Lettere (Sarpi)/Vol. II/142

CXLII. — Al medesimo

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CXLII. — Al medesimo
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CXLII. — A Giacomo Leschassier.1


Non oserei tenere i Gesuiti o i romaneschi per autori della morte del re, dacchè specialmente è voce che il sicario sia posseduto da nera melanconia. Ma pure non posson essi negare che tale scelleratezza non fosse causata da un principio inventato da loro, e difeso poi anche per iscritture e magistrale autorità. A Praga, il gesuita Scoto predicò quella [p. 82 modifica]uccisione degna d’elogio e di premio: approvare un fatto torna quasi lo stesso che consigliarlo.

Io stupisco come il re abbia portato in pace l’oltracotanza del Gunter, il quale non peritandosi dal predicare contro i suoi editti, ne assalì ancora la fama. Inoltre, il soffrire che un privato, di moto suo e senza che il principe lo richieda, emetta, segnatamente in pubblico, un giudizio, è troppa indulgenza, la quale riesce da ultimo a rovina dei re. Il re favoreggia i Gesuiti, avvisandosi per tal guisa di declinare le loro trame; ma quanto si pensa sfuggirle, altrettanto vi corre incontro. Se anco per giuramento affermassero i Gesuiti di Francia di non far buona quella dottrina, non potrei loro dar fede; perchè con equivoci, restrizioni mentali o tacite riserve fanno essi prova di gabbare Iddio. Quand’Ella ha ascoltato un gesuita, faccia conto di averli uditi tutti quanti. Non eccettuo i francesi: la vostra gente è bensì schietta e verace, quando per proprio senno governisi; ma se dalle altrui arti si lasci abbindolare, avanza la tristizia degli altri. Che direbb’Ella, se dessi il primato della nequizia ai Gesuiti di Francia?2 Mi starebbe grandemente a cuore che si ribattesse dai teologi con qualche scrittura un insegnamento così abbominevole; ma temo che la Sorbona adempia a questo incarico alquanto rimessamente. Vedo, infatti, che essa è troppo ligia ai Loioliti, degenerando così dalla Sorbona antica e veramente francese: ma contro a tal peste pubblica [p. 83 modifica]non si deve battagliar fiaccamente, per non parere anzi di raffermarla. Non è solo il Mariana a farsi spudoratamente banditore di tali massime; ma è bene il vezzo di tutti i Gesuiti. Vegga il Suarez, a petto al quale le sentenze del Mariana paiono scherzi. Esso arma i sudditi alla morte del principe, non solo dopo il comando e l’approvazione dei papi, ma col solo presupposto della loro approvazione: anzi afferma bastare la persuasione che essi saranno contenti, comecchè non l’abbiano a parole significato.3 Ma passiamoci di tal gente.

Mi rallegro che tutto sia costì intervenuto felicemente: il Cielo faccia che ciò duri per sempre. Vorrei che fosse ben netto il campo di cotesto regno; pel quale fo mali presagi per allora che i nemici abbiano disseminato il Diacattolico, e l’orecchiuto in ispecie. Fino a che stanzieranno costà i Gesuiti, voi terrete il lupo per gli orecchi, covando dentro voi stessi la cagione del morbo. Ma sono ben pazzo a parlar di cose di cui non ho esperienza e dalle quali son lontano, alla S.V. eccellentissima, sotto i cui occhi esse accadono. Vengo agli affari nostri.

Quando i vostri e gli Allobrogi4 s’armavano, tacevano gli Spagnuoli di Milano, quasi che tutto fosse tranquillo: adesso che voi avete deposto le armi, essi si apprestano a guerra; o piuttosto ad imporre agli Allobrogi e ai rimanenti Italiani quelle leggi che [p. 84 modifica]vorranno. Se mai soggiacque Italia a rischio di schiavitù, ora sì che v’è presso. Poco cura il papa, o forse desidera catene d’oro; anzi, ebbro di felicità, non le vede. Agli altri stanno in fronte gli occhi per vedere, ma la facoltà manca del tutto. Per nostra grave disavventura, il re brandì le armi, e la sua morte riesce adesso più micidiale a noi che a voi medesimi. Ma tuttavia, niente avviene contro la divina volontà; e perciò a Dio facciamo preghiere perchè il tutto rivolga in bene.

Mi sforzai d’avere il libro del Vames:5 fra poco spero di vederlo, e mi gioverà. Delle leggi e costumanze di quel paese niente conosco fin qui; e tal notizia sarà profittevole, poichè gli esempi valgono più delle ragioni. S’io reco in mezzo Francia o Spagna, ben possono rispondermi:6 non siamo da tanto, nè possiamo stare a paro dei grandi re. Dal che avviene che il più delle volte ricorrano a’ Piemontesi. Se vi aggiungerò quelli di Borgogna, benchè non principi così grandi come quei due re, nè accetti a’ Gesuiti, fo conto di trovare miglior ventura; sebben’io presagisca che d’ora in poi non si verrà a capo di alcuna cosa buona: tanto la faccenda procede grave d’impacci.

Torno alla dottrina de’ Gesuiti. Se cotesta società di teologi scriverà qualche cosa contr’a loro, darà il segnale della guerra; perocchè avrà a condannar come eretica la loro dottrina e valersi del decreto di Costanza. E questo prenderanno in mala parte a Roma; e prima, perchè scartino un insegnamento [p. 85 modifica]cui essi fanno buon viso; poi, perchè s’abbia come legittimo il concilio di Costanza. Da qui forse verrà, che siccome le massime della Sorbona non consonavano un tempo colle romanesche, così accendasi nuovo fomite a contrasti. Che se tanto avverrà, si appiccherà zuffa fra le chiese romana e francese; e per voi sorgerà il principio di una perfetta libertà, e a noi sarà di stimolo il vostro esempio. Ciò sebbene io desideri più di quello che speri, pur amo di consolarmi ingannandomi; niente più standomi a cuore che di scemare il peso di questo importabile giogo. Quel che su tale oggetto qui verrà scritto, a voi altri giungerà; ma mentre si tratta e discute, prego la S.V. a volermi ragguagliar di ogni fatto. La ringrazio vivissimamente della sua lettera datata del primo giugno; e prego Iddio che secondi tutti i suoi disegni, e lunghissimamente la conservi. Stia sana.

Venezia, 22 giugno 1610.




Note

  1. Stampata come sopra, pag. 85.
  2. Qualcuno si sentirà qui tratto a sclamare: — O buon Sarpi, perchè non sei tu vivo, a fine di farci noto il giudizio che portar dovresti intorno ai gesuiti e ai gesuitanti Francesi d’oggidì!
  3. Eppure si parla del solo Pascal come quello che, colle Provinciali portò il colpo più funesto alla malefica pianta del Gesuitismo! E queste Lettere Veneziane del gran filosofo e puro credente Fra Paolo?... Perchè scritte in latino e stampate alla macchia in Italia, solo pochissimi sino ai dì nostri le avevano lette.
  4. I sudditi della casa di Savoia.
  5. Vedi la nota a pag. 58.
  6. Cioè; gli avversarîi dell’A.; i romaneschi e gesuiti.