Lettere d'una viaggiatrice/Nella città del sogno/La Morgue (Quello che era)
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LA MORGUE
(QUELLO CHE ERA)
Parigi, giugno.....
Lo stabilimento della Morgue, destinato a ricevere e ad esporre i corpi delle persone morte, di cui l’identità non può essere stabilita o di cui il domicilio è sconosciuto, sorge alle spalle di Nostra Donna di Parigi, nella via dell’Arcivescovado, in quella Cité, dove sono aggruppati tanti vecchi e austeri edifici parigini. La Morgue è una costruzione isolata, su cui sventola la bandiera tricolore francese: al pianterreno, dietro un tamburo di legno, donde si entra e si esce, vi è la sala di esposizione dei cadaveri. Vi sono tre grandi vetrine di cristallo molto forte, ma limpidissimo, dietro le quali vi è, divisa in tre reparti, la fila delle barelle a ruote, in ferro, come lettini senza materassa, in cui sono deposti ed esposti al pubblico, i morti sconosciuti. I tre reparti possono contenere dodici barelle, cioè dodici cadaveri, quattro per parte: per lo più, i due reparti a destra e a sinistra sono chiusi da tende di ferro ed è aperto solo quello di mezzo, con le sue quattro barelle, dietro il gran cristallo chiaro. Fuori, nella sala, vi è una balaustra in ferro, una ringhiera, a cui il pubblico si appoggia, per osservare: se non vi fosse questa ringhiera, nei giorni di grande concorso, il cristallo si spezzerebbe. Anche, in certi minuti orribili, in cui un padre, un marito, un figlio da dietro la ringhiera riconosce il cadavere di suo figlio, di sua moglie, di sua madre, su quelle barelle, avvengono scene violente di dolore, e l’infelice si gitta contro il cristallo, a infrangerlo. Così, come ho detto, sono quasi sempre due o tre o quattro, i cadaveri esposti: quando si arriva a sei o dieci, si è in momenti eccezionali, nel cuore dell’inverno, quando la gente si suicida più facilmente, quando la fame e il freddo uccidono gli sventurati sul lastrico di Parìgi, quando l’asprezza della stagione consiglia il delitto.
Il funzionamento della Morgue procede così: quando nella Senna o per le vie, o dovunque, si trova un cadavere, di cui assolutamente non si sa nulla, che non è riconosciuto da nessuno, che non è reclamato da nessuno, è trasportato alla Morgue. Colà, tre medici ispettori che si danno il turno, coi loro aiutanti, praticano nel cadavere delle iniezioni potenti di conservazione, tanto potenti e perfette che quel cadavere riprende quasi il suo colore naturale, lo avvolgono in una veste di tela oscura e lo depongono sulla barella-carroccio ove deve essere esposto al pubblico: sul cadavere sono collocate le vesti in cui fu trovato, il cappello, il fazzoletto, qualunque altro segno che possa assicurarne l’identità, spesso dei cenci informi scoloriti dall’acqua della Senna, spesso dei cenci bagnati di sangue. Il cadavere giace su questa barella, in attitudine composta: un cerchio di ferro, simile a quello che adoperano i fotografi per mantenere ferme le teste delle loro vittime, solleva la nuca del cadavere e ne rialza il capo talmente, che ve lo vedete, dirimpetto, in modo da aiutare il riconoscimento. Questa esposizione che sembra, nelle sue forme ed è, una cosa atroce, ha ragioni civili e giudiziarie di cui a nessuno sfugge l’importanza.
Nulla è più importante che assodare la identità di un morto sconosciuto, perito per accidente, forse, per suicidio, forse, e forse per delitto. Difatti, sulle quattro pareti della sala di esposizione, vi sono quattro placche di marmo, su cui è scritto, quattro volte: Le public est invité à faire aie bureau du greffe à la Morgue, la déclaration, du noni des individus qa’il pourrait reconnaitre. Cette déclaration n’entraine aucun frais de la part des étrangers, des amis ou de la famille même du defunt, elle est toute gratuite. I cadaveri esposti rimangono dietro la vetrina, sino a che non sieno riconosciuti e identificati: appena avvenuto il riconoscimento, si portano via e si sotterrano, dando il posto ad altri. La Morgue riceve, in media, ogni anno, novecento cadaveri, compresi i feti, i neonati e i frammenti umani. Almeno un settimo di questi cadaveri non è riconosciuto. Alcuni di essi vi rimangono esposti quindici giorni, tre settimane, fino ad un mese e oltre: la preparazione del cadavere è talmente ben fatta, che esso può resistere oltre un mese. Quando assolutamente non si è trovato modo di identificare il cadavere e non si può lasciarlo più esposto, gli si fanno delle fotografie, insieme al suo numero d’ordine: e sotterrato il cadavere, la fotografia resta esposta, insieme ad altre, in un quadro, nella sala pubblica. Alle volte, solo con la fotografia ha luogo il riconoscimento. Quando io vi sono andata, il quadro delle fotografie ne conteneva sette od otto, su cui era impresso il numero d’ordine, la data del ritrovamento: fra quelle sette od otto fotografie, mi colpì la fisonomia di uno di quei morti, un uomo fra i quarantacinque e i cinquanta, fisonomia signorile, capelli e barba tagliati benissimo, un gentiluomo, infine. E non l’hanno mai riconosciuto! I vestiti dei morti riconosciuti, sono restituiti alle famiglie: quelli degli sconosciuti, si bruciano. Fino al 1883 si vendevano: dopo, fu proibita severamente simile turpitudine. La custodia della sala di esposizione è fatta, ordinariamente, da un custode della Morgue: ma quando un delitto sensazionale o qualche accidente drammatico porta alla Morgue dei cadaveri importanti, i sergents de ville debbono sorvegliare la folla dei visitatori e metterla in linea anche fuori la porta, sui marciapiedi e sui ponti. Quando furono scoverti i cadaveri di due bimbi a Suresnes, trentacinquemila curiosi sfilarono, ogni giorno, davanti a quella lugubre esposizione! Il numero dei visitatori fu sensibilmente il medesimo, durante più di un mese. Nei tempi ordinarii, vi erano sempre da venti a quaranta persone, innanzi a quella vetrina: gente di ogni condizione, di ogni età, di ogni fisonomia, ma tutti, più o meno, silenziosi e raccolti, anche i monelli più impertinenti, anche le modistine più vivaci. Si chinavano con un senso di curiosità, di paura, di ribrezzo: e restavano intenti, taciturni. Certe faccie scialbe ed equivoche si notavano. Chi sa! Parenti viziosi e crudeli che avevano spinto al suicidio qualche parente e cercavano il suo cadavere, qui? Micidiali che erano trasportati qui dal fascino irresistibile del loro delitto, che venivano, forse, per assicurarsi che il loro morto, fosse proprio morto? Sciagurati che sognavano la morte e venivano a vedere, amaramente, quello che essi sarebbero divenuti, forse fra un mese, forse l’indomani? Chi sa! La blague parigina cessava qui: e tutto si faceva silenzioso, tetro e tragico.
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Nessuno dei miei amici e tanto meno nessuna delle mie amiche di Parigi, mi ha mai voluto accompagnare alla Morgue; ognuno mi voleva condurre e mi ha condotto nei mille posti di bellezza, di mondanità, di curiosità artistica, nessuno alla Morgue. Sono andata, sola. Vi erano quattro cadaveri, nel reparto centrale, dietro il cristallo. In verità, per iscemare l’orrore che tale vista induceva nelle persone più fredde e più coraggiose, la preparazione dava loro un aspetto di figure di cera o qualche cosa di vivo: in alcuni si poteva, a prima vista, non pensare al cadavere, non avere nessuna impressione terribile. Vi erano: un vecchio mendicante, quasi centenario, coi suoi stracci sul corpo: una donna di sessanta anni, una vecchia popolana, di tipo assolutamente parigino, di certi quartieri lontani, una vecchia ubbriacona, corrotta da tutti i vizii parigini e in ultimo dall’alcool, morta, pare, abbruciata da questi eccessi, nella via; un giovanotto di venticinque anni, molto bruno, coi mustacchietti neri, un viso lungo, coi vestiti di operaio, trovato nella Senna e che era lì, da quindici giorni, non riconosciuto da nessuno; e infine una donnina di trent’anni, una popolana, su cui si fermò lungamente il mio sguardo. Non bella, simpatica: con la fisonomia intelligente e viva delle donne popolane di Parigi, con una piccola bocca sottile, chiusa e qualche cosa di stanco, di molto stanco, in tutta la faccia: il corpo era magro e alto: i vestiti ritrovati, semplici, ma non laceri, erano sul corpo: fissando bene il suo fazzoletto, anche ritrovato, vi era la lettera A. Ebbene, io la potevo guardare senza ribrezzo! Ero andata con una certa prevenzione, naturale, ma desiderosa di poter dire ai miei lettori italiani carissimi, che cosa fosse questa Morgue: prima di entrare, avevo avuto un certo brivido di sgomento, superato subito. E là davanti, invece, non provavo nulla di pauroso, di disgustante. Gli è che, veramente, la povera donnetta morta, era così bene accomodata, con tanta correttezza, la sua fisonomia un po’ colorita, solo irrimediabilmente stanca, era così quieta, infine, che mi sembrava, del tutto, una figurina di cera. Guardavo, così, curiosamente, ma senza emozione; annoiata, forse, un poco, della mia indifferenza, della mia insensibilità. Ma, a un tratto, ebbi un sussulto, profondo. Mi erano apparsi i capelli della povera donnetta morta: capelli biondo castani, acconciati semplicemente, ma arruffati dalla morte, intorno alla fronte e alle tempie: capelli di persona che era stata viva, capelli naturali, lucidi, che mani vive avevano toccato e disciolto; capelli che, in quell’ultimo giorno di vita, erano stati pettinati e fermati sulla testa, poche ore prima della morte: capelli di una donna, infine e non di una figura di cera: capelli che qualcuno, forse, avea baciati, in un’ora di amore, e che, ora, sulla testa di quel cadavere sconosciuto, nessuno riconosceva e che facevano fremere di orrore e di pietà, una straniera venuta di lontano, che, domani, sarebbe stata lontana! Ora, io, ogni tanto, in qualche moménto di pensiero solingo, in tanta vita febbrile, rivedo solo quella chioma biondo castana, arruffata, e sento che, più tardi, in qualche momento di sogno, rivedendo questo periodo di mia esistenza, essa mi riapparirà, e ancora mi dirà una ignota istoria di dolore e di orrore!
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Un senso di profonda pietà per i morti sconosciuti, vittime orrende della vita orrenda, la riverenza per quell’augusta cosa che è la Morte, ha dettato un decreto per cui la Morgue è chiusa alla morbosa curiosità della folla, al cinico sogghigno di coloro che cercavano colà, solo un pascolo alla loro ferocia. La Morgue è chiusa per tutti coloro che, non essendovi più esecuzioni capitali, non potendo più assistere al declic della ghigliottina, appagavano la loro degenerazione, andando a impallidire o a ridere davanti ai cadaveri degli assassinati dagli apaches, ai cadaveri degli annegati della Senna e non più ora, migliaia di persone, indifferenti o ciniche sfileranno davanti a qualche morto misterioso, avanzo di un infame delitto o di un tragico suicidio. Solo coloro che possono dar chiarimenti alla giustizia, solo gli sventurati che cercano qualcuno, entreranno, ormai, alla Morgue. E l’onta crudele dell’ultima esposizione sarà risparmiata a coloro che perirono, nell’ombra, nella notte, vinti nella estrema loro lotta col destino cruento.