amare quello in cui sei tanto brava: oh, dove sono andate tutte le speranze che avevi! Sono pur contenta che non vai a Parigi; ove ti allontanassi dall’Italia, mi parrebbe di perderti, ed io amo di pensare che noi stiamo almeno sotto uno stesso cielo. Non vorrei però che andassi a Forli, dì a papà che non ti ci porti, che stai male in salute, che ti duole il capo, e che hai male al cuore; già sai che adesso l’aneurisma è male di moda; ma il tuo è un aneurisma differente. Adesso io ti racconterò una storia dolente: una storia che ci fa piangere a calde lagrime, e ne abbiamo pianto davvero. Nel mese di aprile è morta l’unica figlia di mio fratello Carlo Leopardi, Gigia Leopardi, giovanetta di dieci anni in undici, piena di talento, d’ingegno, di qualità amabilissime, e che dava le maggiori speranze, ed è morta nelle braccia dei suoi genitori di un aneurisma al cuore. Poveretti! Essi le hanno chiusi gli occhi, l’hanno posta nella bara, l’hanno involta nel panno funebre e dopo averle dato l’ultimo bacio, l’hanno messa nella tomba essi stessi. Povera Gigia mia! Io non la vedeva più da 5 anni e le voleva tanto bene e le faceva tante carezze! Ma non puoi credere di quanto talento fosse, era una cosa sorprendente. Appena imparò a leggere da piccolina, ha letto sempre, sempre, e i suoi genitori non potevan farle più gradito regalo che comprandole libri, ed infatti la vecchia le portava libri, tutti le donavano libri, ed essa leggeva, leggeva, e non ha finito di leggere che per la morte. Ed è morta come morì il nostro Giacomo, all’improvviso, senza agonia, senza accorgersene punto; ahi! ahi! e ci ha lasciati