Le vie del peccato/La campana di partenza

La campana di partenza

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Un amuleto Sei verità

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LA CAMPANA DI PARTENZA.

A Saverio Procida.

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La campana di partenza


Nella camera da letto di Nora d’Orano, Bice Mauri che da un mese è divenuta marchesa di Monserrato, sta seduta davanti alla tavola di cristallo su cui, intorno al triplice specchio dalle cerniere di metallo bianco, posano tutti gl’istrumenti graziosi d’argento, d’acciaio, d’avorio, di tartaruga per l’acconciatura di Nora: pettini grandi e piccoli, uncini per allacciare i guanti, uncini per abbottonar gli stivali, spola di pelle per far lucide le unghie, scatole di cipria, limette, forbici lunghe come quelle chirurgiche, piccole e ricurve come due esili ali d’acciaio, un vasetto di cold-cream e due o tre fiali d’odori e una boccetta di sali, la paletta tonda per calzar gli scarpini e le spille [p. 82 modifica]lunghe per appuntare i cappelli.... Bice col cappello in testa gioca con quell’armamentario lucente. Nora sta seduta sul letto con una gamba su l’altra e fa saltare la pianella di pelle candida e opaca sul piede che ha la calza viola e lucida.

Nora. Tu devi raccontar tutto. Prima m’hai raccontato sempre tutto. Non son mica una bimba. Quattr’anni di collegio e due anni di vita mondana aprono gli occhi anche alle talpe.

Bice (fissando una forbice che apre e chiude lentamente). Non è per te Nora mia. Certe cose, anche a volerle dire, non si sa come dirle...

Nora. E a farle?

Bice. A farle è più semplice.

Nora. Semplice?

Bice. Semplicissimo.

Nora. Proprio tanto semplice?

Bice. Oh t’assicuro che è molto, molto più semplice di quel che credevo... di quel che credevamo. (le due ragazze si guardano e sorridono. Poi di nuovo evitano di guardarsi sapendo che a quel modo son più facili le parole audaci).

Nora (salta giù dal letto e col passo incerto e leggiadro delle donne alte su le babbucce va dietro alla seggiola di Nora, mette le due braccia [p. 83 modifica]su le spalle dell’amica, inchina la testina bionda dove i capelli ricci son stretti in cima da un piccolo rigido fiocco celeste, verso la testina bruna di lei. La blouse celeste di Nora splende sul panno bruno dell’abito tailleur dell’amica). Almeno dimmi quello che dicono...

Bice. E poi dici che non sei una bimba! Da ragazze noi crediamo gli uomini presso a poco tutti eguali. Da maritate si comincia a sperare che sieno differenti.

Nora. Sperare?

Bice (lascia cader le forbici spaventata della parola che le è sfuggita). Ho detto sperare? Volevo dire indovinare. E poi «sperare» che significherebbe?

Nora. Niente, già non significherebbe niente. Dunque mi dirai quel che ha detto tuo marito?

Bice. Quando?

Nora. Allora.

Bice. Oh, poco e niente.... Ha soffiato, ha soffiato, ha detto: «Quanto sei bella!» e s’è addormito.

Nora (ridendo e venendo davanti a Bice a mettersi contro lo specchio). Avrà detto «bela» non «bella» da buon veneziano.

Bice (ride rumorosamente). Sì, sì! Lo notai anche io subito, e mi ci venne da ridere. [p. 84 modifica]

Nora. Che presenza di spirito!

Bice. Oh ne avevo più di lui.

Nora. Ci credo.

Bice. Che intendi?

Nora. Niente di male. Anzi... tutti sanno che Monserrato è stato sempre molto serio e molto studioso prima di sposarti.

Bice (con poca convinzione). Non è meglio?

Nora. Sì e no. Sì: perchè almeno non hai da subir confronti. No: perchè papà dice sempre che il matrimonio è una scuola e il marito un maestro; quindi un maestro deve saperne molto di più della scolara.

Bice (difendendosi per puntiglio). Pure la Torres....

Nora. La Torres? L’hanno detto, ma non ci credo.

Bice. No, no, t’assicuro. La Torres è stata l’amante di Giovanni per quasi un anno....

Nora. Un po’ vecchia....

Bice. In ogni modo è qualche cosa; e Giovanni non si è poi occupato sempre di numismatica come mi diceva mammà per convincermi a sposarlo.

Nora. E della Torres non ti ha mai parlato?

Bice (seccamente). Sì. [p. 85 modifica]

Nora. Non ne sarai gelosa?

Bice. Pur troppo no.

Nora. Pur troppo? Saresti contenta di esserne gelosa? (Nora che si veniva distrattamente sciogliendo i riccioli davanti allo specchio e con un pettine fitto rialzava il folto ciuffo d’oro su la fronte bassa e tanto pallida, si volta di repente verso l’amica tendendo contro lei l’indice melodrammaticamente). Hai provato mai la gelosia tu?

Bice. No, mi piacerebbe. E tu? L’hai provata con...?

Nora. Zitta, qui dentro lui non si deve nominare. Lo sai con chi mi tradisce? Lo sai?

Bice. Con chi?

Nora. Con Carmen.

Bice. E chi è Carmen?

Nora. Una cocotte.

Bice. Uh, Nora! Una ragazza non deve dir certe parole.

Nora (eccitata, batte la costola del pettine sul vetro dello specchio). No? E come si chiamano? Adesso, perchè hai preso marito, già ti atteggi a matrona. Non ti ricordi più quanto abbiamo studiato gli abiti e i cappelli di Michelina, quando andavamo con le mamme in landau e la vedevamo [p. 86 modifica]passare al Pincio con l’ombrellino sul petto, portato in braccio come fosse stato un bambino caro, e con quel passo dinoccolato che le faceva sporgere i fianchi uno per volta, tanto bene. Fai la matrona adesso, ma allora fosti tu a trovare il segreto di quel passo famoso: mettere un piede davanti l’altro su la stessa linea, con un tempo eguale, così... (si prova, ridendo, a ripetere il passo). Ma con le babbucce non ci riesco. Non ti ricordi che smettemmo di camminare a quel modo da quando Giorgio....

Bice. Brava, l’hai nominato!

Nora. Avevo fatto il voto di non nominarlo più qui in camera mia. Ormai è fatto (riprendendo il discorso).... Quando Giorgio ci disse che sembrava che camminassimo sopra una corda tesa (ride).

Bice (ride, poi seria). Pure quel passo faceva sviluppare i fianchi, è vero?

Nora. Altro che! (pausa) Vuoi vedere il ritratto di...

Bice. Di Giorgio?

Nora. Sss! Basta averlo nominato una volta.

Bice. Dove l’hai?

Nora (va verso il canterano che è di legno chiaro e ha agli angoli qualche fregio sottile [p. 87 modifica]in metallo bianco come ha la toletta; apre un cassetto). Lo tengo fra le camicie da notte.

Bice. Se lo sapesse!

Nora. Avrebbe poco male da dire. Con questa ostinazione della mamma che vuole che per la notte io porti le camicie chiuse e con le maniche lunghe. Ecco.

Bice (con ammirazione). Bel figliolo, sempre (Pausa. Tutte due fissano il ritratto grande in platinotipia, dove si vede un giovane bruno con due baffi fieramente alzati, i capelli un po’ ricci e divisi su la tempia sinistra e gli occhi aggrottati con aria un po’ superba ma virile).

Nora. È un traditore, ma è bello. Non è vero che è bello? (lo guarda sempre).

Bice. T’ho già detto che è un bel figliolo (pure lo guarda. Pausa).

Nora (Improvvisamente prende il ritratto e lo bacia). To’ (un po’ di sangue le arrossa le guancie pallide) Senti...

Bice. Che cosa?

Nora. No, non te lo dico più, non te lo posso dire.

Bice. Volevi dire che avevi dato un bacio anche all’originale?

Nora. Due: uno al ballo a corte, uno al [p. 88 modifica]garden-party della Santamauro. Ossia: me li ha dati lui.

Bice. Dove?

Nora. Uno su l’orecchia, qui (l’indica). Uno su la guancia destra sotto l’occhio, qui (l’indica). Ma non era questo che ti volevo dire.

Bice. E che era?

Nora. No, no, è impossibile. Su, mettiamo via la tentazione (ripone sotto le camicie il ritratto e richiude il cassetto), e non ci pensiamo più (si passa una mano sulla fronte e si alza il ciuffo. Pausa. Va davanti allo specchio). Ma pure io son più bella di quella Carmen.

Bice. Che volevi dirmi? Spícciati.

Nora (torna a sedere sul letto a giocare con la babbuccia bianca. Incerta:) Volevo dire che... che è più bello di...

Bice. Di mio marito?

Nora (timidamente). Già.

Bice. Ma lo sapevo. E ci voleva tanto a dirlo? Ma son la prima io a riconoscerlo. Giovanni non è bello.

Nora (per compensare la magnanimità dell’amica). Del resto è meglio, sai. Non avrai a soffrir la gelosia.

Bice. Se ti dico che vorrei provarla!

Nora. Ma perchè? Se ti piace tanto, ti è [p. 89 modifica]facile. Resta un po’ a Roma, invece di tornar subito a Venezia; conosci la Torres, vacci a casa, portaci lui e vedrai che diverrai subito gelosa. Quella forse non s’è ancora consolata d’essere stata abbandonata. E poi alla sua età... È stato l’ultimo razzo, e adesso non c’è più che fumo. Alle signore, che un uomo le lasci per prender moglie, rincresce più che se un uomo le lascia per prendersi un’altra amante, sia pure la loro sorella o la loro amica più cara.

Bice (che ha scosso la testa con aria triste). Ma la separazione fra loro due non è andata così.

Nora. E come è andata?

Bice. È stata la Torres che ha lasciato Giovanni.

Nora. Ma no!

Bice. Ma sì! E questo è quel che m’angustia. Me l’ha raccontato proprio lui. Anche io credevo che egli la avesse abbandonata per me; e, sebbene la Torres abbia venti anni più di me, ero lusingata. Era sempre qualche cosa di più che le monete antiche! Invece a Parigi, in questo mese, Giovanni m’ha raccontato tutto. Ha cominciato dicendomi che finalmente aveva trovato un cuore sincero, un affetto sicuro, una donna tutta sua nel passato e nell’avvenire, e tante altre lodi [p. 90 modifica]che lì per lì non paiono lodi. Sarebbe come se un orefice vendendoti due solitarii ti ripetesse: – Li prenda, li prenda pure lei; tanto non se li prenderà mai nessuno. – Puoi star sicura che sono falsi gialli o piatti. Dopo, Giovanni cominciò a mostrarmi tutto l’orrore del peccato, narrandomi lo scandalo della Churchill, il processo della Fieschi, il duello fatto l’altr’anno per la Santini: tutte cose che io sapevo e che dovevo fingere di apprendere da lui con grandi maraviglie. Una noia, ti dico! E di nuovo tra un racconto e l’altro magnificava la felicità dell’amore eterno, delle due anime legate indissolubilmente, della fedeltà in ogni atto come in ogni pensiero; e fulminava con tanta ira le donne che cambiano amanti, che giocano con gli affetti come si gioca con le palle a tennis, che io credendo di fargli piacere lo canzonai dicendo un po’ male degli uomini e mostrando che sapevo la faccenda della vecchia Torres. Ma Giovanni buono ed ingenuo mi narrò tutta la verità. La Torres lo aveva abbandonato per un addetto dell’ambasciata spagnuola, quello che dirige tutti i cotillons... Come si chiama?

Nora. Oiveda. È amico di Giorgio.

Bice. Sì, Oiveda, proprio lui. Tu capisci? Mi ci caddero le braccia. Egli aveva sposato me per [p. 91 modifica]consolarsi, per cercare una tavola di salvezza tra le onde fuggenti.

Nora. No, no. Tu esageri.

Bice (che non si frena più). Ma sì, ma sì. Se la Torres non si prendeva Oiveda, io non sposavo il numismatico.

Nora. Chi?

Bice (con indifferenza un po’ sprezzante). Giovanni. Lo chiamo il numismatico, per quella sua santissima passione per le monete vecchie. A Parigi due giorni dopo il nostro arrivo m’ha tenuta due ore in una botteguccia oscura d’antiquario, per comprare certe monete dell’imperatore Eliogabalo. Per fortuna mentre lui guardava le monete con la lente, io guardavo senza lente un libro vecchio che avevo trovato in un angolo... un libro con certe figure... Se le avessi vedute!

Nora. Che titolo aveva il libro?

Bice. Un nomone... Erotomachia, mi pare. Aveva la data del 1672.

Nora. Non si troverà a Roma?

Bice. E chi te lo compra, se anche si trova?

Nora. Hai ragione (pausa lunga). Basta. In quell’affare della Torres hai ragione tu.

Bice. Quanto ci ho sofferto, Nora mia. Un uomo rifiutato da quella vecchia dipinta... [p. 92 modifica]

Nora. E con due denti falsi...

Bice. E un po’ sorda...

Nora. E con le molle del busto fatte d’acciaio...

Bice. E col fiato cattivo... Ti dico! È una vergogna, una vergogna. Tutto gli perdono io. Gli perdono d’esser calvo, di portar gli occhiali, di cercar le monete antiche, di fumar la pipa, di amare la carne lessa, di portare i polsini e i colli separati dalle camicie...

Nora. Anche questo! Povera Bice!

Bice. Ma non gli posso perdonare quella vergogna lì.

Nora (pronta). E tu...

Bice. Che cosa?

Nora. Niente, niente. Era un consiglio. Ma tu non sei vendicativa.

Bice. E non posso vendicarmi! Giovanni non m’ha mica tradita.

Nora. Già, ma pure...

Bice. Eh lo so, lo so. Io, tu lo sai, sono troppo onesta per pensare a fargli un torto. Ma quel pensiero che essendogli fedele son da meno di quella vecchia sdentata... mi fa rabbia.

Un Servo (bussa alla porta, entra). Il marchese di Monserrato è nel salotto verde. [p. 93 modifica]

Bice e Nora. Veniamo (il servo esce).

Nora. Fammi chiudere il canterano. Andiamo. Non bisogna far aspettar Monserrato.

Bice (quasi con dispiacere). Hai ragione. Proprio non se lo merita. È così buono.

Un anno dopo alle Corse alle Capannelle.

La Monserrato è tornata a passar la primavera a Roma; scende dalla tribuna verso il pesage appoggiandosi al braccio di un biondo colossale che s’inchina sorridendo galantemente verso la piccola compagna bruna vestita di bigio. Dal pesage esce Nora d’Orano sotto braccio a Giorgio Contri. Le due donne lasciano i loro cavalieri, si stringono con effusione le due mani, si salutano ad alta voce. Poi Nora susurra all’orecchio di Bice:

— E tuo marito?

— Aveva un appuntamento con un antiquario per comprare due monete d’oro dell’imperatore Galba.

— Sempre con Varés? Tutti dicono male di te, sai?

— Lasciali dire. A me, mi piace.

— Porta le camicie col collo attaccato?

— Ah lui sì!

— Come lo sai? (Bice diventa rossa) [p. 94 modifica]

— Come sei furba, Nora mia! Povero Giorgio!

— Oh, quello è più furbo di me.

— Ci credo. Addio, addio.

— Non bisogna fare aspettare Varés.

— Oh quello se lo meriterebbe. È tanto cattivo... (E ciascuna torna al suo cavaliere salutando e sorridendo).

(Suona la campana di partenza).