Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XXXV

XXXV. Ad Anna Brighenti - A Roma

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XXXIV XXXVI

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XXXV.

AD ANNA BRIGHENTI

a Roma

14 Aprile (1832)

               Cara Nina

Bisogna sempre ch’io ti repeta che le tue parole mi scendono dolcissime al cuore: a questo cuore che ti ama tanto, che batte più violente mente quando pensa a te, che ti brama felice con un ardore ineffabile, che crede che lo sarai; oh si, lo crede perchè tu lo meriti, o Nina mia. Ma, deh non pensare giammai che la tua amicizia, che quella della cara tua sorella, non sia un balsamo che ristora, che addolcisce tutte le mie piaghe; [p. 98 modifica]senza di voi, ragazze mie, io sarei estremamente più infelice; il pensiero di voi m’infonde una dolcezza di paradiso, e quello delle vostre virtù, delle vostre purissime anime, mi dà coraggio e forza a procurare di migliorarmi, e di essere sempre degna di tanto vostro amore, della vostra tenerezza. Credimi pure, Nina mia, ch’io so apprezzare e valutare per quello che propriamente valgono i sentimenti affettuosi che hai per me, e già sai quanto io ne vada superba.

Non vorrei mai averti afflitta per mia cagione quel giorno in cui ti scrivevo piangevo caldamente; ma non è vero che il pensiero di te non mi consolasse in quel momento, come mi consola sempre. Bisognerebbe ch’io fossi vicina a te per farti vedere quanto mai mi sei cara, ed allora io piangerei assai meno l’acerbità del mio destino. Il mio destino mi fa orrore, cosa ci vuoi fare, Nina mia? omai non si può più cambiare, ed è lungo tempo che io sapevo di essere nel numero copiosissimo di quelli, di cui la vita non consiste più che in desiderii, in speranze destinate a non compiersi mai — pure, potrei dire — contra spem credidi - ma mi sono ingannata, crudelmente ingannata, e questo pensiero mi rende malinconica, e questa malinconia mi fa piangere - poi io mi vergogno del pianto, e dico che la vita è breve: ma come posso dirlo, se i giorni per me sembrano secoli? E non deve essere così, quando in ogni giorno dell’anno al mio destarmi non vedo avanti gli occhi un sol minuto di questo giorno che mi prometta una sensazione piacevole, nemmeno uno? Oh io lo dico sempre, che sfido chiunque, anche [p. 99 modifica]di un animo il più ottuso, il più privo di sentimenti vivaci, che sia capace di vivere questa mia vita per una settimana sola, e pure io non sono intesa, no, non lo sono; ah si, hanno ragione, è vero! Io ho da mangiare quanto voglio, da dormire quanto voglio, posso lavorare e non lavorare se mi piace: non sono innumerabili quelli che si chiamerebbero felicissimi se potessero fare questa mia vita? Dunque sono io che non mi contento mai, che ho dei desideri insaziabili (poichè il mangiare e il dormire non mi contenta), che formo l’infelicità mia, e l’altrui. È vero, io non me ne ero accorta! Se io potessi cambiare questa mia testa e questo mio cuore con la più sciocca testa ed il più freddo cuore che fosse al mondo, lo farei volontieri, e certo sarei allora più felice e più lieta.

E vorrei che tu fossi lieta, Nina mia, e che godessi della tua vita viaggiatrice ed osservatrice che io ti invidio con furore. Non vi è che una voce sola intorno al governo di Roma, e tutti sanno che non può andar peggio. Ci scrive Giacomo che è impossibile l’esprimere il sentimento delizioso ch’egli ha provato entrando a Firenze, e godendo della quiete e della sicurezza che vi regna1 a confronto dei timori e spaventi continui che non poteva far a meno di provare a Roma per i suoi amici. Ed a proposito di Giacomo, ti ringrazio delle sue nuove che mi dai; poi vuoi sentirmi a delirare? senti. [p. 100 modifica]

Egli non ci ha mai scritto di essere in compagnia di Ranieri, e non lo ha mai nominato. Sei ben sicura che questo signore sia napoletano? ch’egli si chiami di cognome Ranieri? ah Nina mia! io mi faccio rossa, perchè il mio delirio ha del ridicolo, e quasi mi pento di essere entrata in questo discorso, e di formare tali sospetti. Ma se questo giovine non è napoletano, se si chiama Ranieri di nome, non di cognome, il mio dubbio potrebbe non esser più si ridicolo. Io ho amato un giovine signore marchegiano, di nome Ranieri, che tre anni sono stava a Bologna; io l’ho amato, tu non puoi immaginare. con quale ardore; io era sua sposa, poichè tutto era combinato, e sebbene egli non fosse ricco, i miei genitori erano condiscesi ai miei desiderii; pure, Nina mia, lo crederesti? io lo ricusai. Ed egli era quale io lo avevo desiderato nei miei sogni; giovine amabilissimo, che io adorava: ma un giorno mi venne un dubbio, egli non me lo seppe sciogliere; e, addio care speranze, addio sogni lusinghieri, addio felicità: io sono rimasta con la sua immagine nel cuore indelebilmente scolpita, e con il crudele dolore di non avere saputo inspirargli quell’amore, che io sentivo per lui, ardente, furioso. Puoi credere se il mio cuore palpita ogni volta che sento il suo nome, e se lo hai fatto palpitare tu con il racconto dell’amico di Giacomo, ch’io mi misi subito in testa che fosse uno solo con quello che fu il mio. Chè se tu sei sicura ch’io m’inganno, dimmelo subito, per pietà. Egli è stato molto infelice dopo quell’epoca; i suoi affari erano rovinati affatto: egli andò a Bologna, poi a Roma; ed è [p. 101 modifica]un pezzo che non so più nulla di lui: me se so ch’egli è felice, quasi lo sono ancor io. Nina mia; non mi burlare; ma brucia questa lettera, essa non val niente. Io sono quasi pazza per il dolore quando si toccano certe corde......, ora che tutto è finito. Addio, Nina mia; amami sempre per carità. Alla mia cara Marianna di mille cose per me; dille che le sue care spiritose parole mi fecero ridere assai, ed ammirarla, sempre più e per il suo cuore e per il suo ingegno. Dille che io la bacio colla più viva effusione dell’animo mio, come faccio con te, Nina cara.



  1. V. Epist., lett. 501.