Lezioni accademiche/Lezione nona
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Lezione nona
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IN LODE
DELLE MATTEMATICHE
LEZIONE NONA.
- Acer, et ad palmam per se cursurus honoris,
- Si tamen horteris fortius ibit equus.
Par propriamente un delirio di malinconia, in tutte l’Università d’Europa, se qualcuno lasciata l’affluenza del comun concorso, s’applica alla contemplazione dell’abbandonati Mattematiche. Io confesso di non aver incontrato briga maggiore, ne difficoltà più frequente, che nel dover ogni giorno rispondere all’interrogazione fattami. A che servano queste Mattematiche?
Ecco dunque, che rispondendosi alla curiosità, spero che gl’interroganti saranno astretti a confessare, che con ragione la sapientissima Antichità costumava di farla imparare a’ giovanetti, prima che si applicassero a niun’altra disciplina.
Parvi forse poco benefizio questo Uditori, che mentre voi abbiate un ingegno lucido, fatto da Dio per intendere, ed inclinato per natura alle speculazioni, parvi dico poco benefizio, che si trovi una scienza sì nobile, la quale da se sola sia bastante, per appagare il vostro intelletto, e per dar cibo d’ingegnoso trattenimento alla cupidigia di qualunque curioso speculatore? Che frutto d’interna consolazione stimate voi, che raccolga un animo veramente filosofico, dedito alla cultura d’una scienza, gl’insegnamenti della quale non sono opinioni di Dottori, o fantasie d’uomini, ma beneplaciti Divini, e verità indubitabili, ed eterne? Non troverete una sola proposta nella Geometria, la quale non lasci esquisitamente appagato l’animo di chi l’ha intesa. Non si trova, che ne’ libri classici della Mattematica da due secoli in quà, si sia giammai scoperta un’ombra di fallacia; non per altro, se non perchè le verità Geometriche ritrovate una volta sola, subito che sono scoperte, escludono le contradizioni, e si pongono in possesso dell’eternità. Dovrebbe bastar questo per appagar l’animo d’un vero filosofo, il quale abbia dedicato l’ingegno, non al guadagno, ma alla sapienza. Platone addirato contro Eudosso, ed Archita, perchè non contenti dell’astratte contemplazioni Geometriche, tentavano di propagarle ancora per l’utilità, nelle macchine materiali, alza una voce in Plutarco, ed esclama, sciocchi, ed inetti che siete, e perchè depravate la bellissima Geometria, quasi che ella, ad sui usum corporea mole, & mercenaria indigeat inertia?
Ma che le Mattematiche sieno profittevoli ancora, per l’altre professioni, e primieramente per la Religione, e per la Santa Scrittura; odasi S. Agostino, il quale dà la sentenza favorevole, per la parte nostra. Egli al cap. 16. de Doctrina Christiana asserisce, che per l’ignoranza de’ numeri, e dell’Aritmetica, non erano intese molte cose, le quali con trattati, e in sensi mistici, venivan poste nelle Sacre Carte. Di tuttociò egli apporta vari esempi; ma non contento, trascorre ancora di nuovo nella medesima materia, ed esagera più diffusamente nel cap. 37. questo medesimo argumento. S. Girolamo nell’Epistola 5. del primo Tomo, mostra quanta forza, ed efficacia sia nella scienza de’ numeri, per intender bene certi misteri delle sacre Scritture, per altro assai reconditi, ed astrusi: nel qual luogo ancora soggiunge, che la Geometria apporta molta utilità a’ Teologi, che la posseggono.
S. Agostino nel luogo già citato afferma, che la Teorica musicale (che pure è parte delle Mattematiche) è necessaria a un Dottore Cristiano. Poco dopo nel cap. 19. aggiugne, che i Teologi doverebbero esser con ogni diligenza istrutti nella Geografia. San Gregorio Nazianzeno si diffonde nell’innalzare con applauso di lodi magnifiche, il suo gran Maestro S. Basilio, perchè egli era non ordinariamente perito nella cognizione dell’Astronomia, della Geometria, e della Aritmetica. Ma senza andar ricercando le testimonianze della remota antichità, chiedasi a Gregorio XIII. Pontefice Romano, quanto benefizio abbia ricevuto la Chiesa di Dio dalla scienza dell’Astronomia, e in particolare de’ Mattematici allora viventi. E gli risponderà, come famoso autore della correzione del Calendario, che se le solennità di Cristo Signor Nostro, e le feste de’ Santi Martiri sono oggidì celebrate da Santa Chiesa ne’ lor debiti tempi, e in quei giorni per appunto dell’anno, ne’ quali essi Santi Martiri, o morirono, o nacquero, tutto fu solo benefizio dell’Astronomia. Ella insegnandoci la vera quantità dell’anno, ricondusse colla detrazione di quei dieci giorni, le feste a’ lor tempi dovuti, e insieme rimediò, che non potessero mai più trascorrer per l’avvenire. Questo benefizio si poteva ben chiedere, ma non già impetrare da altra professione, che dalla Mattematica.
Di quanta utilità sia l’Astronomia nella Medicina, nell’Arte Nautica, e nell’Agricoltura non credo, che ad alcuno di voi sia ignoto uditori. Attendete, se i benefizi dell’Astronomia sieno importanti per i vostri interessi. Nella Medicina si tratta della vostra sanità, e della vostra vita; dall’Agricoltura dipendono i nostri alimenti, e le nostre delizie: dall’Arte Nautica le ricchezze, e le comodità di quasi tutti i popoli della terra. La Medicina è piena di precetti, e d’osservazioni Astronomiche. Dell’Agricoltura, e dell’Arte Nautica, si legge nella maravigliosa Georgica
- Propterea tàm sunt Arcturi sydera nobis
- Haedorumque dies servandi, et lucidus anguis,
- Quàm quibus in patriam ventosa per aequora vectis,
- Pontus, et ostriferi fauces tentantur Abydi.
Che diletto apportano le predizioni tanto aggiustate degli Eclissi Celesti? Vedete pure, che per venti, e cent’anni prima s’indovinano i mancamenti del Sole, e della Luna. Vedete che e’ si predice puntualissimante in qual giorno dell’anno, in che ora del giorno, in qual parte del Cielo, a quai Popoli della terra, e per quanta porzione del suo diametro s’oscurerà, o l’uno, o l’altro, che sia de’ Luminari. Non vi pare, che sia una gentil soddisfazione quella, che ci apporta la Geometria? Questa con alcune sue regolette vi dipinge nel piano de’ muri, o in altre superficie, un Oriuolo, al qual siete certi, che renderà obbedienza perpetua in tutti i suoi viaggi, quasi per obbligo, l’istesso Sole. Voi intanto con una figura di poche lineette, prescrivete, per così dire, le leggi al gran Monarca de’ Pianeti, il quale si trova poi costretto a mandar l’ombre sue, non per altre strade, se non per quella, che dallo Scioterico Architetto gli saranno state dipinte, e assegnate.
In quanto a me, non istimo uomo di gusto umano colui, il quale non sente straordinario diletto, in vedere dentro i confini angusti di una stanzuola, epilogata la faccia dell’universa terra, nelle Tavole Geografiche dell’industrioso Settentrione. Rispondi tu diligentissimo Ortelio e dacci ad intendere, se i famosi Piloti d’Olanda, e d’Inghilterra potevan giammai situar l’Isole, e delinear nelle Carte loro, le spiagge de i Continenti, intorno alle quali navigavano, se non erano ajutati dal benefizio dell’Astronomia. Sapete benissimo Uditori, che senza l’uso delle Longitudini, e dell’altezze Polari, sapremmo difficilissimamente, non dico la configurazione di tutta la terra, ma la delineazione della piccolissima Italia.
Mi sovviene d’aver sentito dire da un grand’ingegno, che l’onnipotenza di Dio, compose una volta due Volumi. In uno Dixit, et facta sunt, e questo fu l’Universo. Nell’altro Dixit, et scripta sunt, e questa fu la Scrittura. Che per legger la Bibbia sieno giovevoli le Mattematiche, già sentiste l’opinione di Sant’Agostino, e d’altri Padri. Che per leggere il gran Volume dell’Universo [cioè quel libro, ne i fogli del quale dovrebbe studiarsi la vera filosofia scritta da Dio] sieno necessarie le Mattematiche, quegli se n’accorgerà, il quale con pensieri magnanimi, aspirerà alla gran scienza delle parti integranti, e de i membri massimi di questo gran corpo, che si chiama Mondo. Quando alcuno desiderasse di saper le distanze de’ Pianeti, e delle Stelle, sì fra di loro, come ancora in paragon della terra; quando altri ricercasse le proporzioni delle loro grandezze, ovvero i tempi precisi de’ lor periodici movimenti; se alcuno desiderasse conoscer da se stesso l’ampiezza di questa palla terrena, che giornalmente calpestiamo; se chiedesse onde proceda la varietà delle stagioni; qual sia la causa dell’inuguagliauza de’ giorni, la quale in tanti modi si diversifica secondo le varie obbliquità della sfera.
- Quid tantum oceano properent se tingere soles
- Hiberni; vel quae tarda mora noctibus obstet.
Quando investigasse le precessioni delli Equinozi, i termini degli Eclissi, la trepidazione del firmamento, e cose simili; certo s’accorgerebbe, che l’unico Alfabeto, e i soli caratteri con i quali si legge il gran manoscritto della filosofia Divina nel libro dell’Universo, non sono altro, che quelle misere figure, che vedete ne’ Geometrici elementi.
Qual concetto formereste voi Signori Uditori, della ricchezza d’un Mercante, se vedeste, che i gran Principi, e i Potentati della terra, applicassero tutto l’ingegno proprio, e tutte le forze de’ sudditi, non per impadronirsi della preziosa drapperia di esso, ma solo per conquistarsi qualche minuto frammento di quel braccio, col quale egli misura la ricca suppellettile delle sue mercanzie? Qual concetto dico formereste Uditori, d’un Mercante di questa sorta? Felici voi anime grandi d’Ipparco, e di Tolomeo; i fondachi dove voi esercitavate i traffichi dell’industria ingegnosa, erano i Cieli, e fra le vostre tappezzerie si numeravan le Stelle, ed i Luminari. Questa palla di terra, che pure è la base de’ Regni, ed il fondamento delle Monarchie, non serviva per altro nelle vostre botteghe, fuorche per misurare a semidiametri, gli intervalli delle sfere, e l’adoperavate per pertica delle vostre dimensioni. Povero Alessandro; con che lacrime averebb’egli pianto, se dopo avere scorso con volo trionfale dalla Macedonia fino al Gange, avesse pensato, che la somma del suo faticoso acquisto non era altro, che una particella di quel braccio, e di quella misura, la quale nella ricca officina dell’Astronomia, o si disprezza, o non si stima per altro, che per misurare i broccati, e i fondi d’oro, che eternamente lampeggiano nelle sfere, e nel firmamento.
Che diremo dell’Aritmetica? Si richiederebbe propriamente un’Aritmetico per numerare i benefizi, che ella apporta, non meno a’ contemplativi astratti, che agli economi, e a’ Mercanti applicati. Voi potete far fede ingegnosi maestri d’Algebra qui presenti, quanti problemi, che quasi eccedono la capacità dell’ingegno umano, poi coll’ajuto di quella scienza si svelano, non so, se con maggior diletto, o con maggiore maraviglia. Come sarebbe mai possibile, ne’ commerci della vita civile, non ingannare, o esser ingannato, senza la dottrina del numerare? Qual sapiente avrebbe cuore giammai di svilupparsi dalle lunghe somme de i libri mercantili, da’ calcoli de’ banchieri, dalle Compagnie, da’ Bilanci, dal pareggiamento di Cambi diversissimi? Cose le quali si rendono poi, non solo possibili, ma anco agevoli ad un fanciullo, che abbia l’istruzzione dell’Aritmetica.
Chi non ammira la Meccanica, si può ben dire, che non goda della scena delle maraviglie. Mi par ben deplorabile la miseria de’ nostri tempi, ne’ quali questa facoltà tanto benefica, e tanta maravigliosa, è molto adoperata, ma poco intesa. Non si trova fra le immonde ciurme delle Galere, schiavo tanto inesperto, che non sappia benissimo l’uso dell’argano, e la pratica delle taglie. Ogni Muratore, o Pizzicagnolo, per ignorante che sia, sa l’utilità della leva, e le operazioni della bilancia. Altri per mera pratica, sanno l’uso del misurar le campagne; Altri s’esercitano nell’Architettura mercenaria di Palazzi, e Fortezze. E un Filosofo, e un uomo libero, nato per sapere, non si vergogna quando pensa, che egli non intende quelle cose, e quelle macchine, che ancora, fino gli stessi facchini, sanno adoperare?
Sovvengavi Uditori la memorabil strage, che fece nell’esercito Romano, il fulmine di Siracusa Archimede. Narrano Plutarco, e Livio prove sì eccelse, di quel Meccanico, che appresso i secoli della posterità, troveranno mai sempre più di maraviglia, che di credenza. Lascio l’istorie, perchè son note. Esagera Plutarco lo spavento, e le sconfitte degli oppugnatori Romani in molte forme: finalmente prorompe, che sembrava, che pugnassero contro gl’Iddei. Scrive quell’altro, Habuisset profectò tanto impetu caepta res fortunam, nisi unus homo Syracusis ea tempestate fuisset Archimedes. Dunque un uomo solo vecchierello, ed inerme si giudicava equivalente a una squadra di Dei? Dunque un sol uomo era bastante, per resistere (quasi dissi per vincere) un esercito Romano? Un esercito allevato nelle guerre, assuefatto alle vittorie, trionfatore delle Nazioni, corteggiato dalla fortuna, poi spaventato da un uomo solo? Glorioso Archimede, che nelle rovine della Patria ancora, trionfasti nelle lacrime dell’inimico.
Venga la Geometria, la quale dovrebbe stimarsi, siccome veramente è, la madre, e la Regina di tutte le scienze Mattematiche. Dovremmo riconoscere da lei, tutti i giovamenti, e tutti i diletti, che derivano dall’Aritmetica, e dalla Musica, dall’Astronomia, e dalla Meccanica, e dalla Geografia, dall’Architettura, dall’Optica, e da tutte l’altre figliuole subalternate alla Mattematica famiglia. Ma per toccar qualche suo proprio particolare, quante volte ci occorre il misurar la superficie de’ campi, e la tenuta de’ Poderi? Come spesso si ricerca, quante braccia cube di fabbrica, sieno in un muro? quanto sia il vano, e la capacità di una Casa, o di qualunque vaso, di che figura si sia? quante braccia di terra sieno in un monte da trasportarsi; quante ne fussero in un pozzo, o in un fosso, prima, che fusse lavorato; quant’acqua passi per un fiume in un ora, ovvero in in altro assegnato spazio di tempo. Queste, e moltr’altre simili, son quistioni, che dal solo Geometra, e non da alcun altro professore posson esser sciolte, e determinate. Quante volte accade dover levar piante di Città, di Fortezze, ed anco di Provincie? La Geometria con semplici strumenti vi descriverà la pianta desiderata, ancora quando non possa avvicinarsi al luogo da descriversi. Misurerà coll’occhiate, ed escluderà con la lunghezza dello sguardo, l’attività dell’Artiglierie. Ella dirà l’altezza di quella Rocca, o di quel Castello senza appressarvisi; ella saprà quanto sia il perpendicolo di quel Monte, o il diametro di questo globo, ancorche l’uno, e l’altro stia immerso nell’altissime viscere del terreno. Ella finalmente porterà le misure dovunque arriverà con la vista; e non sarà possibile ne anco all’altissimo Saturno, d’esentarsi dalle dimensioni, della sagacissima Geometria. Lascio star da parte, che se ad alcun de’ viventi, cadesse giammai nell’animo il pensiero di voler vagheggiare la verità (la quale per mio credere, è la più bella fra tutte le figlie dell’onnipotenza) non conviene, che la ricerchi, o speri di vederla giammai tanto presente, e tanto manifesta in altri libri, quanto in quelli della Geometria. Parlo solamente Uditori, de’ libri della sapienza umana, fra le carte de’ quali concedo, che molte volte s’incontrerà qualche vero, ma però come peregrino, e tanto avviluppato nella mistione delle falsità, che l’accompagnano, che l’intelletto speculativo durerà gran fatica a discerner le larve di nebbia, da’ simulacri di verità. Pel contrario ne’ libri della Geometria vedete in ogni foglio, anzi in ogni linea la verità ignuda, la quale vi discuopre nelle figure Geometriche le ricchezze della Natura, e i teatri della maraviglia.
Platone, che al contrario de’ moderni filosofi meritò il cognome non dalla eccellenza, ma dalla divinità, lasciò scritto nel Filebo, ovvero dialogo del sommo bene, che quella scienza, è più degna, e più eccellente d’ogni altra, la quale è più amante della sincerità, e della verità. Proclo nobilissimo scrittore testifica, la Geometria esser utilissima per l’acquisto della filosofia naturale, dell’Etica, e della Dialettica; sapete, che i libri di Platone, e d’Aristotile, cioè de i Principi delle Cattedre, e delle Scuole, son tutti pieni d’esempi mattematici, e però non posson esser intesi perfettamente, se non da chi avrà prima avuto la contraccifera, e l’istruzione della Geometria. L’editto Platonico col quale proibiva l’ingresso della sua famosa Accademia a chi non era Geometra, oggidì è assai più noto, che osservato. L’istesso Platone nel Filebo pronunzia, che tutte le discipline son vili senza le mattematiche Il medesimo nel settimo delle leggi comanda, che le discipline mattematiche debbano impararsi prima di tutte l’altre; ed assegna le ragioni, per le molte, e rilevanti utilità, che esse apportano, non solo per l’apprensione dell’altre arti, ma anco per l’amministrazione della Repubblica, e per lo governo delle Città. Nell’istesso luogo egli afferma, che gli Aritmetici naturalmente sono atti, e idonei a tutte l’altre dottrine: e diffondendosi nelle lodi delle Mattematiche, arriva fino a dire, che quando anco non apportassero utilità alla Repubblica (siccome ne apportano innumerabili) in ogni modo dovrebbero impararsi per questo punto solo, perchè elle corroborano la mente, ed inacutiscono l’ingegno, facendolo idoneo all’apprensione dell’altre Arti liberali. Nel settimo della Repubblica, e nel Timeo, esalta le Matematiche, con encomio superbo, chiamandole, via d’ogni ingenua erudizione. Nell’istesso soggiugne, che l’occhio dell’anima, il quale negli altri studi s’acceca, solo dalle scienze mattematiche viene recreato, ed eccitato alla contemplazione.
Ma che occorre, ch’io vada numerando le testimonianze dell’antichità, che per esser vecchie son deboli? Abbiamo Uditori, freschissimi, e presenti i motivi, che dovrebbero esser efficaci per isvegliare qualsivoglia più neghittoso, e addormentato ingegno. Nominerò solo l’esempio de’ vostri Serenissimi Principi, amatori, e protettori delle Mattematiche; accennerò solo la fresca memoria del nostro famosissimo Galileo, nome benemerito dell’Universo, e consecrato all’eternità. Se l’industria dell’arte, e la fertilità de i campi rendono questa Patria abbondante; se la provvidenza, e l’equità del governo pacifico la fanno felice; se la preminenza d’una favella, e la Monarchia d’una letteratura si degna, la pongono nel soglio della gloria, il solo nome del Galileo era bastante per coronarla di lode, e per renderla immortalmente famosa. Famosa dico anco appresso quelle Nazioni barbare, sopra le quali per l’incapacità dell’idioma, non si estende la plenipotenza litteraria de i tribunali delle vostre Accademie.
Dissi poco Uditori, ma s’io volessi accennare tutto quello, che mi si rappresenta intorno alle Mattematiche, mancherebbe prima l’ordine, che la materia, e perverremmo piuttosto alla nausea, che al compimento. Resta ch’io tronchi la molestia, e il tedio del mio sconcio ragionamento, con offerir l’ossequio di prontissima servitù a tutti quelli, che si compiaceranno d’essermi condiscepoli nello studiare la Geometria. Sarò la cote d’Orazio
Acutum
Reddere quae valeat ferrum expers ipsa secandi.
Io intanto avrò per gloria il poter imparare da tutti; ed in particolare da quelli, che essendo addisciplinati nelle scuole de’ miei famosi Maestri, e predecessori, cooperano ora colla maturità dell’ingegno, all’ornamento della Patria, e godono i frutti della sapienza.