La letteratura è annessa alla lingua.

Bisogna pertanto conoscere il valore della parola, il che consiste nella perfetta cognizione di essa.

Tre sono i principali aspetti sotto i quali si deve la parola esaminare: cioè il valore, il [p. 119 modifica]conflato delle idee accessorie, i conflati minimi. Il valore si desume dalle lingue madri. A cagione d’esempio si spiega in Dante la parola fante1 dal verbo latino fari, o fare, fatus, fari (parlare) usato da Cicerone e da Orazio; come pure infante; che nell’infans de’ latini di primitivo senso vuol dire non parlante.

Il conflato delle idee accessorie è da distinguersi negli scritti d’ogni secolo. I conflati minimi che discendono dal suono necessario della parola si giudicano dall’analogia colla cosa che esprimono. Il primo pertanto di questi tre elementi della parola appartiene al giudizio, il secondo alla fantasia, il terzo all’orecchio. Ogni lingua pero ha il suo proprio carattere, come ogni nazione ha una sua particolare fisonomia. Qualunque autore per conseguenza deve studiare e conoscere il carattere esatto, e l’andamento della propria lingua, senza mai osare di violarla con modi stranieri; perchè se gli scrittori volessero a loro piacere innovare, oltre che acquisterebbero aspetto di plagiari, il dubbio renderebbe oscure le espressioni, e la lingua coniata di barbarismo perderebbe a un [p. 120 modifica]tratto la sua beltà, la grazia ed il vigore natio. La necessità di mantenere pura e genuina la lingua del paese ha dato origine alla grammatica, il di cui studio è pure essenziale, quando non si perda nelle quisquiglia del pedantismo.

Ma ogni lingua è soggetta a periodiche modificazioni: ogni lingua ha cioè la sua età, d’onde ne nasce la convenienza di usarla alla moda, del suo secolo, giacchè si scrive perchè gli uomini sentano, e non si sente se non quello che s’intende2.


CAPITOLO VI.


La lingua è annessa allo stile, e lo stile alle facoltà naturali d’ogni individuo3.


Appunto per questo non possono tutti avere la stessa vita ne’ loro pensieri. Sentire nel cuore le passioni là dentro eccitate, ecco la vita del pensiero; ordinarle e colorirle colla lingua, ecco l’idea dello stile. Dunque lo stile non [p. 121 modifica]dipende dalla lingua se non quanto la pittura dal colorito.

Raffaello inferiore a Tiziano nel colorito, ottenne gloria alla costui maggiore, perchè le sue pitture, quantunque meno vivaci ed apparenti all’occhio, penetrano più in fondo del cuore, e più che lo sguardo appagano l’anima. Dunque lo stile non è frutto di regola, se non di quei principii, che dipendono dalla lingua. Quindi il martirio, e il guasto de’ grandi ingegni nelle scuole de’ pedagoghi, che pretendono d’infondere un dato stile pel mezzo delle loro sciocche leggende. Le lodi, e le censure di uno scritto non avranno pertanto principio e fine nella lingua e nella sintassi, come pure spesso avviene tra i moderni Aristarchi. Quella gara poi di volere imitare lo stile altrui, come lasciò scritto Plutarco, sembra partecipare del puerile, come è assolutamente da stolido l’affaticarsi di arrivare lo stile de’ geni inimitabili. Da tutto ciò appare, che lo stile mentre farà la delizia de’ grandi ingegni, sarà sempre il tiranno de’ mediocri, i quali, non avendo di loro proprio che la bassezza e la sterilità, colgono a profuso sudore i frutti dell’altrui terreno, frutti che corrotti nelle proprie loro mani, non gli ottengono, che la fama del ladro. [p. 122 modifica]Dal discernimento del vero, non da altro dipende la forza del sentire, l’esattezza del giudicare, l’intensità nell’operare. Questi sono i principii, sui quali si fonderanno le venture lezioni, perchè costanti ed universali, e perchè in una disciplina qualunque bisogna pur risalire a’ principii.

Il metodo più acconcio di conoscere queste proprietà in noi stessi è quello della sperienza, poichè nelle opere del bello non parlano che gli affetti, e bene scrive Virgilio. =Igneus extollit vigor, et caelestis origo.=

E bene ne lo ha provato la scuola de’ pittori d’Italia, quando si videro i Geni di Natura pure ignoranti delle artificiali leggi del bello, divenir pittori, e i pittori di prima dottori.

La letteratura noi la dividiamo in poetica, storica ed oratoria, in primo luogo noi esamineremo i poemi epici nella vita dell’autore, nei costumi, nella religione, nella politica dei suoi tempi, nella patria, nella filosofia, nella lingua, nello stile onde più chiaro apparisca quanto abbiamo esposto nelle premesse leggi generali. La storia comprenderà gli Autori celebri di ogni secolo, d’ogni nazione, così dicasi dell’oratorio. Per tal modo esaminata dall’essere del bello, sarà del nostro studio dolce la ricompensa, [p. 123 modifica]se riesciremo a trarne utili principii alla patria ed alle muse, poco curando di divenire letterati alla moderna superficiali di corte, giacchè i re puonno ben cingere una fronte di corona d’oro, dell’immortale alloro non mai.

Note

  1. Alla voce fante la Crusca spiega: ― servidore ― ancella ― soldato a piedi — fanciullo — creatura umana — figura da giuoco. Vedi nella seconda parte il Proemio al 1.° canto dell’Iliade.
  2. Per cui Orazio lasciò scritto dell’uso: — Quem penes arbitrium est, et jus et norma loquendi.
  3. L’armonia, il moto ed il colorito delle parole, fanno risultare lo stile — (Ugo Fosc., Traduzione dell’Iliade).