Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/LXXXV
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LXXXV.
ALLA STESSA
a Modena
25 Maggio (1842)
Mia carissima,
Prima di tutto io mi rallegro con te della riacquistata salute della mamma tua, per la malattia della quale avrete sofferto assai tutti voi altri. Ora, è sperabile che anche la stagione contribuirà a farla viemmeglio confermare in buono stato, e così avrete un’angustia di meno: sulla tua penna è rimasto il male di Mamà. Poi mi rallegro ancora della bontà ed amabilità della vostra principessa Adelgonda (ch’io chiamerei piuttosto, e ho veduto ancora chiamare Aldegonda), le quali doti gioveranno assai a fare amare il governo dei suoi parenti, di cui però non vi potete lamentare certo, voi altri modenesi. È stato sempre mia opinione, una delle cagioni per cui il governo papalino non è molto amato essere questa, che il sovrano non può avere nessuna delle grazie che si attirano l’amore dei sudditi; non gioventù, non bellezza, non affabilità, il grado suo non può esigere che rispetto, e il rispetto non è amore; per questo io ho invidiato sempre il governo secolare, ma.... zitti, non lo diciamo più! Un solo difetto ha questa vostra Principessa, ed è di non amare quello in cui sei tanto brava: oh, dove sono andate tutte le speranze che avevi! Sono pur contenta che non vai a Parigi; ove ti allontanassi dall’Italia, mi parrebbe di perderti, ed io amo di pensare che noi stiamo almeno sotto uno stesso cielo. Non vorrei però che andassi a Forli, dì a papà che non ti ci porti, che stai male in salute, che ti duole il capo, e che hai male al cuore; già sai che adesso l’aneurisma è male di moda; ma il tuo è un aneurisma differente. Adesso io ti racconterò una storia dolente: una storia che ci fa piangere a calde lagrime, e ne abbiamo pianto davvero. Nel mese di aprile è morta l’unica figlia di mio fratello Carlo, Gigia Leopardi, giovanetta di dieci anni in undici, piena di talento, d’ingegno, di qualità amabilissime, e che dava le maggiori speranze, ed è morta nelle braccia dei suoi genitori di un aneurisma al cuore. Poveretti! Essi le hanno chiusi gli occhi, l’hanno posta nella bara, l’hanno involta nel panno funebre e dopo averle dato l’ultimo bacio, l’hanno messa nella tomba essi stessi. Povera Gigia mia! Io non la vedeva più da 5 anni e le voleva tanto bene e le faceva tante carezze! Ma non puoi credere di quanto talento fosse, era una cosa sorprendente. Appena imparò a leggere da piccolina, ha letto sempre, sempre, e i suoi genitori non potevan farle più gradito regalo che comprandole libri, ed infatti la vecchia le portava libri, tutti le donavano libri, ed essa leggeva, leggeva, e non ha finito di leggere che per la morte. Ed è morta come morì il nostro Giacomo, all’improvviso, senza agonia, senza accorgersene punto; ahi! ahi! e ci ha lasciati tutti dolenti, e i suoi genitori non se ne consoleranno mai. Marianna mia, che brutta cosa è questa vita! non si fa che passare di dolore in dolore, di pianto in pianto. Perdona se ti ho raccontato questo avvenimento tanto lugubre che ne ha riempiti tutti di tristezza, ma non ne poteva fare a meno. Già sai che solo con te io apro il mio cuore, tu sola sei capace di consolarmi; ma purtroppo qui non v’ha consolazione. Io credeva che fossi andata a Bologna a sentire lo Stabat, e perchè non vi sei andata? Non sai che non lo sentirai più cantato come allora? Povera Ninì, se incomincia a rivedere tutti i suoi amanti, sarà cosa da farle perdere il capo. Oggi ti spedisco per la posta i sei paoli che hai speso per me, e ti ringrazio della compiacenza che hai avuto nella compra del libro e nel mandarmelo, nel dirne il prezzo hai fatto il tuo dovere. Addio, Marianna mia, addio, mia carissima. Non occorre ch’io ti ripeta quanto mai io ti ami e con te tutti i tuoi.