Leonardo da Vinci scienziato

Vincenzo Burzagli

1910 Indice:Leonardo da Vinci scienziato.djvu Testi scientifici/Saggi testi scientifici Leonardo da Vinci scienziato Intestazione 11 luglio 2010 100%


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Prof V. BURZAGLI

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LEONARDO DA VINCI



SCIENZIATO












FIRENZE

STABILIMENTO TIPOGRAFICO S. GIUSEPPE

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1910



[p. 3 modifica]Se assistiamo al lavoro delle macchine che adopra l’industria moderna, nasce in noi, con la speranza in un crescente benessere sociale, un sentimento di gratitudine verso i cultori della Fisica, i quali, pur cercando sopratutto il vero, posero a disposizione degli uomini le naturali energie.

E se pel desiderio di conoscere il faticoso progredire di quella scienza, sia per i criteri che guidano il pensiero, sia per la importanza delle verita conquistate e delle utili applicazioni, domandiamo alla storia quale di quei cultori sovrasti agli altri per eccellenza d’ingegno e per opera feconda di maggior progresso, spontaneamente ci fermiamo, prima, sul nome di Leonardo da Vinci, poichè il sommo artista, che svolse nel cenacolo il dramma più grandioso della umanità, e rivelò nel ritratto della Gioconda l’anima di un’abile incantatrice, pareggia il sommo scienziato, che in un tempo di grande ignoranza, segnò la via che conduce a pensare ciò che è e significò il vero concetto della scienza.

Basti qui ricordare che di Leonardo scrisse testè un nostro erudito: «per la sua immensa figura rappresenta un’epoca nella storia» e che un illustre straniero ha di recente scritto: «la scienza moderna è nata in Italia per opera di quel grandissimo artista».

Che se l’opera scientifica di Leonardo rimase per qualche tempo nell’ombra, di ciò furon cagione le strane vicende subite dai numerosi manoscritti da esso lasciati, vicende, che [p. 4 modifica]insieme alla inerzia di nostra gente, hanno impedito che fosse già pubblicata di lui almeno una completa biografia nella nostra lingua. Spetta a noi, anche per non rimanere indietro agli stranieri nel culto dei nostri più grandi ingegni, a disperdere completamente quell’ombra, affinchè tutti possano contemplare l’effige di quel grande spirito nel suo pieno splendore, tanto più che collocato al suo posto anche nella storia della scienza, vediamo in Leonardo l’uomo insuperabile per la bontà dell’animo e la bellezza della vita intima.



Leonardo, nato a Vinci nel 1452, nei suoi primi trenta anni che passo col padre a Firenze, fu molto laborioso e molto inquieto per il grande desiderio che aveva di produrre e di apprendere; era quella per lui una vita di preparazione. E quando fu già pittore, scultore, ingegnere e architetto, e cercava, come cercò sempre l’altrui aiuto materiale, cioè un protettore che, avendo fiducia nel di lui genio, fosse atto fargli fare grandi opere, si recò prima a Milano agli stipendi di Lodovico Sforza avidissimo di gloria e di splendore nella sua corte, presso la quale lavorò con genio audace e maravigliosa attività durante 16 anni. Quindi passò breve tempo a Venezia quale pittore; poi fu a Ravenna con Cesare Borgia in qualità di ingegnere militare; fu successivamente a Firenze, a Milano e a Roma per breve tempo, e infine nell’anno 1516, stanco della tirannide che dominava, in molte città d’Italia, abbandonò dolente la patria e si ritirò sotto la protezione del Re di Francia nella rocca di Amboise, dove il fedele amico e discepolo Francesco Melzi, nel 2 maggio 1519, ne raccolse l’ultimo respiro ed ebbe per testamento i disegni e i manoscritti, che egli portò e conservò con la massima cura nella sua villa di Vaprio Presso Bergamo; ed avrebbe portato in Patria e conservato religiosamente anche la cassa di piombo che ne conteneva i resti mortali, se avesse preveduto la sorte infelice che essi ebbero in terra straniera.

[p. 5 modifica]Quei manoscritti, ordinati da Leonardo soltanto nel suo pensiero, col quale vagheggiava la possibilità di poter compiere un’opera grande, riuniti in 120 libri, furono dall’autore stesso tenuti impenetrabili per evitare che le sue critiche delle dottrine scolastiche e le verità da lui scoperte fossero malamente comprese e aspramente combattute, e perchè non voleva essere obbligato, per le sue difese, a perdere il tempo che gli era necessario per i suoi molteplici lavori.

Anche Francesco Melzi tenne segreti i manoscritti Vinciani, perchè più difficile per lui sarebbe stato il farne una seria difesa; fece però un estratto del trattato della pittura, della scultura e dell’architettura, del quale lavoro furon fatte alcune copie, delle quali una fu comprata da B. Cellini.

Non sappiamo quali disposizioni abbia lasciato Leonardo nel suo testamento circa la pubblicazione dei suoi manoscritti; sappiamo però che egli desiderava che le sue scoperte non perissero e non fossero pubblicate col nome di altri.

Appena avvenuta la morte del Melzi, il figlio Orazio, ben diverso dal Padre, fece collocare in una soffitta della casa paterna una cassa contenente certe carte polverose e ingiallite di un certo Leonardo, morto allora da oltre 50 anni; e per liberarsi dall’ingombro che quelle carte gli recavano, le distribuì a ignoti richiedenti speculatori, di guisa che ben presto, passando esse da una persona all’altra, furono disperse, non solo in varie parti d’Italia, ma in Francia, in Inghilterra, nella Spagna.... per il mondo.

Volle fortuna che dopo alcuni anni, forse in omaggio al nome del grande artista, si trovassero, come si trovano, raccolte in piccola parte nelle biblioteche principesche di Windsor e di Torino, in parte in altre biblioteche pubbliche e private, ma in grandissimo numero nell’Institut de France, dove furono portate durante alcune vicende dolorose per l’Italia.

E qui è da notare che quelle carte, durante la loro dispersione e il loro sonno nelle biblioteche, poterono essere facilmente consultate dagli studiosi per loro personale profitto, e che pur facilmente alcuni di essi poterono dimenticarsi di [p. 6 modifica]indicare il vero autore di ciò che avevano appreso e poi pubblicato.

È noto che Benvenuto Cellini, nel cui animo la benevolenza non era eccessiva, appena letta la copia del trattato che aveva comprato, ne espresse il proprio giudizio dicendo: « questo libro era degno dell’ammirabile genio di Leonardo, e io non credo che più grande uomo sia mai venuto al mondo ». Sappiamo inoltre che quando nel 1797 furono pubblicati alcuni speciali saggi estratti dai manoscritti di Leonardo per cura del Venturi, e specialmente quando, per cura del nostro governo, fu pubblicato nel 1872 (in 300 esemplari!) il Saggio delle opere di L. d. V., estratto dal Codice atlantico, fu chiaramente rivelato, anche per noi, che lo spirito eminentemente logico e intuitivo del grande artista tendeva verso la scienza, e che saliva all’altezza del vero genio, certamente per il felice connubio di una viva immaginazione e di una costante riflessione; fu manifesto che in Leonardo, il grande amore per il bello era congiunto a pari amore per il vero, poichè mentre egli speculava sulla forma eletta delle cose, trasfondendo in tutte le sue opere d’arte un fascino misterioso, passava dalla prospettiva alla geometria, dal fenomeno della visione alla teoria della luce, dall’arte insomma e dalla pratica alla universalità del sapere.

Leonardo, per il quale il pensiero era la più ammirabile realtà umana, sicuro della veracità del conoscere naturale, osservando attentamente, intravide nell’universo sensibile un perenne avvicendamento di azioni e di passioni con leggi generali che ne governano la successione, e che egli voleva svolgere dai fatti particolari; vide le cause dei fenomeni nascoste in un grande numero di fatti analoghi; e mentre per le sue ricerche, alla sua mente si allargavano i confini della scienza ed i fenomeni si moltiplicavano, intuì un nuovo metodo d’indagine, col quale voleva che nell’osservazione, i sensi fossero aiutati da opportuni istrumenti, e la ragione fosse soccorsa da buoni criterii. [p. 7 modifica]Però non si fermò a specializzare le regole del suo metodo, in primo luogo perchè la natura del suo ingegno non gli consentiva minute specificazioni, e poi perchè sentiva vivamente il desiderio di applicarle allo studio degli svariatissimi fenomeni che presentano i corpi, ed abbisognava perciò di molto tempo per le pratiche ricerche; però dalle sue note frammentarie si rilevano scritti con brevità e chiarezza questi criteri: È necessario frenare l’abuso dell’autorità e controllare le idee con i fatti sperimentali; nel regno della natura sensibile non si può concedere che abbiano verità le scienze che cominciano e finiscono nella mente; prima di ragionare si deve osservare e la ragione deve elaborare i dati dei sensi; la scienza che incomincia con la induzione non sarà compiuta finchè, effettuata la misura dei rapporti con l’aiuto delle matematiche, non abbia preso la forma deduttiva.

Come si vede, questi criteri non sono elucubrazioni astratte in forma di esercizi logici, ma regole suggerite da un ammirabile, divino buon senso, risultato dell’armonia perfetta tra tutte le facoltà di un animo fatto per l’analisi e la sintesi. E bisogna convenire che quelle regole comprendevano e comprendono un concetto moderno della scienza, anche di quella che dicesi dell’avvenire.

Così, riflettendo da vero filosofo, cento anni prima di Bacone, Leonardo formulò il nuovo metodo sperimentale in un tempo in cui, sebbene apparisse nel modo di pensare il bisogno di novità, pure nell’insegnamento ufficiale era sdegnosamente dispregiata la prova della esperienza, perchè questa occupava lo spirito in cose basse, vili e periture; in un tempo in cui il metodo d’indagine consisteva nel partire da principii astratti per derivarne, col solo sillogismo, delle verità da ritenersi poi indiscutibili; in un tempo, infine, in cui l’ossequio assoluto alla autorità dei libri aveva inaridito le fonti del pensiero, ed obliata così la natura per amore del discutere, la fisica era rimasta nelle antiche illusioni.

È noto che gli scolastici seguirono quel metodo irragionevole e insufficiente, perchè, fatta l’abitudine a principii [p. 8 modifica]anche strani, poco a poco se ne persuadevano e ad essi si incatenavano con l’intelletto e la volontà, e quindi per amor proprio non osavano mai di ricredersi.

Intanto, il nostro artista scienziato, dopo aver creato nel suo pensiero una nuova dottrina col sostituire la esperienza alla indagine verbale, si ribellò completamente agli scolastici, che però combatteva con misura, per la mitezza del suo carattere, ma facendo conto che la loro scienza non esistesse. Adunque Leonardo fu un libero spirito moderno, un audace e sicuro novatore.

Si può ritenere per cosa probabile che i primi saggi della sua opera rinnovatrice nella scienza della natura, abbia avuto occasione di mostrarli nelle riunioni dei suoi discepoli all’Accademia di L. d. V. istituita da Ludovico, alla quale intervenivano gli ammiratori del di lui genio e della di lui bontà. Però degli argomenti trattati a voce intorno alla scienza in quell’Accademia, che ebbe vita breve, non si hanno notizie sicure.

Certo è che se Leonardo si era infastidito del metodo e della scienza degli scolastici, bisogna dire che grande era l’acutezza della sua mente, e grande la sua volontà per staccarsi dagli uomini di quella civiltà informata di scolastica e di umanesimo, dal quale non si lasciò vincere, perchè esso rimaneva totalmente nei libri. Agli umanisti entusiasti Leonardo rispondeva che il bel parlare non è che il ben pensare; e pare che avesse ragione, poichè è oggi riconosciuto non solo come il precursore della scienza moderna, ma altresì come il precursore dello stile naturale, ed ha meritato anche queste parole: « leggi gli scritti di lui per vedere a qual grado di gagliardia, di densità, di concisione e di limpidezza possa arrivare nella scienza chi ha osservazioni profonde e grandi pensieri da esprimere; che quadri stupendi di colorito e di evidenza riesca a dipingere con la penna chi ha delle cose la visione netta, luminosa e immensa, che egli aveva ».

Sarà difficile ai biografi dire che cosa egli apprese dagli antichi e dai contemporanei, i libri dei quali consultava per [p. 9 modifica]rilevarne gli errori. Si può affermare che in qualche cosa ebbe per maestro Archimede, ma, nel resto, ove si tenga conto della cultura dei tempi nei quali viveva, si ha ben ragione credere che egli, per il suo genio, tanto nell’arte che nella scienza, fu prodigiosamente il vero maestro di sè stesso.



Ma non meno degna del genio di Leonardo fu l’opera da lui compiuta applicando il suo metodo nello studio di ogni branca di scibile nel mondo delle cose, stabilendo i principii fondamentali di ciascuna di esse.

Infatti, dopo aver diviso col pensiero tutta la scienza della ingegnosa natura in varii trattati, osserva per ciascuno i fatti relativi principali, li confronta, ne ricerca le relazioni fondamentali, scuopre nuove verità e tutto nota nel suo libretto che portava sempre legato alla cintola.

E questo lavoro che costituisce il materiale di una vasta enciclopedia, è vivo nei manoscritti Vinciani, e sarà contenuto, un giorno, in molti volumi.

Della immensa luce che emana da quei manoscritti mi è concesso, in questo breve ricordo, di mostrarne soltanto qualche vivo raggio, cioè qualche sentenza illustrativa del metodo sperimentale e di accennare qualche scoperta che maggiormente manifesti il potente ingegno di lui.

Quanto egli fosse diligente osservatore della grande varietà nell’ordine mondiale, quasi tenendosi in dialogo con tutto ciò che vedeva, lo espresse egli stesso con queste belle parole: «nella contemplazione delle cose naturali sta la calma e il piacere della vita».

Intorno alla sua indipendenza dagli eruditi del suo tempo scriveva: «molti penseranno di potermi biasimare perchè le mie prove vanno contro l’autorità degli uomini tenuti in grande riverenza dal loro giudizio inesperto, ma non considerano che le mie idee sono nate dalla pura e semplice esperienza, che è la vera maestra».

[p. 10 modifica]Per i superstiziosi dell’autorità, scrisse: «chi discute allegando l’autorità, non adopera il proprio giudizio, ma la sua memoria; i declamatari dell’opera altrui, confrontati con gli inventori, interpetri tra la natura e l’uomo, sono come le immagini degli oggetti posti dinanzi ad uno specchio, confrontati con essi; l’immagine è niente, l’oggetto è qualche cosa».

Per avvertire che la scienza delle cose naturali deve realizzare l’ordine ideale dei fatti con il controllo dei fatti stessi notò: «fuggi i precetti di quegli speculatori che i loro ragionamenti non confermano con la esperienza. Il buon giudizio nasce dal bene intendere, e questo dalla ragione aiutata da buone regole. Le regole della esperienza sono sufficienti per farti distinguere il vero dal falso, e ciò fa che gli uomini si promettano cose possibili e con più di misura».

Riguardo ai limiti della esperienza scrisse molto giustamente: «la esperienza non falla mai, ma fallano i nostri giudizî, promettendoci da lei cose che non sono in sua facoltà. Il massimo inganno degli uomini è nelle loro opinioni, le quali non si modellano sulla natura, ma modellano questa, alle proprie immagini. Mia intenzione è allegare prima la esperienza, e poi con la ragione dimostrare che essa è costretta in tal modo ad oprare».

E fa osservare ancora che se conviene che all’immagine astratta di ciò che apparisce sia sostituita la osservazione dei fatti sperimentali, importa altresì ricordare che la esperienza non può dare che i fatti e le leggi, e che la indagine delle analogie e delle cause è opera della ragione, fattore più elevato dei sensi. Il qual criterio è stato seguito, in ogni tempo di vero progresso, dai più prudenti studiosi, per i quali la prima ed ultima officina, il massimo laboratorio è il proprio cervello, dove si elabora tutto ciò che è provato in ogni materiale manipolazione.

Leonardo ha molta fiducia nella ragione, ma non intende di limitare il moto dello spirito umano, e tenendosi prudentemente [p. 11 modifica]nel campo del sensibile, osserva soltanto che la certezza in esso non è la certezza della metafisica, della quale non si occupa.

Nella immensa realtà fenomenica intravede una grande regolarità, una stupenda armonia, indipendente dallo spirito che l’osserva, e così si esprime: « natura non rompe sue leggi, cioè la legge è infusa nella natura e costringe ogni fenomeno a compiersi in un dato modo e sempre lo stesso; la necessità, è tema e inventrice della natura; o stupenda necessità, tu costringi con data legge ogni effetto per la via più breve a partecipare della sua cagione ». E una tale condizione rende possibile la previsione degli avvenimenti, della quale ci offre continui esempi l’astronomia.

Nella indefinita varietà dei fenomeni, da buon filosofo della scienza, non perde mai di vista la unità elementare di essi, cioè il movimento, che serve ad esprimere le relazioni fra tutto ciò che avviene tra le cose: « ogni effetto, scrisse, partecipa della sua causa, tutti gli effetti sono dimostrativi delle loro ragioni, e il moto è cagione di tutta la vita ». Di guisa che può dirsi che il concetto di moto, che non si crea, ma continuando si diffonde e si trasforma, dando origine ai più svariati fenomeni, sia destinato a sopravvivere, nelle teorie, finchè non si vogliano cercare inutilmente nell’universo gli enigmi, o immaginare i simboli senza realtà obiettiva.

Leonardo, innamorato della meccanica, che appella i1 paradiso delle matematiche, comprende che espressa una legge con una formula matematica, si possono dedurre conseguenze che servono a far riconoscere la verità di un principio fondamentale nella scienza. Per lui la leva è l’ordigno elementare di ogni macchina industriale, e lo studio di essa dà il modo di proporzionare le cause agli effetti voluti.

Completò il lavoro di Archimede sul centro di gravità dei corpi solidi; seguendo la comune esperienza stabilì il principio d’inerzia e quello della indipendenza dei movimenti; [p. 12 modifica]indagò le leggi del moto dei corpi liberi; scuoprì con esperienze ingegnosissime le leggi dell’attrito; riconobbe la impossibilità di creare la forza dal niente, e che di essa possiamo solo trasformare gli effetti; intuì il principio delle velocità virtuali; fu il primo ad avvertire alcuni ingenui amanti del perder tempo, dicendo: « o speculatori del moto perpetuo, andate con i cercatori dell’oro con i vostri vani disegni ».

Considerando la composizione dell’acqua fondò la idrostatica, e riconobbe un secolo prima del Pascal un principio, che nei libri scolastici viene attribuito ad esso. Cento anni prima del Castelli enunciò i principii fondamentali dell’idrodinamica e dell’idraulica; studiò l’acqua in tutte le condizioni che presenta sulla terra, e dirigendola opportunamente si propose di conseguire, ed ottenne infatti, con le eseguite canalizzazioni, effetti utili e svariati; stabilì la teoria dei vortici, che hanno origine quando l’acqua incontrando un ostacolo cambia il moto rettilineo in circolare— vorticoso.

Scavando un canale trovò dei fossili marini, sui quali si ripetevano dai dotti e dal vulgo i più strani e ridicoli pregiudizi; li esamina e tosto intuisce di essi la vera natura, la vera origine, e li considera giustamente quali documenti della storia della terra. Riconobbe come l’azione potente e continua delle acque correnti modifichi col tempo la superfice della terra, e scrisse: « Il Po dissecca l’Adriatico, nel modo stesso che ha messo a secco una gran parte della Lombardia », notò che « le pietre stratificate della montagna erano strati di fango depositati in fondo al mare ». Insomma, cercando negli effetti visibili la cagione con audace visione del passato, dette i fondamenti sicuri della Geologia.

Respinse le nozioni di astronomia di Aristotile, secondo il quale gli astri dovevano considerarsi incorruttibili; rompe con audacia cosciente le sfere che avrebbero rinserrato il mondo, che invece si estende all’indefinito; affermò che le leggi che governano il nostro pianeta sono leggi universali [p. 13 modifica]e che una stessa forza governa il movimento di tutti i corpi celesti; scuoprì la causa della luce cinenerea della luna, e, a dir breve, fondò con sicurezza l’astronomia moderna.

Egli è il Padre dell’anatomia figurata, di cui si occupò per tutta la vita, scrivendo di essa un trattato di grande valore; fondò pure l’anatomia comparata, la fisiologia, l’embriologia e la botanica.

Una delle scoperte più geniali fatte nella fisica da Leonardo è la teoria generale del moto ondulatorio, che serve a intendere il fenomeno della propagazione a distanza del suono, del calore, della luce, teoria che fece riconoscere questi agenti naturali quali forme di movimento, e condusse al concetto della unità delle forze fisiche. Egli scrisse mirabilmente: « io dico che se tu gitterai in un medesimo tempo due piccole pietre alquanto distanti l’una dall’altra sopra un pelago di acqua senza moto, tu vedrai avanzare due separate quantità di cerchi, le quali conservandosi, vengono a scontrarsi insieme, e poi intersecandosi l’un circolo con l’altro, senza confondersi, mantengono sempre per centro i luoghi percossi dalle pietre ». Quindi considerando che le conquiste teoriche della scienza sono le generalizzazioni fatte con la guida dell’analogia, seguito scrivendo: « siccome la pietra nell’acqua si fa centro e causa di circoli varii, e il suono circolarmente si propaga, ogni corpo posto infra l’aria luminosa (cioè l’etere) determina un moto che si diffonde circolarmente ed empie le circostanti parti della sua immagine riprodotta indefinitamente, ed appare tutto per tutto a tutto in ogni parte ». Alla quale teoria, che molto sodisfa lo spirito degli studiosi, si riferisce, come suggerimento e applicazione, la celebre scoperta di Hertz, che fu il fondamento della telegrafia senza fili.

Leonardo scuoprì le leggi della riflessione dei movimenti che sono cause dell’eco e della produzione delle immagini negli specchi; suonando il liuto scuoprì il fenomeno importantissimo e universale della risonanza e lo descrive con aurea [p. 14 modifica]naturalezza dicendo: «la corda che vibra nel liuto fa vibrare nel liuto vicino la corda che dà la medesima nota».

Due secoli prima del Borelli diede sul volo degli uccelli una completa teoria.



Ma Leonardo è genio universale, che vuole non solo scuoprire nuove verità, sodisfare lo spirito con nuove e razionali interpetrazioni e conoscere le cause per ottenere liberamente gli effetti, ma vuole anche la gioia dell’inventare, poichè per lui ogni idea giusta è forza che agisce, quando abbia relazione col mondo esteriore; desidera procurare agli uomini più comodo il lavoro, e i mezzi di difesa contro le forze nemiche della natura, ed è noto che i suoi manoscritti contengono i più svariati disegni di macchine destinate a sodisfare le più semplici esigenze della vita; egli costruì istrumenti per misurare la velocità delle acque correnti, e per misurare le intensità relative da due sorgenti di luce, istrumenti, questi, che il Buguer e il Bunsen si sono attribuiti; inventò una macchina filatrice, la motigolfiera, il paracadute, un pluviometro; costruì piani di difesa, ponti mobili; inventò e perfezionò armi da fuoco; inventò una macchina per volare, e insomma anche in questo campo di attività riescì inesauribile.

Avvertì però, intorno all’empirismo che dimentica la scienza, che «coloro i quali si innamorano della pratica senza la scienza, sono come il navigatore che parte sulla nave senza bussola e che non sa mai con certezza dove va». Sempre, aggiunge, «la pratica deve essere edificata sulla buona teoria».



Questi pochi cenni intorno al pensiero di Leonardo servono a far comprendere come un illustre straniero, il professor Sèallas, dopo aver esaminati alcuni dei manoscritti [p. 15 modifica]Vinciani, abbia avuto ragione di scrivere, in un suo pregevole e recente libro, questo giudizio: per il suo metodo, per i suoi lavori, per le sue scoperte, egli apre un secolo avanti Galileo l’êra del pensiero moderno, giudizio che è ampiamente confermato dal fatto che il pensiero scientifico di Leonardo è quello stesso che da tre secoli persegue lo spirito degli studiosi, e costituisce una vera rivendicazione.

E qui la storia della scienza avrà un punto delicato da risolvere, cioè se, e quanto il Galilei abbia potuto e voluto giovarsi dei manoscritti di Leonardo, poichè per molti anni sono stati, in certo modo, a sua disposizione, come lo furono, per il Cardani, per il Porta, per lo Stein, pel Castelli e per altri. E già vi è chi afferma che le idee di Leonardo, già diffuse in Italia, esercitarono una influenza sulle speculazioni di Galileo, che poi ebbe il grande merito di ridurre in corpo di scienza i criteri del metodo di lui ed applicò pur esso magistralmente con genio italiano.

Il qual metodo, fin da quando incominciò a rifiorire utilmente la filosofia di Platone, passando lentamente si ma per buona tradizione da un intelletto all’altro, servì non solo a facilitare la scoperta di nuovi fatti e di nuove leggi, ma altresì a verificare le ipotesi e a dare più sicuro fondamento alle teorie, sempre utili, senza le quali la scienza si ridurrebbe, con poca dignità e con poca possibilità di progresso, ad un semplice catalogo di fatti e di fatterelli.

Considerando ora il rinnovamento compiuto ed i progressi ottenuti nella scienza per opera di Leonardo, si comprende come egli, mentre pensava e scriveva giorno per giorno le sue note, potesse avere, come aveva di fatto, il presentimento che esse, cessate almeno in gran parte le avversioni degli scolastici, e appena conosciute dagli studiosi più liberi dalla vieta tradizione medioevale, potevano avere la virtù di affrettare di qualche secolo il progredire della scienza e della civiltà; e si comprende pure come quel presentimento riuscisse al suo animo di grandissimo conforto anche quando i trionfi artistici di Michelangiolo e di Raffaello, [p. 16 modifica]ai quali aveva insegnato la teoria della luce e delle ombre, la prospettiva e l’anatomia, depressero in qualche momento lo spirito del Maestro, che era poi insuperabile nell’ideale artistico che in grazia della scienza risplendeva maggiormente nella mente di lui.

Scrisse Leonardo: « la natura è piena d’infinite stagioni (o cagioni) che non furono mai in esperienza ». Se però è non piccolo il numero dei nuovi fatti sperimentali che rivelino in quelle cagionii, e che d’anno in anno vengono annunziati, bene scarso è quello dei fatti veramente luminosi, che siano cioè atti ad influire sulla razionale evoluzione delle teorie fisiche, offrendo per essa punti sicuri di appoggio. Per questa condizione, e per quel più o meno di nebbia che può trovarsi tra il vero e l’intelletto, potrà avvenire che alcune delle teorie più sodisfacenti divenuteci familiari, non appariscano più le stesse per tutti, e che allora possa domandarsi se esse sono o no da ritenersi per vere o almeno per verosimili. Ebbene, mi si conceda questo atto di ammirazione per Leonardo scienziato, augurando che sorga un genio pari a questo che egli ebbe, ogni volta che o una interpretazione fantastica di fatti veri, o una critica eccessiva che avvolgendosi nella metafisica confonde ad es. la trasformabilità con la distruggibilità delle cose, moltiplicano i dubbi, che indeboliscono la fede nella scienza si da farla apparire in uno stato di perenne formazione, e, quando lo scetticismo assale, quasi un giuoco dello spirito, che niente possa conoscere della realtà. E ripetiamo quell’augurio quando in libri che trattano di scienza moderna, si leggono dei giudizi come questi dettati dal signor Le Roy: « l’intelligenza deforma tutto ciò che tocca, e ciò è più vero ancora del suo istrumento necessario, il discorso; della realtà non abbiamo che le nostre impressioni fuggevoli, e questa medesima realtà svanisce allorchè si tocca ». Ma veramente la scienza coltivata da Leonardo si è sempre mantenuta nella realtà delle cose e delle loro armonie, che egli comprendeva senza separarne [p. 17 modifica]l’ideale, che ne è la continuazione; quella scienza si è sempre mantenuta nella vita, che egli voleva veramente umana.

Però, anche quando una futura associazione di fisici, di matematici, di chimici e di fisiologici, sia per correggere, completare, annullare ipotesi teorie e principii, non saranno, in generale, annullate le scoperte di Leonardo accettate sino ad ora, e tanto meno saranno rifiutati i criteri del metodo sperimentale che genialmente concepì e magistralmente applicò; perciò il di lui nome nella scienza rimarrà perenne insieme al grandissimo merito che gli è dovuto, di aver cioè, in un tempo di medioevale ignoranza, orientato la scienza della natura verso il suo degno fine.



Scrivendo questi ricordi mi ha accompagnato fin da principio un vivo desiderio da altri espresso, e che è doveroso il ripetere finchè occorrerà; mentre gli ammiratori del grande artista, alcuni dei quali forse deplorano il gusto di Leonardo per la scienza, ricercarono e trovarono molte delle più piccole particolarità della vita di lui che, unite alle leggende, hanno già servito a comporre un piacevole romanzo, gli ammiratori del grande scienziato attendono che venga fatta una edizione integrale nazionale dei manoscritti Vinciani.

E poichè di una tale pubblicazione è stata incaricata, fino dal 1892 e con reale decreto, una speciale Commissione, è desiderabile che essa, ascoltando anche l’ammirazione entusiastica per quella eminenza umana, ritardi il meno possibile a compire l’assunto importantissimo incarico.

Attendiamo questa pubblicazione, perchè ci renderà più disposti ad amare le glorie di casa nostra, ed anche perchè, pur deplorando l’assoluta impossibilità di possedere i resti mortali di Leonardo, servirà ad inalzare a lui, dopo quello che gli spetta in Santa Croce, il più degno e duraturo monumento.