Lettere (Sarpi)/Vol. I/Fra Paolo Sarpi/V

V.

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V.


Io voglio dare un esempio dell’ironia del Sarpi tratto dalla Storia dell’Interdetto, perchè i leggitori sieno fatti più capaci di quel che sono venuto scrivendo. Ecco come descrive i Gesuiti di Venezia: «In Venezia il Nunzio Apostolico, dopo l’avviso della pubblicazione, si tratteneva tutto il giorno nella casa de’ Gesuiti, dov’erano padri molto cospicui per le azioni loro passate in rivolgimenti e negozi di Stato; a’ quali era proposto il padre Bernardino sanese, che si trovò anche con simil carico a Parigi quando i Gesuiti furono scacciati di quella città, e il padre Antonio Possevino, molto nominato per le cose fatte da lui in Moscovia e Polonia tanto nei tempi quando fu in persona in quelle regioni, quanto anche dopo con maneggi e trattati; il padre Giovanni Barone veneziano, ancora persona molto entrante, che nella città dove abitava non permetteva [p. xx modifica]che fosse fatta cosa alcuna notabile senza la sua presenza; e il padre Giovanni Gentes, persona versata nella professione che si chiama dei casi di coscienza, espertissimo nel dannare e trovar che riprendere in ogni azione fatta senza darne contezza ai padri, e per giustificare qualunque azione de’ lor devoti; e altri padri, tutti buoni esecutori del loro quarto voto.» Il padre Gentes fa ricordarci del confessore gesuita a cui capitò la bella Saint Ives dell’Ingénu di Voltaire. Ma notiamo in prima la sobrietà del Sarpi, raffrontata alla piena del francese; che in quel romanzetto si beffa dei Gesuiti, de’ Giansenisti, de’ canonici e di quei che governavano la Francia, e della società tutta artificiata e intrigata nelle contradizioni tra quel che professava di dover fare, e quel che faceva daddovero; e spartendo egli per tanti lati l’ironia, ne scema l’effetto. Oltrechè, dove l’invenzione del romanziero ti fa ridicolo il frate, perchè ti presenti all’immaginativa la sorpresa e la difficoltà del buon padre quando la penitente, incitata da lui, gli disvela il nome del seduttore potentissimo nello Stato e tutta cosa de’ Gesuiti, sicchè ei non sa ora come metter la lama del suo distinguo tra pelle e pelle, e dice cose incredibili a donna, siccome uno sciocco che le vuol far credere in sulle prime ch’essa non aveva ben capito; le parole del Sarpi muovono il leggitore ad una durevole indignazione, non iscemata dal troppo ridicolo, perchè vede come di grado in grado discendesi da quei maneggiatori astuti di [p. xxi modifica]negozi di Stato alle persone ch’entrano in tutti gli affari notabili anco de’ privati, e poi giù giù insino a codesto operaio di dominazione nel confessionale, ed alla turba gregaria che vien dopo, maneggevole da que’ primi; e vede tutta la società civile come stretta dalle spire di un immenso serpente. Egli ha, pertanto, un filo per conoscere addentro il laberinto delle opinioni, degl’intenti, della politica della celebre Compagnia; si accorge della rispondenza di tante persone che, mercè della disciplina, fan come un uomo solo; non si meraviglia più nè degli audaci disegni nè de’ successi nè della caduta dei Gesuiti. La casuistica dei Sanchez e degli Escobar, la quale era pure anteriore a costoro e agli altri Gesuiti, come ne dà esempio il Fra Timoteo della Mandragola, camuffato forse in una tonaca del taglio di quella di Fra Paolo, non gli par più solo un aberrazione morale indotta dalla necessità di secondar la fiacchezza del secolo, ma una mala arte di signoria e di ambizione nelle mani di quelli. Il comento alle parole del Sarpi sono le Provinciali di Pascal. Il padre Gentes dell’uno è dall’altro disaminato e minuzzato e drammatizzato. Il Pascal vince il Veneziano e tutti nella santità dell’indignazione. L’astuzia non può contro il genio e l’integrità nascondersi, e diviene sciocca e melensa; l’ironia di Pascal a mano a mano ingrossa, finchè prorompe,

«Come torrente d’alta vena spiccia,»

contro alla nequizia de’ falsi e farisaici moralisti, lo [p. xxii modifica]zelo di un’anima cristiana, lo zelo di una coscienza in cui alberga lo Spirito Santo. Pascal ti sembra un apostolo, e il suo libro come un documento di religione vera; la sua ironia si trasforma nell’elevazione spirituale, ed è reiterato il combattimento descrittoci dal Vangelo tra la religione di chi serve a Dio e quella di chi vuol servirsi d’Iddio. Ma Pascal non aveva la sperienza delle cose del mondo ch’ebbe Fra Paolo, e non sa rendere le più recondite ragioni degli artificii gesuiteschi; non sa risalire sino al Padre Bernardino e al Possevino; non ha vegliato nelle gravi cure dello Stato, e con l’occhio indagatore tenuto dietro alle volpi. Ondechè avremmo potuto dire con più di ragione, che per intendere a sufficienza Pascal e scovrirne l’arcano, hannosi a legger gli scritti di Fra Paolo e degli altri Italiani. Dalle Lettere che pubblichiamo si possono trarre non poche notizie curiose; come l’abuso che i Gesuiti facevano del confessionale, e la corrispondenza che tenevano negli Stati d’onde erano stati scacciati con la setta de’ loro divoti, e la ciurmería di mostrare a costoro cotali pitture dell’inferno, dove mettevano i loro nemici, e lasciavano luogo per chi non era ancor morto, dandolo però per ispacciato. Non meno si conoscono per le Lettere gli artificii de’ Gesuiti in far danaro, e il Sarpi descrive festevolmente una lor gherminella in far vitalizi, e conchiude: «M’è stato grato l’intendere come i buoni Padri, restitutori dell’antichità (il modo era del medio evo, non della buona antichità), [p. xxiii modifica]ritornino in uso i buoni costumi vecchi.1» — E scrive ad un Francese:2 «Quand’Ella ha ascoltato un Gesuita, faccia conto di averli uditi tutti quanti. Non eccettuo i francesi: la vostra gente è bensì schietta e verace quando per proprio senno governisi; ma se dalle altrui arti si lasci abbindolare, avanza la tristizia degli altri. Che direbb’Ella, se dessi il primato della nequizia ai Gesuiti di Francia?»