Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XXXIV

XXXIV. A Marianna Brighenti - A Roma

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XXXIII XXXV
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XXXIV.

AD MARIANNA BRIGHENTI

a Roma

... Marzo (1832)

               Marianna mia!

Prima di tutto (solo per non scordarmene)’ mi dica un poco, signorina, s’ella ha conosciuto in Toscana il signor Gustavo Romani, e qual sorta di relazione ella ha avuto seco; ma favorisca di dirmelo, perchè è lungo tempo che ho desiderio di saper quest’affare.

Poi, o mia diletta, io ti abbraccio strettamente, e mi rallegro con te dell’esser giunta costi, spero felicemente. Che te ne pare di codesto paesetto? come ti piace, come t’incanta? Io spero che mi renderai conto delle tue sensazioni, delle impressioni che tante bellezze gigantesche producono sul tuo animo, il quale si deve commuovere alla vista di una terra classica, di una terra che ha prodotto per tanti secoli un popolo che sarà famoso in tutti i tempi. E poi il contrasto fra gli abitatori antichi ed i moderni ti farà ridere, non del riso ordinario, ma piuttosto di quello con cui era solito ridere Democrito — e poi compiangerei noi che diventiamo sempre tanti scheletri per ingrassare codesta canaglia romanesca che si crede essere la regina del mondo. [p. 95 modifica]

Ma tu ti divertirai assai, ne sono sicura, e avrai tempo da vedere tutto, ed ora ti goderai questa primavera che costi è una vera delizia, un incanto. Giacomo non vi ha voluto aspettare; io smanio di sapere se a Firenze lo avete veduto. Dimmelo, o Marianna mia, e se puoi, dimmi cosa fa, cosa spera, come è lieto, come lo ha consolato il vedervi, il vedere tuo padre; non lasciare di dirmelo, per carità.

Egli parti di Roma il 171, non so se voi altri lọ abbiate incontrato per viaggio. Che ne dici dei terremoti di Lombardia? Che disgrazia, che orrore! Avrei tremato che si fosse fatto sentire anche dove eravate voi altre, ma tu nella tua dei 14 non ne fai motto, e ne sono ben contenta.

La vicinanza della Santa Casa pare che ci preservi sempre da questo flagello orribile, anche questa volta noi lo abbbiamo appena sentito.

I nostri affari vanno sempre in un modo.

I Francesi non fanno nessun preparativo di partenza, e già saprai che i Tedeschi sono arrivati a Fano. Le voci che si dicono sono talmente moltiplicate e diverse, che fanno perder la testa.

In Ancona i Francesi hanno voluto il teatro aperto; una sera vi si canta l’opera che si faceva a Fermo nel carnevale, ed una sera vi recita la compagnia comica che avevamo noi, ma i francesi la soffrono impazientemente, poichè vogliono solo sentire la musica. [p. 96 modifica]

Dicono che il teatro è sempre vuoto, chè gli Anconitani non ci vanno punto.

Mi ha fatto veramente ridere il vedere fra quelli che Montresa ha fissati per gli Stati-Uniti, la Saccomani, quella che noi abbiamo sentita cinque anni fa e che faceva rabbia ai Recanatesi, portarla in America e nella capitale degli Stati-Uniti, è cosa veramente ridicola. Ancora non mi hai detto quali sono i tuoi compagni e qual’opera canterai; non sai che di te voglio saper tutto? Ma pur troppo avrai ragione di non scrivermi tanto sollecitamente; lo stordimento in cui devi essere te lo impedirà certo.

Ed io starò aspettando a braccia aperte che tu rinvenga un poco da questo stordimento, affinchè possa scrivermi...

Alla Regnoli ho scritto, e puoi bene immaginarti con quanto affetto dopo che mi hai detto che ti ha ricevuta amorosamente.

Mandami, se ne hai, le stampe che ti hanno fatto a Pisa, e particolarmente l’invito per la tua serata a benefizio.

Bacia Nina per me, e salutami i tuoi genitori. Io non potrò mai arrivare ad esprimere con quanto affetto, con quanta tenerezza io abbracci la mia Marianna.


Nina mia, sii generosa meco. Io dovevo una risposta ad una tua lettera che mi consolò assai (ma già lo sai, che tutte le tue lettere mi sono sempre carissime), pure non te l’ho fatta. Ma non credere che ciò sia provenuto da poco amore, no, non lo credere. Io ti amo sempre [p. 97 modifica]ad un modo, ma se sapessi, Nina mia, la malinconia che mi porta per aria, e tu mi chiedevi che ti scrivessi in modo da farti ridere: ora vedi se ciò era mai possibile. Ma tu che sei veramente buona e allegra, scrivimi, come mi hai promesso, e fa che io sia consolata udendo i divertimenti delle mie amiche, e vedendo com’esse sono liete e felici. Già voi altre sapete che io conto i momenti che passano fra una vostra lettera e l’altra, onde abbiate pietà di me. Addio, Ninetta mia: dammi un bacio, e divertiti anche per me (che in questo momento non posso tenere più gli occhi aperti dall’aver pianto).



  1. V. Epist., lett. 500.