|
nella città del sogno |
307 |
rale, ma desiderosa di poter dire ai miei lettori italiani carissimi, che cosa fosse questa Morgue: prima di entrare, avevo avuto un certo brivido di sgomento, superato subito. E là davanti, invece, non provavo nulla di pauroso, di disgustante. Gli è che, veramente, la povera donnetta morta, era così bene accomodata, con tanta correttezza, la sua fisonomia un po’ colorita, solo irrimediabilmente stanca, era così quieta, infine, che mi sembrava, del tutto, una figurina di cera. Guardavo, così, curiosamente, ma senza emozione; annoiata, forse, un poco, della mia indifferenza, della mia insensibilità.
Ma, a un tratto, ebbi un sussulto, profondo. Mi erano apparsi i capelli della povera donnetta morta: capelli biondo castani, acconciati semplicemente, ma arruffati dalla morte, intorno alla fronte e alle tempie: capelli di persona che era stata viva, capelli naturali, lucidi, che mani vive avevano toccato e disciolto; capelli che, in quell’ultimo giorno di vita, erano stati pettinati e fermati sulla testa, poche ore prima della morte: capelli di una donna, infine e non di una figura di cera: