Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XXXVII
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XXXVII.
ALLA STESSA
a Roma
7 giugno (1832)
Mia Marianna,
Quanto mai mi sieno care le tue lettere io non te lo posso esprimere; una viva gioia, una ineffabile gioia mi prende il cuore quando vedo il segnale che una tua lettera è giunta. Debbono però scorrere molte ore prima che io l’abbia in mano, perchè una cosa che si potrebbe quasi prendere dal muro del nostro giardino alla finestra opposta con le mani proprie, fa d’uopo che il mio confidente vada a prenderla di notte per non esser veduto. Poi egli viene in libreria e mi consegna la tua carissima che io apro con una ansietà inesprimibile, ci leggo le care tue parole, poi la pongo sul mio cuore che batte sempre più fortemente quando pensa a te. Oh mia diletta! se dopo domani in luogo di una carovana de’ miei parenti che vengono da Roma, in luogo di andare incontro ad essi potessi gettarmi nelle tue braccia e in quelle di Nina, oh sarei stata felice almeno una volta! che pensiero delizioso è quello in cui, facendo astrazione dal vero, vado sognando ad occhi aperti, di aspettare la mia Marianna, di essere sicura che a momenti devo vederla, devo provare quella felicità tanto desiderata!... e io continuo a delirare più lungamente che posso... poi mi scuoto con un dolore, come quello provato da don Rodrigo, nel Manzoni, al suo destarsi sentendo un male acuto nel fianco, io lo sento nel cuore dopo aver conosciuto che quello era un delirio. Ma così potessi delirar tutti i momenti, chè non sentirei allora tutto il peso di una vita inutile e disperata, e non sentirei nemmeno che tu non sei felice, nè lieta, nè tranquilla!
Con il racconto delle tue fatiche veramente eccessive, dei torti che ti fa il tuo impresario, me lo fai odiare assai assai. Spero che ora avrai riposato e riposerai, ma credo che non sarà vero riposo fin che non sarai libera da colui. Del tuo andare a Corfù, se ne sarai lieta, certo ne godrò anch’io, ma procurerò di reprimere allora quel senso di dolore e di pena che di già sento al pensiero che ti allontani per tanto tempo. Pure farai bene a uscire da questo caos di nequizia in cui ci troviamo, e da cui non mi è dato di uscire per quanto il desideri.
Il giorno di domani è sempre peggiore del giorno di oggi; e noi veramente non ne possiamo più di questa vita di pena e d’incertezza; no, non ne possiamo più! Avrai sentito tutti gli orrori di Ancona, e la morte del Gonfaloniere, e la mutazione di Governo (se questa mutazione è vera, te lo dirò, prima di chiudere la lettera) e gl’insulti, e i trionfi dei liberali, i quali fanno bestemmiare il loro nome, e vergognare che persone onorate portino un nome istesso con essi che appena meritano quello di uomini. Tu che hai veduto le scene di Bologna, non ti prenderai meraviglia di questo, ma è certo che ora il mondo è una cosa molto infame.
E perchè nasconderò a te (come lo vorrei nascondere ad ogni altro) a te che mi hai dato il diritto di chiamarti sorella, e che ti considero sempre come tale, perchè ti nasconderò quel tormento che ci cruccia, e che ci toglie affatto la pace? Ebbene, sappi che ora noi tremiamo che ci accada un giorno di vedere rinnovata in casa nostra la scena di Bordari! La mia mano è convulsa nello scrivere tali parole, e la mia testa si perde perchè è certo che uno di quelli di cui ti parlavo più sopra ha proferito parole tali da far gelare. E vi è da sperare che simili sorta di gente si plachi, o tema di qualche cosa? O mia diletta, prega Iddio per noi, chè se egli non ci aiuta noi siamo perduti.
Abbracciami Nina, e dille che stia pur cheta, che non son io che faccia l’amore con Arturo; — e che, non si accorge che è la Menghini? Sebbene io veda benissimo queste due persone, pure non capisco bene se essa è bella o brutta, se è brava o no, e perciò dimmelo. Io non te lo posso dire, ma immaginalo tu, che sai quanto io ti ami, con quanta tenerezza ti baci e ti abbracci la tua Paolina.