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fra paolo sarpi. xxi

gozi di Stato alle persone ch’entrano in tutti gli affari notabili anco de’ privati, e poi giù giù insino a codesto operaio di dominazione nel confessionale, ed alla turba gregaria che vien dopo, maneggevole da que’ primi; e vede tutta la società civile come stretta dalle spire di un immenso serpente. Egli ha, pertanto, un filo per conoscere addentro il laberinto delle opinioni, degl’intenti, della politica della celebre Compagnia; si accorge della rispondenza di tante persone che, mercè della disciplina, fan come un uomo solo; non si meraviglia più nè degli audaci disegni nè de’ successi nè della caduta dei Gesuiti. La casuistica dei Sanchez e degli Escobar, la quale era pure anteriore a costoro e agli altri Gesuiti, come ne dà esempio il Fra Timoteo della Mandragola, camuffato forse in una tonaca del taglio di quella di Fra Paolo, non gli par più solo un aberrazione morale indotta dalla necessità di secondar la fiacchezza del secolo, ma una mala arte di signoria e di ambizione nelle mani di quelli. Il comento alle parole del Sarpi sono le Provinciali di Pascal. Il padre Gentes dell’uno è dall’altro disaminato e minuzzato e drammatizzato. Il Pascal vince il Veneziano e tutti nella santità dell’indignazione. L’astuzia non può contro il genio e l’integrità nascondersi, e diviene sciocca e melensa; l’ironia di Pascal a mano a mano ingrossa, finchè prorompe,

«Come torrente d’alta vena spiccia,»


contro alla nequizia de’ falsi e farisaici moralisti, lo

Sarpi. b