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chè una cosa che si potrebbe quasi prendere dal muro del nostro giardino alla finestra opposta con le mani proprie, fa d’uopo che il mio confidente vada a prenderla di notte per non esser veduto. Poi egli viene in libreria e mi consegna la tua carissima che io apro con una ansietà inesprimibile, ci leggo le care tue parole, poi la pongo sul mio cuore che batte sempre più fortemente quando pensa a te. Oh mia diletta! se dopo domani in luogo di una carovana de’ miei parenti che vengono da Roma, in luogo di andare incontro ad essi potessi gettarmi nelle tue braccia e in quelle di Nina, oh sarei stata felice almeno una volta! che pensiero delizioso è quello in cui, facendo astrazione dal vero, vado sognando ad occhi aperti, di aspettare la mia Marianna, di essere sicura che a momenti devo vederla, devo provare quella felicità tanto desiderata!... e io continuo a delirare più lungamente che posso... poi mi scuoto con un dolore, come quello provato da don Rodrigo, nel Manzoni, al suo destarsi sentendo un male acuto nel fianco, io lo sento nel cuore dopo aver conosciuto che quello era un delirio. Ma così potessi delirar tutti i momenti, chè non sentirei allora tutto il peso di una vita inutile e disperata, e non sentirei nemmeno che tu non sei felice, nè lieta, nè tranquilla!
Con il racconto delle tue fatiche veramente eccessive, dei torti che ti fa il tuo impresario, me lo fai odiare assai assai. Spero che ora avrai riposato e riposerai, ma credo che non sarà vero riposo fin che non sarai libera da colui. Del tuo andare a Corfù, se ne sarai lieta, certo ne godrò