Lettere d'una viaggiatrice/Nella città del sogno/“Il Grand Prix„
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IL GRAND PRIX
Parigi, giugno.....
Finita, la dolce, la ricordevole giornata.... Cominciata in una grande luce bionda di sole che accendeva di fili d’oro, di scaglie d’oro le chiare vie di Parigi; trascorsa fra le freschezze carezzevoli di un’aria che vi parlava, non degli imminenti ardori estivi, ma delle tenerezze primaverili, non per anche fuggite; vissuta fra un paesaggio incantevole unico al mondo, nel cuore istesso di quel delizioso bosco di Boulogne, ove ogni alito della verde foresta desta nel vostro spirito i più ignoti, i più remoti, i più dimenticati brividi di poesia; vissuta in un quadro di grazia e di forza, fra la bellezza femminile e la nobiltà dell’esercito che veglia, amato e amante, sulla felicità della Patria, in un quadro bizzarro e suggestivo, ove la politica si fa mondana, pur non obliando la sua essenza, ove la mondanità partecipa alla politica, pure non scordando la sua leggiadria, questa giornata così limpidamente bella, rimarrà, alta fra le memorie di una donna. Altre giornate, non molte, ma intense, ma cariche di vita, piene di pensiero e piene di sentimento, io rammento del mio bel paese d’Italia, altre giornate ove parve a me, parve agli altri che la esistenza nostra e quella della folla si moltiplicasse, in ogni suo elemento di vivacità: in cui parve che ognuno di noi, agitato da quelle ardenti idee che esaltano lo spirito, diventasse multanime: e che le larghe correnti dello spirito umano, gonfiate, allargate da lontane alluvioni, dessero lo spettacolo maestoso dell’Oceano tumultuoso e poi quieto e infinito, sotto il cielo. Come dimenticherò io, mai? No, non era solo il Grand prix di Longchamps, di cui si correva ieri l’avventura, fra le verdezze odorose dell’estremo bosco di Boulogne: non era solo il maggior avvenimento mondano e sportivo, che abbia la Europa ricca, elegante, gioconda, mai sazia degli spettacoli del lusso e della beltà: non era solo un’apparizione di mille e mille delicate figure di donne, nelle mille delicatissime manifestazioni della moda, non di oggi, non di domani, ma di dopodomani: non era solo la vittoria simpatica e scintillante di quell’ammirabile forma di vita che è un cavallo, sovra un pelottone di altri cavalli, vittoria che fa urlare di gioia cinquantamila persone e di collera egualmente altre cinquantamila: non era solo la scampagnata, la distrazione, lo svago di tutto un popolo, che avendo bene lavorato durante l’anno, durante la stagione, durante la settimana, aspettava questa tradizionale domenica di giugno, per diletto del suo corpo e del suo spirito. Non soltanto!... Qualche cosa di più largo, di più importante, di più elevato e anche di più puro, era in quistione, ieri: vale a dire se la vita sociale della Francia, di Parigi, sia intatta, sia incolume, nelle sue espressioni collettive: se un fatto isolato, o quasi, sia un fenomeno di cui si debba tener conto o trascurare come un qualunque incidente senza origine profonda, senza conseguenze incerte: se l’uomo politico, se il sociologo, se il cronista delle storie umane, dovessero arrestarsi, interdetti, come innanzi a una inaspettata, impensata forma di contraddizione storica. Ah sì, sì, la vittoria di Perth era cosa molto interessante, ieri: ma vi era una domanda anche più interessante, in tutte le anime che amano la Francia, di un affetto filiale o fraterno, che sorgeva dal cuore delle persone più secure. E la risposta è venuta. Nessuna novità. Tutto va bene: Perth ha vinto: ma anche qualche altra cosa ha trionfato. Quanto ho io ammirato, nella soavità del paesaggio, la donna francese, in questa giornata singolare... Cara, cara donna francese, che possiede qualche cosa di più della bellezza, qualche cosa di più della maestà, qualche cosa di più dell’imponenza, qualche cosa di più, ed è la miglior qualità femminile che tutte le riassume, cioè la grazia... Ah, che nessuna di queste signore ha pensato, un sol momento, alle oscure minacce che pesavano, forse puerilmente, su quella folla raccolta nel l’ippodromo di Longchamps! Ah, che nessuna di esse ha esitato, un poco, innanzi al suo vivido desiderio di parteciparvi, per timore non so di che cosa, se non altro, del dispiegamento di forze... Io le ho notate, dal mattino, coi miei occhi curiosi di osservatrice, occhi curiosi e ammirati anche, andare e venire per le vie, rientrando presto, perchè la colazione fosse sbrigata presto ed esse non si trovassero in ritardo: altre donne si sarebbero chiuse in casa, nervose, seccate, fra il panico infantile e l’ira di dover rinunziare a un piacere lontano.
Quale parigina è mai stata nervosa, ieri, salvo quelle cui non andava troppo bene il chiaro cappellino nuovo, o il cui corsage non vestiva come un guanto la molle e flessuosa persona, salvo quella la cui carrozza non era pronta, a mezzogiorno?... Io le ho viste, sulle porte delle loro case, guardare il cielo azzurro con un sorriso sulle labbra, e salire in carrozza, con quel piccolo salto leggiero con cui esse vanno ai loro più graditi convegni, e aprire la cupola bianca del loro ombrellino, la cui seta scintillava al sole, e prendere quell’attitudine serena delle ore belle, delle ore che niente può turbare... Intrepide donne e pazienti, e tenaci, e ostinatissime, in tutta la loro grazia, poiché sul campo di Longchamps il sole ardeva più forte, più bruciante, poiché i ciottoli del terreno pungevano le suole leggiere delle scarpette fini, poiché esse volevano aver tutto, un buon posto, dell’ombra, dello spazio, una buona sedia, un orizzonte libero, il cavaliere preferito sulla cui spalla appoggiare la mano, e volevan veder arrivare il corteo, volevano vedere il presidente Loubet e vedere le toilettes delle altre signore, e far vedere la propria, e in fine, in fine, veder correre anche il Grand Prix, tutto volevano, queste signore... E, miracolosamente, a furia di energia sorridente, di buona grazia, di amabile imperiosità e di sovranità muliebre esercitata gentilissimamente, ora facendosi piccine, ora ergendosi sulle sedie, scivolando fra le persone, seguite dal loro breve strascico di seta, di battista, di merletto e passando dove nessuno sarebbe passato, snelle, quasi evanescenti e pure reali, tenendo il loro ombrellino, il loro ventaglio, la jumelle e talvolta un mazzolino di fiori, mai impacciate, mai imbarazzate, non disturbate dalla folla, quiete, ridenti, tutte quante hanno avuto quel che volevano, tutte quante sono rientrate, a casa, ieri sera, perfettamente contente di sé stesse e del mondo intiero.... Tutte... Da quelle che portavano due o tremila lire di merletti, sulla trasparenza della seta, vestite da Worth, da Paquin, da Doucet, a quelle che assumevano il carattere schiettamente inglese, nelle loro vesti tailleur, dalle donne di uno chic supremo alle più modeste, alle più tranquille, dalle grandi signore la cui linea rileva tutta la purissima d; scendenza, alle vivide e simpatiche borghesi piene d’intelligenza e di spirito; nessuna di loro che non abbia ottenuto quel che voleva nella giornata del Grand Prix. Forse, qualcuna si occupava anche di politica, così, feminilmente: una donna, presso a me, s’irritava dei soverchi gridi di evviva Loubet e poiché io le ho domandato perchè ella si trovasse costà, mi ha risposto che vi era venuta per curiosità. Una donna popolana, in un viale adiacente, andava gridando a squarcia voce, tutta sola, con un entusiasmo notevolissimo: Vive la République... E anche loro, anche queste rare eccezioni, avevano avuto il loro piacere dello spirito, ieri, a Longchamps...
⁂
Declinava il sole al ritorno, mentre i primi tenuissimi veli della sera pareva salissero dalla terra fluttuante nell’aria, salendo lentamente verso il cielo, più bianco, più lontano, più vago. Dalle erbe dei prati ove si erano sedute, si sollevavano le placide famiglie del popolo che avevano colà trascorso il pomeriggio: al restaurant della Cascata vi era una folla grande, che si dissetava, prima di ritornare a Parigi, che vi prendeva una tazza di the, come vi aveva fatto colazione, a mezzogiorno: da dietro le siepi, rosseggiavano le uniformi vivide dei buoni soldatini che avevano fatto la guardia e i loro volti giovanili e bruni, miravano con curiosità la beltà delle dame e degli equipaggi; i bimbi gridavano alle loro madri, perchè li sollevassero sulle braccia, quando passava Montjarret; i ciclisti e cicliste apparivano da tutti i sentieri laterali, portando essi prudentemente la loro macchina, poiché non era quello il tempo di pedaleggiare; le automobili andavano cortesemente al passo, ridotte all’obbedienza della fila; e al passo, tutti i pomposi equipaggi signorili, tutte le carrozze de grande remise al passo, e al passo, al passo, tutte le migliaia di fiacres, di cui ricorreva il gran giorno, ieri. In alcuni era come una sottile stanchezza, venuta dalla dètente, venuta dall’ora crepuscolare, venuta da quel senso della fine, che rende così preziosa una bella giornata, facendovene misurare, con una sintesi intensa, tutta la sua luminosa parabola; in altri, invece, era come una esaltazione più forte... Qua e là dei gruppi si formavano, correndo da una sola parte, gridando un po’, facendo correre gli altri, mentre nulla vi era da vedere; qua e là piccole processioni di amici, di compagni, passavano, gridando gli evviva alla Repubblica, così, per uno sfogo di affetto; dei pedoni interpellavano gaiamente quelli che passavano in vettura. La sera saliva, saliva; il bosco che, a poco a poco, noi lasciavamo dietro noi, riprendeva la sua gran pace naturale, che più profonda sarebbe stata, più tardi sotto la pia luce, altissima, delle imminenti stelle; innanzi a noi, già brillavano le prime fiammelle della città, mentre l’Arco della Stella, fra le viole del crepuscolo acquistava qualche cosa d’immateriale, di aereo. E tutto ciò che è accaduto, già diventa, una visione, vibrante nella fantasia: già entra nel dominio del sogno. Sogno dove tutte le seducenti parvenze si danno la mano, il fascino del femminile eterno e la gioia di un popolo, la beltà delle cose e la forza di un’idea...