Le sfere omocentriche/IV. Teoria solare d'Eudosso

IV. Teoria solare d'Eudosso

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IV. Teoria solare d’Eudosso.

Intorno alla teoria solare d’Eudosso, apprendiamo da Aristotele, che essa dipendeva da tre sfere, disposte quasi nello stesso modo che le tre sfere della Luna, una delle quali si moveva secondo la rotazione diurna delle stelle, l’altra secondo lo zodiaco, la terza secondo un circolo collocato obliquamente nella larghezza della fascia zodiacale. Aristotele nota, che l’inclinazione del circolo ora nominato, rispetto al piano dell’eclittica, è pel Sole minore, che per la Luna. Nella sua esposizione, Simplicio, trascrivendo Sosigene, e riferendosi con questo all’opera di Eudosso περὶ ταχῶν, conferma le indicazioni d’Aristotele. Aggiunge poi, che il movimento della terza sfera non si fa (come avviene per la Luna) in senso contrario alla seconda, ma bensì nel medesimo senso (§ 2), cioè secondo l’ordine dei segni; e che tal moto è di gran lunga più lento del moto della seconda sfera. L’insieme di queste notizie mostra abbastanza quale era la natura dei movimenti solari secondo Eudosso; a meglio comprenderla ed illustrarla serviranno le osservazioni che seguono:

In primo luogo dobbiam notare, che circa le velocità delle due sfere interiori è qui caduto Simplicio nel medesimo errore che già abbiamo indicato per la Luna. Se infatti la terza sfera si muovesse, com’egli dice, con moto lentissimo sopra un circolo obliquo rispetto al piano dell’eclittica, è manifesto che il Sole si troverebbe generalmente trasportato in una latitudine boreale od australe; e le sue variazioni in latitudine essendo supposte assai lente, quell’astro nel suo moto annuo non descriverebbe già col suo centro un circolo massimo, come Simplicio stesso indica, ma per lo più un circolo minore, parallelo all’eclittica. Questa contraddizione nel rendiconto (del resto molto chiaro ed accurato, se non completo) di Simplicio mostra, che qui, come già vedemmo per il caso della Luna, il moto lentissimo deve attribuirsi alla seconda, non alla terza sfera, e farsi lungo lo zodiaco; e che il moto della terza sfera dee farsi nello spazio di circa un anno1 secondo quel circolo massimo ed obliquo, che il Sole sembra descrivere col proprio centro. Questo circolo massimo, inclinato sull’eclittica di un piccolissimo angolo, viene trasportato con moto diretto dalla seconda sfera intorno all’asse dello zodiaco, ed i suoi nodi sull’eclittica andranno così, come supponeva Eudosso, lentamente avanzando, invece di retrogradare come quelli dell’orbe lunare.

In secondo luogo vediamo, che il movimento annuo del Sole sul suo circolo si presenta qui come perfettamente uniforme. Eudosso dunque respingeva qualunque anomalia del moto solare. Dico respingeva, perchè egli non poteva ignorare, che, sessanta o settant’anni prima di lui, Metone ed Eutemone da diligenti osservazioni dei solstizj e degli equinozj avevano messo in evidenza il fatto, allora quasi incredibile, che il Sole non impiega tempi eguali a percorrere i quattro quadranti del suo circolo, compresi fra i punti equinoziali esolstiziali2. Eudosso quindi dovea necessariamente supporre eguali le durate delle quattro stagioni: di che abbiamo anche un’altra prova diretta. Infatti, in un papiro greco antico, contenente [p. 14 modifica]estratti dal calendario d’Eudosso, e conosciuto perciò sotto il nome di Papiro d’Eudosso3, è indicato chiaramente, che Eudosso attribuiva alle quattro stagioni una uniforme durata di 91 giorni, eccettuato l’autunno, a cui assegnava 92 giorni, per aver un totale di 365 giorni in tutto l’anno.

Ma la circostanza più singolare e più degna di notizia, che si presenta nella teoria solare d’Eudosso, è la distinzione che in essa si stabilisce fra il piano fisso dell’eclittica e il piano, ivi supposto mobile, dell’orbita solare annuale. Il piano di quest’orbita si suppone, come quello dell’orbe lunare, inclinato d’un piccolo angolo costante sul piano dell’eclittica; ed ai suoi nodi, cioè alle sue intersezioni coll’eclittica, si deve attribuire, giusta Eudosso, un lento movimento secondo l’ordine dei segni. Gli storici dell’astronomia non hanno prestato sufficiente attenzione a questa ipotesi; da altri non fu interpretata bene, e fu scambiata col fenomeno, assai diverso, della precessione degli equinozj. È dunque importante considerare con qualche esattezza questo punto, per togliere l’oscurità in cui si trova ancora avviluppato. Per agevolezza del discorso daremo al fenomeno il nome di nutazione dell’orbe solare.

Simplicio (§ 2) assegna la ragione per la quale Eudosso introdusse la terza sfera del Sole, la quale produce quella nutazione. «Ad Eudosso, egli dice, ed a quelli che furono prima di lui4, pareva il Sole moversi di tre movimenti, cioè di quello che segue la rivoluzione delle fisse, di quello che conduce in senso opposto per i dodici segni, e d’un terzo movimento laterale rispetto al circolo mediano dello zodiaco; il qual ultimo fu concluso da questo, che il Sole nei solstizj estivi ed invernali non sorge sempre dal medesimo luogo dell’orizzonte»5. Apprendiamo da ciò, che già astronomi anteriori ad Eudosso supponevano nel Sole una divagazione nel senso della latitudine, e una variazione dei punti in cui succedono i solstizj e gli equinozj. Cosa che parrà strana a chi oggi studia gli elementi dell’astronomia sui libri, ma che non era strana per nulla in uomini, i quali doveano stabilire col soccorso d’imperfette osservazioni i primissimi fondamenti della scienza. Ai primi astronomi, che si occuparono del movimento dei sette astri erranti, le deviazioni della Luna e dei cinque pianeti minori in latitudine, dovettero manifestarsi assai presto dal paragone immediato colle stelle fisse. Non era dunque per essi nè agevole, nè naturale il supporre, che, unico fra tutti, il Sole non si permettesse alcuna deviazione dal circolo mediano dello zodiaco. Forse il paragone diretto della posizione del Sole con quella delle stelle fisse vicine avrebbe potuto trarli d’inganno; ma questo paragone non era possibile allora. Le osservazioni fatte col gnomone, e la determinazione del punto dove il Sole si leva e tramonta nell’epoche dei solstizj, non erano nè sufficientemente esatte, nè facili a [p. 15 modifica]coordinare teoricamente colle osservazioni delle stelle. Con queste ragioni intendiamo perfettamente perchè il mito astronomico della nutazione dell’orbe solare si sia propagato a traverso di tutti i secoli dell’astronomia greca, prima e dopo di Eudosso, siccome or ora diremo.

Stando all’istoria astronomica di Eudemo (che fu contemporaneo ed amico d’Aristotele), il primo a notare una ineguaglianza del corso del Sole sarebbe stato Talete, del quale si narra, che abbia trovato «il giro del Sole rispetto ai solstizj non avvenir sempre in modo uguale»6. Il che si può intendere tanto di una variazione nel corso del Sole sulla sfera celeste, quanto di una ineguale durata dell’anno; ma forse più propriamente della prima; perchè una ineguale durata dell’anno avrebbe prodotto anomalie nel giro del Sole anche rispetto alle stelle; giro, che al tempo di Talete, e ancora molto dopo, i Greci tutti assumevano come determinatore delle stagioni, dei lavori agricoli, e quindi anche della durata dell’anno. Ora, nel passo d’Eudemo si parla del giro del Sole non rispetto alle stelle, ma rispetto ai punti solstiziali; cose che ai Greci d’allora apparivano distinte, come a noi, sebbene per ragioni assai diverse da quelle che ora noi sappiamo assegnare.

Un altro documento ci prova che l’idea di un moto del Sole in latitudine era divulgata in Grecia non solo prima d’Eudosso, ma anche dopo di lui, e dietro l’autorità di lui. Nel primo libro della sua Introduzione ai fenomeni d’Arato, Ipparco cita il seguente passo del Commentario, che, verso il principio del secondo secolo prima di Cristo, Attalo Rodio aveva scritto sul poema Arateo: «Gli Astronomi sogliono dare ai tropici, all’equatore ed all’eclittica una certa larghezza; e dicono, la conversione del Sole non farsi sempre nel medesimo circolo, ma ora più a settentrione, ora più a mezzodì. Il che conferma Eudosso colle seguenti parole, che si leggono nell’Enoptro; «sembra che il Sole anch’egli mostri qualche differenza nei luoghi delle sue conversioni, ma molto meno manifesta, ed affatto piccola»7. Noi avevamo già appreso da Aristotele, che nella mente d’Eudosso le digressioni del Sole in latitudine erano minori che quelle della Luna; la frase precedente tratta dall’Enoptro mostra, che esse erano da lui ritenute come piccolissime, e come appena sensibili all’osservazione. Le espressioni comparative contenute in questa frase si riferiscono senza dubbio alla Luna, di cui Eudosso aveva ragionato prima. Quale fosse veramente l’inclinazione, che all’orbe solare Eudosso attribuiva, non è più possibile indagare; nulla del pari si può sapere intorno al periodo delle rivoluzioni dei nodi dell’orbe solare sull’eclittica8, e della posizione che a questi nodi si attribuiva in un dato tempo.

Fra gli astronomi, dei quali Attalo dice, che ammettevano la nutazione dell’orbe solare, noi possiamo mettere in prima linea Callippo, il quale, come vedremo, attribuì al corso del Sole anche una sfera, per spiegare il moto in latitudine. Un’opinione la quale aveva a sostenitori [p. 16 modifica]Eudosso e Callippo, i primi astronomi del loro tempo, dovea facilmente divulgarsi, come ne fa fede il passo di Attalo. Essa trovò un primo e valente contradditore in Ipparco, il quale nell’opera citata ne fa una critica acerba, e forse anche eccessiva. Ipparco nota, che le osservazioni solstiziali fatte al gnomone non manifestano alcun moto del Sole in latitudine, e che le eclissi di Luna calcolate dagli astronomi del suo tempo, senza tener conto di quel moto, verificavano esattamente le predizioni, non differendo la grandezza osservata dalla calcolata, che di due digiti al più, ed anche questo raramente9. Ciò malgrado, troviamo notizie dell’ipotetica nutazione presso scrittori anche molto più recenti d’Ipparco. Plinio, descrivendo nel secondo libro della Storia naturale la diversa inclinazione del corso dei pianeti rispetto all’eclittica10, così s’esprime rispetto al Sole: «Sol deinde medio (signifero) fertur inter duas partes flexuoso draconum meatu inœqualis:» colla qual fantastica combinazion di parole intende dire, che il Sole descrive una linea sinuosa in mezzo allo zodiaco, scostandosi dall’eclittica di un grado da ambe le parti. Questo è reso anche più manifesto dalle parole che vengono dopo: «Martis stella, quatuor mediis: Iovis media et super eam duabus, Saturni duabus, ut Sol». Fra i numerosi autori, dai quali Plinio tolse il materiale pel suo libro secondo, è impossibile indovinare quello, da cui ha potuto aver origine questa notizia.

Ma una teoria completa sulla nutazione dell’orbe solare si trova presso Adrasto Afrodisiense, filosofo peripatetico e matematico, il quale viveva verso la fine del primo secolo, o verso il principio del secondo secolo di Cristo, giusta quanto congettura H. Martin11. Copiosi estratti di un suo libro sull’astronomia formano la maggior parte del libro di Teone Smirneo, pubblicato, nel 1849 dallo stesso Martin con dottissimo apparato letterario, sotto il titolo: Theonis Smyrncœi Platonici liber de Astronomia, Parisiis, 1849. Nel capo XII di quest’opera, Teone, seguendo Adrasto, narra dei movimenti che gli astri erranti (il Sole compreso) hanno in latitudine; enumerando poi le digressioni massime di ciascuno dall’eclittica, dice12:«Il moto del Sole secondo la latitudine nello zodiaco, è affatto piccolo, in tutto una parte sopra 360». Con che è da intendersi, la digressione massima del Sole dalle due parti dell’eclittica essere di mezzo grado. E dopo indicate le digressioni degli altri pianeti, prosegue: «Ma la Luna e il Sole si scostano in latitudine dall’eclittica in modo eguale da ambe le parti, ed in ogni segno». Le quali ultime parole accennano al moto dei nodi dell’orbita lunare e solare sopra l’eclittica. Nel capo XXVII poi13, discorrendo dei periodi in cui la longitudine, la latitudine e la distanza del Sole dalla Terra ritornano ad esser le medesime, dice: «Per il Sole le restituzioni di longitudine, di latitudine, di distanza, e della così detta anomalia, sono tanto vicine fra loro, che ai più dei matematici sembrano affatto eguali, cioè di 3651/4 giorni. Ma quei che considerano la cosa con maggior esattezza, credono, che il tempo della rivoluzione in longitudine, cioè del ritorno del Sole, da un punto al medesimo punto, da un solstizio al [p. 17 modifica]medesimo solstizio, o da un equinozio al medesimo equinozio, sia circa quello che abbiamo già detto (3651/4 giorni); onde avviene che il Sole dopo quattro anni ritorna alla medesima longitudine nella medesima ora del giorno. Il tempo della restituzione d’anomalia, durante il quale ritorna alla massima od alla minima distanza dalla Terra, alla massima od alla minima velocità apparente, alla massima od alla minima grandezza apparente, credono esser di giorni circa 3651/2; e dopo due anni ritornare il Sole ad esser da noi egualmente distante alla medesima ora del giorno. E il tempo della restituzione secondo la latitudine, cioè quello in cui dal punto più australe o più boreale14 ritorna al medesimo punto in modo da produrre di nuovo ombre identiche coi medesimi gnomoni, credono essere di 3651/8 giorni; e il Sole dopo otto anni di nuovo trovarsi avere la medesima latitudine alla medesima ora del giorno». Finalmente, nel capo XXXVIII15 va quanto, segue: «Il circolo del Sole sembra percorrere quasi la medesima via che l’eclittica; però con alquanta inclinazione, in modo da dipartirsi dall’eclittica di circa mezzo grado da ambe le parti».

Ecco dunque sulla nutazione dell’orbe solare un insieme di idee ben definite e di dati numerici, che certamente non deriva da Teone, nè da Adrasto, ma da qualche astronomo anteriore ad ambidue. Il polo dell’orbe solare mobile dista qui mezzo grado dal polo fisso dell’eclittica; e il primo si avvolge intorno al secondo, descrivendo un piccolo circolo di un grado di diametro. La velocità di questo movimento poi è tale, che mentre il Sole impiega 3651/4 giorni a descrivere tutta la longitudine di 360, per ritornare al medesimo punto della sua orbita mobile gli bastano 3651/8 giorni; dal che consegue, che il moto di quell’orbita è retrogrado, e che si compie in tanti anni, quante volte la differenza dei due periodi, cioè 1/8 di giorno, sta in 3651/4 giorni; dunque in 2922 anni.

Le conseguenze geometriche di queste ipotesi sono agevoli a vedere. Sia (fig. 1), sulla sfera celeste, P il polo dell’equatore, E quello dell’eclittica, l’arco PE l’obliquità; abcd rappresenti il piccolo circolo di diametro descritto dal polo dell’orbe solare in 2922 anni nel senso indicato dalla saetta, contrariamente all’ordine dei segni. Trovandosi ad un istante qualunque questo polo in m, sarà in quell’istante Pm l’inclinazione nell’orbe solare rispetto all’equatore celeste, e la direzione dell’arco Pm sarà in pari tempo quella del coluro dei solstizj, la direzione perpendicolare quella del coluro equinoziale. La massima inclinazione dell’orbe solare sull’equatore sarà Pb, la minima Pa, e la sua variazione lentissima dal massimo al minimo sarà di un grado16. La direzione dei coluri avrà poi intorno a P un moto libratorio, di cui i limiti saranno (pel coluro solstiziale) le direzioni Pc, Pd, e l’ampiezza totale sarà l’angolo cPd. Posto si ha l’angolo ; e tale sarà pure l’ampiezza del moto oscillatorio dei punti equinoziali sull’equatore17. La massima velocità di questi punti corrisponderà alla posizione a del polo dell’orbe solare; in tal circostanza gli equinozj avanzeranno di 9’’ 71 sull’equatore ogni anno. Un altro massimo corrisponde ad un moto retrogrado degli equinozj, quando il polo dell’orbe solare è in b: la retrogradazione [p. 18 modifica]annua sull’equatore è allora di 9’’ 33. Da questo appare, che le supposizioni riferite da Teone non sono state immaginate, come alcuno potrebbe forse sospettare, per dare una spiegazione del moto dei punti equinoziali scoperti da Ipparco. Questo moto infatti è uniforme ed assai più celere, ed importava, secondo Ipparco, 36’’ annui lungo l’eclittica; onde, volendo trasportarlo sull’equatore (supporre cioè che l’eclittica si muova lungo l’equatore), rimane ancora di 33’’.

Non è facile dire a quale degli antichi astronomi appartenga la teoria precedente. Le durate 3651/8, 3651/4, 3651/2 assegnate per le restituzioni di latitudine, di longitudine e di anomalia sembrano calcolate nello scopo di ricondurre la medesima posizione del Sole alla medesima ora in capo ad otto anni, siccome espressamente nota Teone. Pare dunque che queste determinazioni siano coordinate al celebre periodo dell’ottaeteride, il quale, prima che Metone pubblicasse il suo aureo ciclo di 19 anni, serviva ai Greci per connettere alla meglio il loro calendario col moto del Sole e della Luna. Parecchi astronomi si occuparono di questo periodo, anche dopo l’invenzione di Metone; fra essi sono nominati Eudosso, Arpalo, Nautele, Mnesistrato, Dositeo ed Eratostene. Ad Eudosso non si può certamente ascrivere la teoria precedente; prima, perchè il moto dei nodi solari secondo lui è diretto, mentre qui appare retrogrado: secondo, perchè da Plinio apprendiamo (vedi la nota (52)) che le variazioni dei fenomeni erano da lui messe in relazione con un ciclo quadriennale, non con un’ottaeteride. Sembra anzi, che l’ottaeteride attribuita ad Eudosso fosse opera di altro autore, forse di Dositeo18, amico e contemporaneo d’Archimede. Nè certamente si potrà pensare di fare Eratostene autore della nutazione solare citata da Adrasto e da Teone, essendo abbastanza certo, che Eratostene supponeva fissa e costante l’obliquità dell’eclittica.

In ogni caso il fatto, che astronomi come Dositeo ed Eratostene, si occuparono ancora dell’ottaeteride dopo le invenzioni di Metone e di Callippo, dimostra, che quel ciclo, il quale aveva perduto ogni opportunità come sistema di lune intercalari, conservava però qualche importanza d’altro genere; ed è difficile immaginarne un’altra, che non derivasse dalle restituzioni di certi periodi relativi al Sole. Ma più oltre non è possibile procedere in questa indagine.

Qualche altra luce sulla storia della nutazione solare ci porge Marziano Capella, il quale trascrivendo, a quanto sembra, il libro dell’Astronomia di Terenzio Varrone, dice quel che segue sul movimento dei pianeti in latitudine19: Alia (sidera) per tres (latitudinis) partes deferuntur: alia per quatuor: alia per quinque: alia per octo: quœdam per omnes duodecim deferuntur. Sol in nullam excedens partem in medio libramento fertur absque ipso Librœ confinio. Nam ibi se aut in Austrum Aquilonemque deflectit ad dimidium fere momentum. Il Sole dunque seguirebbe esattamente l’eclittica nel suo corso annuale, eccetto che nel segno della Libra, dove ha luogo una deviazione di circa mezzo grado verso mezzodì o verso settentrione! Evidentemente questa notizia del compilatore africano, passando di penna in penna, divenne corrotta ed inintelligibile. Il senso primitivo era forse questo: che il Sole non si scosta mai in modo sensibile dall’eclittica, e che soltanto nella Libra (e nell’Ariete per conseguenza) la sua latitudine arriva a mezzo grado. Con questa interpretazione noi acquistiamo la notizia, che i nodi dell’orbita solare si supponevano, dagli autori primitivi di questi dati, coincidere coi punti solstiziali, e le massime digressioni del Sole in latitudine coi punti [p. 19 modifica]equinoziali 20. E tal congettura acquista vie maggior peso dal fatto, che una indicazione interamente parallela a quella di Marziano Capella, e nondimeno procedente da fonte diversa, si trova in un trattato latino: De Mundi cœlestis terrestrisque constitutione, il quale va stampato fra le opere del venerabile Beda, e viene a lui attribuito, sebbene l’epoca della sua composizione sia, per indizj manifesti, posteriore a Carlo Magno21. In questo scritto si legge: Sol duas medias (zodiaci partes) servat, nec illas, nisi in Libra, excedit22. Si ha dunque qui una escursione di due gradi in latitudine, come quella a cui accenna Plinio; anche le escursioni degli altri pianeti, accennate in quell’opuscolo, coincidono meglio con quelle date da Plinio, che con quelle degli altri autori23. Pur tuttavia in questa tradizione, che è diversa da quella seguita da Marziano Capella, si colloca nella Libra la massima digressione del Sole dall’eclittica, come fa Marziano. Da questo sembra si possa concludere con qualche probabilità, che i diversi astronomi, ai quali piacque ammettere la nutazione dell’orbe solare, differivano circa l’ampiezza di questa nutazione, ma si accordavano però a collocare al loro tempo nella Libra il luogo (od uno dei luoghi) della massima digressione del Sole dall’eclittica.

In tale supposizione i nodi dell’orbe solare sull’eclittica coincidevano coi solstizj, o non erano molto distanti. Una considerazione attenta della figura prima mostra che in tal circostanza il movimento del coluro equinoziale era nullo o quasi nullo: il che conferma quanto già sopra abbiamo dimostrato, che l’ipotesi della nutazione solare non fu creata per dar spiegazione di un movimento dei punti equinoziali. Eudosso, Teone, Plinio, Marziano Capella, il falso Beda non conoscono affatto la precessione. All’opposto, la coincidenza dei nodi solari [p. 20 modifica]coi punti solstiziali produce una variazione comparativamente rapida dell’obliquità del circolo solare, la quale nelle supposizioni numeriche riferite da Teone Smirneo, importerebbe circa 4’’ ogni anno. Di siffatta variazione dell’obliquità, adunque, gli antichi inventori di questa ipotesi avrebbero creduto potersi convincere col mezzo delle osservazioni del gnomone, del luogo dove sorge sull’orizzonte il Sole solstiziale.

Prima di abbandonare questo curioso soggetto, è mio dovere di notare, che Bailly ha interpretato il movimento della terza sfera solare di Eudosso24, come un indizio, che a quei tempi già si avesse un’idea della variazione dell’obliquità dell’eclittica; seguendo poi le idee del secolo scorso, congettura che Eudosso avesse potuto imparare in Egitto questa nozione. Ma allorquando si pensa, che la variazione dell’obliquità suddetta non arriva a mezzo secondo in un anno, e richiede quindi 7200 anni per sommare ad un grado; e quando si riflette, che ai tempi d’Eudosso l’ampiezza di un grado ancora si confondeva fra gli errori di osservazione, non saremo troppo disposti a concedere all’opinione di Bailly molta probabilità. Malgrado la diligenza degli osservatori Alessandrini e quella degli Arabi e degli Europei, l’obliquità dell’eclittica fu ritenuta come costante ancora ai tempi di Ticone, e non sono ancora 200 anni da che la sua diminuzione è generalmente ricevuta dagli astronomi.

Con maggior apparenza di verità, il professore Lepsius, nella sua classica opera Sulla cronologia degli Egiziani25, ha interpretato il movimento della terza sfera solare di Eudosso come un indizio, che Eudosso già avesse cognizione della precessione degli equinozj, e che l’avesse imparata dagli Egiziani. Escludendo per ora gli Egiziani da questo discorso, io esaminerò soltanto la parte che concerne Eudosso, e porrò la questione: 1.° la terza sfera solare d’Eudosso può interpretarsi in un senso consentaneo ad un movimento di precessione? 2.° si ha nel sistema d’Eudosso qualche argomento decisivo per attribuirgliene o per negargliene la cognizione?

Relativamente alla prima di queste due questioni, sembra che le ricerche precedenti non possano lasciare il minimo dubbio. Infatti le testimonianze di Aristotele, di Attalo Rodio e di Simplicio, che qui sopra abbiamo addotto, si accordano perfettamente fra loro. Inoltre, per quanto riguarda Aristotele e Simplicio, pare che non vi possa esser dubbio circa alla loro esattezza e credibilità. Aristotele, come vedremo, si occupò in modo affatto speciale delle sfere omocentriche, ed Eudemo, il quale ha fornito tutte queste notizie a Simplicio, ne parlò distesamente nella sua Storia dell’astronomia. Ambidue erano in relazione con Callippo, il riformatore del sistema; ed il libro di Eudosso περὶ ταχῶν era ancora nelle loro mani. L’interpretazione più naturale e più semplice delle loro relazioni conduce senza alcuna dubbiezza all’ipotesi della nutazione dell’orbe solare. Questa poi non compare qui come fatto isolato nella storia dell’astronomia; ma si trova adottata e modificata anche presso altri astronomi, di cui Plinio, Teone, Marziano Capella, e il falso Beda ci apportarono le tradizioni con maggiore o minore esattezza.

Lepsius, prendendo in esame la terza sfera solare d’Eudosso, discute anch’egli le testimonianze di Attalo, di Aristotele e di Simplicio, e consacra una serie di sottili ricerche ad investigare se i loro testi, con qualche lata interpretazione, consentano che s’introduca la precessione invece della nutazione così chiaramente indicata. Dopo varj inutili tentativi, egli riconosce, che un indizio di precessione non si può supporre, senza attribuire a quei testi un [p. 21 modifica]senso improbabile, o senza contraddire direttamente ai medesimi, o senza supporre che gli spositori della costruzione d’Eudosso non l’abbiano ben capita (p. 201-204). Ripugna tuttavia al dotto egiptologo l’ammettere, che Eudosso abbia potuto attribuire al Sole un movimento affatto immaginario (p. 204), e creare una sfera appositamente per ispiegarlo. Credo che questa ripugnanza gli sarebbe sembrata minore, se nel fare queste ricerche egli avesse tenuto sottocchio quello che del medesimo movimento immaginario lasciarono scritto Teone, Plinio, Capella ed il falso Beda; i quali provano, che, in un certo tempo e presso una certa scuola di astronomi, la nutazione dell’orbita solare fu riguardata come una parte essenziale della teoria di questo astro.

Un’altra difficoltà ad ammettere la nutazione solare presso Eudosso egli trova nelle critiche, con cui Ipparco accompagna la citazione del testo più volte nominato di Attalo26. Ora in questo luogo Ipparco confuta l’opinione di Attalo, che i circoli celesti possano avere una larghezza finita, e ciò fa con ragioni astronomiche. Parimenti dimostra, con varie citazioni di Arato, che questo poeta non aveva quell’opinione. Ma che da tali ragionamenti di Ipparco risulti qualche cosa relativamente ad Eudosso, come tenta mostrare il Lepsius (p. 204), è quanto non saprei vedere. La teoria della nutazione solare non implica alcuna larghezza finita dell’eclittica, come non l’implica il movimento della Luna e degli altri pianeti in latitudine. In essa teoria il circolo descritto dal Sole è un circolo matematico, sebbene mobile di posizione. Onde, dato pure che Attalo citasse a torto Eudosso come fautore della larghezza finita dei circoli celesti, nulla ne deriverebbe, nè pro nè contro, nella questione che ci occupa.

Lepsius non può credere, che Eudosso abbia voluto introdurre una sfera per ispiegare una aberrazione così poco sensibile, com’è quella a cui accennano le parole dell’Enoptro, mentre altre ineguaglianze assai più rilevanti furono da lui neglette. Ma dal momento che Eudosso ammetteva una deviazione del Sole dall’eclittica, questa deviazione, grande o piccola, reale od immaginaria che fosse, egli era obbligato a comprenderla nelle sue ipotesi matematiche. Altre assai maggiori ineguaglianze (p. e. l’eccentricità dell’orbe lunare) non furono da lui introdotte, perchè le osservazioni imperfettissime di quel tempo non le aveano ancor manifestate. Nella storia dell’astronomia occorrono molti esempj consimili di minuzie puramente immaginarie tenute in calcolo, mentre si negligevano fenomeni reali, di molta maggior entità. Addurrò soltanto la trepidazione delle fisse e la nutazione dell’asse terrestre, secondo Copernico.

Ponderata ogni cosa, sembra al professor Lepsius che la minor somma di difficoltà stia nella supposizione, che Eudosso abbia ricevuto dall’Egitto la precessione non solo, ma anche la teoria delle sfere omocentriche; che nello studiarla egli non si sia reso conto esatto delle funzioni della terza sfera solare, la quale gli Egiziani avrebbero appunto incaricato di produrre la precessione; e che Eudosso medesimo, o gli spositori delle sue dottrine, abbiano finito per assimilarla alla terza sfera della Luna, attribuendole movimento e posizione analoga. Con che sarebbe nata l’idea della nutazione dell’orbe solare. Ecco a un dipresso le ragioni principali cui appoggia questa congettura.

Eudosso, ci assicura Seneca, fu il primo a trasportare dall’Egitto in Grecia la notizia dei movimenti planetarj27. Diodoro afferma, che gli Egiziani da tempo immemorabile osservavano questi movimenti, e che con ispeciale esattezza ne notavano i periodi, le stazioni [p. 22 modifica]e le retrogradazioni28. Aristotele assicura, all’occasione di una occultazione di Marte da lui veduta, che di simili annotazioni su tutti i pianeti si potevano trovare nelle antiche osservazioni degli Egiziani e dei Babilonesi29. Si può dunque riguardare come verosimile, che Eudosso traesse dall’Egitto le cognizioni astronomiche positive, che formano la base del sistema delle sfere. Anzi, osservando che in certi monumenti egiziani30 si trovano le figure della dea del cielo ripetute l’una dentro dell’altra e concentricamente e similmente disposte, Lepsius crede di vedere in quelle null’altro che una rappresentazione simbolica delle sfere omocentriche del cielo (p. 199), e ne trae argomento per credere, che Eudosso sia stato preceduto dagli Egiziani nell’ideare il suo sistema. A ciò sembra alludere anche Simplicio, quando dice (§ 2), che «ad Eudosso, e a quelli che furono prima di lui, il Sole pareva moversi di tre movimenti.» Congetturando che i predecessori d’Eudosso siano i sacerdoti d’Egitto, Lepsius tiene per verosimile, che nel terzo di quei movimenti sia da ravvisare la precessione, e che Eudosso non trovando questo movimento confermato dalle osservazioni a lui conosciute, non abbia inteso bene i suoi maestri, e supposto in quella vece un movimento che non esiste, cioè la nutazione dell’orbe solare. Nè contento di accennare in modo generale a questo possibile errore dell’astronomo di Cnido, Lepsius cerca ancora di mostrare qual posizione e movimento avevano potuto dare gli Egiziani alla supposta sfera della precessione.

Egli comincia dallo stabilire, che se Eudosso e gli Egiziani conobbero una precessione, questa dovette consistere in un moto dell’eclittica lungo l’equatore, non già, come l’intendiamo noi, dell’equatore lungo l’eclittica31. Il movimento dell’equatore e dei poli dell’asse del mondo, come oggi si conosce, era una supposizione troppo lontana dalle idee dell’antichità, per la quale i poli dell’equatore erano il sostegno incrollabile di tutto l’universo. Era questa dunque degli Egiziani una specie di precessione equatoriale, in cui i poli dell’eclittica si supponevano girare intorno ai poli dell’equatore in un periodo, al quale, dietro diverse indicazioni degli autori, Lepsius assegna una durata di 36000 anni32. Perciò egli dà alle supposte sfere degli Egiziani la seguente disposizione. Prima e più esterna, la sfera del moto diurno intorno ai poli immobili del mondo. Alla seconda sfera attribuisce il moto annuo del Sole per l’eclittica intorno ai poli di questo circolo. Alla terza sfera assegna i medesimi poli che alla prima, ed un lentissimo moto retrogrado in 36,000 anni, e crede che essa valga a produrre la precessione equatoriale di cui sopra. E questa egli reputa analoga alla terza sfera lunare d’Eudosso. Ma è facile convincersi, che in questo modo non si raggiunge lo scopo prefisso. Infatti i poli della terza sfera essendo fissati sulla seconda, partecipano al movimento di questa, e sono aggirati ogni anno intorno ai poli dello zodiaco. Se quindi, in un dato istante, i poli della terza sfera coincidevano con quelli del mondo, dopo sei mesi ne saranno lontani di quasi 48 gradi, cioè di quanto importa il doppio dell’obliquità del[p. 23 modifica]l’eclittica. E l’effetto della terza sfera sarà, non di produrre una precessione equatoriale, ma di portare il Sole successivamente in latitudini sempre maggiori, e di allontanarlo col tempo dal circolo dell’eclittica fin quasi a 24°.

Si può anzi dimostrare, che con nessuna disposizione di tre sfere diversamente fra loro inclinate è possibile ottenere una precessione equatoriale, se non quando si scambino di luogo la seconda e la terza sfera di Lepsius, attribuendo alla prima e più esterna il moto diurno intorno all’asse del mondo; alla seconda il moto precessionale intorno al medesimo asse e nel medesimo senso; alla terza il moto annuo intorno all’asse dell’eclittica. Ma è palese, che l’effetto delle due prime sfere, le quali si aggirano intorno all’asse del mondo, può esser prodotto da una sola, dando a questa lo stesso asse, e una velocità eguale alla somma delle due velocità di quelle. Se dunque veramente Eudosso, che era valente geometra, o gli Egiziani, avessero voluto introdurre la precessione nella loro teoria del Sole, l’avrebbero composta di due sfere sole. Alla prima di esse avrebbero assegnato un movimento intorno all’asse delle fisse, e con una velocità uguale a quella delle fisse, sommata con quella del moto precessionale; alla seconda un movimento intorno all’asse dello zodiaco secondo l’ordine dei segni, con periodo uguale all’anno tropico.

Poichè Eudosso non adottò tale combinazione di due sfere, che sola poteva produrre la precessione equatoriale, dobbiamo considerare come certo, che la terza delle sue sfere solari indica qualche altra cosa che la precessione; e quest’altra cosa è la nutazione dell’orbe solare. E poichè egli attribuì alla prima delle sfere del Sole una velocità esattamente uguale a quella delle stelle, dobbiamo concludere, che egli non ebbe alcuna idea di una precessione intorno al polo dell’equatore, della quale gli sarebbe stato facilissimo dar conto solo col modificare lievemente la velocità della sua prima sfera. E con questo si è risposto ad ambedue le questioni enunziate in principio.

Per quanto riguarda l’origine egiziana delle sfere omocentriche, essa sembra appartenere a quegli argomenti, di cui l’affermazione è altrettanto destituita di prove, che la negazione. Nel secondo articolo di questa Memoria si è cercato di far vedere, come il sistema d’Eudosso si connetta al progresso precedente dei Greci nelle idee sulla struttura del mondo. Un intervento d’idee straniere non sembra qui necessario; non voglio però negarne la possibilità. Anche mi guarderò dal contestare la bellissima interpretazione data dal Lepsius sulle figure concentriche della dea celeste, rappresentata su certi monumenti egiziani, nelle quali egli ravvisa l’idea delle sfere; non è da tacer tuttavia, che i templi di Tentira, di File e di Hermonthis, dove queste figure stanno scolpite, sono tutti dell’epoca greca e romana, quindi posteriori ad Eudosso di più secoli.

Cade così, colla precessione d’Eudosso, uno dei principali argomenti, a cui si poteva appoggiare la cognizione della precessione presso gli Egiziani. Dell’altro argomento capitale, che si deduce dal loro calendario, e che non è connesso colle sfere d’Eudosso, non è questo il luogo opportuno di trattare 33 [p. 24 modifica]

Note

  1. Dico quasi un anno, perchè il Sole essendo spinto a procedere in longitudine dalle due ultime sfere, la sua velocità totale è la somma delle velocità speciali delle due sfere. Quindi la velocità nella terza sfera dev’esser alquanto minore di ciò che noi chiamiamo moto medio in longitudine, e la rivoluzione nella terza sfera essere alquanto maggiore di un anno tropico.
  2. Vedi su tale argomento l’art. VII di questa Memoria.
  3. Questo papiro, del quale Boeckh ha fissato con certezza l’epoca nell’intervallo compreso fra gli anni 190-193 avanti Cristo, e che contiene molti dati relativi al calendario, anche di astronomi posteriori ad Eudosso, si conserva al Museo del Louvre a Parigi. Per maggiori informazioni leggasi: Beunet de Presle, nel vol. XVIII delle Notices et Extraits de la Bibliothèque du Roi, parte II; Boeckh, Ueber die vierjährigen Sonnenkreise der Alten; p. 197-226: Letronne, Journal des Savants, anno 1839. Estratti, che hanno relazione col presente argomento, furono pubblicati nel greco originale da Wachsmuth, in calce alla sua edizione del libro De Ostentis di Giovanni Lido, pubblicata da Teubner, Lipsia 1863, pp. LIX, e 273-275. Si usa chiamarlo papiro d’Eudosso, perchè contiene scritto a tergo un acrostico di dodici versi, dei quali le lettere iniziali formano le parole Eὕδόξον Tἐχνη, Ara Eudoxi. Secondo l’opinione di Boeckh e di Mommsen (vedi Boeckh e Wachsmuth nei luoghi citati), questo curioso avanzo dell’antichità sarebbe come uno di quei quaderni, che i Tedeschi chiamano Collegienhefte, nei quali gli studenti usano scrivere bene o male quanto voglion ritenere delle lezioni dei professori. Esso è infatti pieno di errori, e redatto senza ordine alcuno.
  4. Eὕδόξω χαὶ τοὶς πρὸ αυτοῦ
  5. ... χαὶ γἀρ χαὶ τοῦτο χατείληπτο δχ τοῦ μὴ χατἀ τόν αῦτὸν ἀεὶ τὸπον ἐν ταῖς τροπαῖς ταῖς θεριναῖς χαὶ χειμεριναῖς ἀνατελλειν
  6. Eῦδημος ίστορεῖ εν ταῖς Ἀστρολογιαις, ὃτι... Θαλῆς (εὗρε) ὴλίου ἔχλειψιν χαὶ τἡν χατὰ τὰς τροπὰς αὑτοῦπερίοδον, ὡς οὐχ ἴση ὰεὶ συμβαίνει. Theonis Smyrnaei, Astronomia ediz. Martin, p. 324.
  7. ".....λἐγεται γ’ οὖν ἑν τῷ Ὲνόπτρῳ οὗτως. φαίνεται δἑ διαφορἁν τῶν χατἁ τροπἁς τὀπων χαἱ ὁ ἧλιος ποιοὐμενος ἀδηλοτἐραν δἑ πολλῷ χαἱ παντελῶς ὅλίγην. Hipparchi in Phœnomena Arati nell’Uranologio del P. Petavio, p. 198. L’Enoptro di Eudosso era, al pari de’ suoi Fenomeni un trattato d’astrognosia, dove insieme colla descrizione delle costellazioni, delle coincidenze del loro levare e tramontare, si trattava dei principali circoli della sfera. L’uno e l’altro hanno formato la base principale del notissimo poema d’Arato.
  8. Da un luogo di Plinio (Hist. II, 47) si potrebbe forse argomentare, che il moto dei nodi si facesse in un periodo quadriennale: Omnium quidem (si libeat observare minimos ambituus) redire easdem vices quadriennio exacto Eudoxus putat, non ventorum modo, verum et reliquarum tempestatum magna ex parte. Et est principium lustri ejus semper intercalario anno caniculœ ortu.
  9. Hipparchi, in Phœn. Arati, p. 198-199 dell’Uranologio. Questa testimonianza non sospetta è passata probabilmente inavvertita da coloro, i quali sostengono, che prima d’Ipparco non v’era astronomia in Grecia.
  10. Plinii, Hist. Mundi, lib. II, c. 16.
  11. H. Martin, Dissertatio de Theonis Smyrnaei astronomia, premessa all’edizione qui sopra citata di Teone, p. 74. Teone sembra fosse di poco ad Adrasto posteriore.
  12. Theonis, Astr., ediz. Martin, p. 174.
  13. Ibid., p. 260-262. Nei numeri 3651/4 3651/2, e 365 1/3, il codice greco parigino impiegato da H. Martin per la sua edizione, conteneva alcuni errori, sulla cui evidente rettificazione H. Martin non ha alcun dubbio. I medesimi errori si trovano ad unguem ripetuti nei due codici, che dell’astronomia di Teone possiede la Biblioteca Ambrosiana di Milano, siccome ebbe la cortesia di verificare per me il degnissimo suo bibliotecario Antonio Ceriani.
  14. Intendansi queste espressioni rispetto alla latitudine, e non rispetto alla declinazione.
  15. Theonis, Astr., ed. Martin, p. 314.
  16. Non è dunque geometricamente, ma solo prossimamente vero quanto dicono Adrasto e Teone, che in capo a 3651/8 giorni le ombre degli stessi gnomoni tornano ad essere identiche: infatti, in tale intervallo l’obliquità del circolo solare rispetto all’equatore ha potuto cambiare, secondo questa teoria, di una piccola quantità.
  17. Non è dunque geometricamente, ma solo prossimamente esatto quanto dicono Adrasto e Teone, che in capo a 3651/4 giorni il Sole ritorna da un equinozio al medesimo equinozio; perchè frattanto i punti equinoziali, in forza del loro moto libratorio, si saranno spostati di una pìccola quantità.
  18. V. Ideler, Ueber Eudoxus, Mem. di Berlino, 1830, p. 61-62.
  19. Martiani Cappellæ, De Nuptiis Philologia et Mercurii, lib. VIII.
  20. Ho qualche ragione di credere, che per le notizie sul moto del Sole in latitudine, Teone Smirneo (o Adrasto), e Marziano Capella (o Terenzio Varrone che fornì quasi tutta la materia del libro VIII al compilatore africano) rappresentino una medesima fonte: infatti, non solo ambidue si accordano ad assegnare al Sole la digressione di un mezzo grado; ma tutte le digressioni dei singoli pianeti in latitudine da essi assegnate sono identiche e ad un tempo più meno diverse da quelle che si trovano indicate in Plinio ed in Cleomede. A ciò si aggiungano altri notevoli parallelismi, per esempio il trovarsi in ambidue gli autori la notizia del moto eliocentrico di Venere e di Mercurio. Se così sta veramente la cosa, e se le tradizioni conservate da Marziano e da Teone derivano da una medesima radice, possiamo dire che la notizia data da Marziano sul luogo dei nodi solari serve a completare l’esposizione di Teone, dove appunto questa notizia manca.
  21. Bedae preshyteri Anglo-Saxonis opera. Coloniæ 1612, vol. I, p. 323-344. In tre luoghi, p. 329, 331, 332, si cita l’Historia Caroli o le Gesta Caroli, A p. 324 poi è citato Beda stesso. Di Beda consta che nascesse nell’anno 671: è dunque impossibile che abbia vissuto con Carlo Magno. Inoltre, nel catalogo delle sue opere, da lui redatto nel 59° anno dell’età sua (vedi la Vita di Beda che precede l’edizione succitata dì Colonia), non si trova indicato il libro de Mundi Cœlestis terrestrisque constitutione. Beda morì poco dopo l’epoca del suddetto catalogo, a quanto pare, nel 731 o nel 733. Le citazioni relative alla Storia di Carlo Magno si trovano effettivamente negli annali dei Carolingi, sotto gli anni 798 e 807. Si raffrontino quelle citazioni cogli Annales Bertiniani presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, vol. II, p. 504 e 506. Si conclude, che il trattato in questione non può risalire al di là del secolo IX, ed è posteriore a Beda almeno di un secolo.
  22. Bedæ opp. vol. I, p. 329.
  23. Plinii Hist. nat. II. Ecco il paragone delle escursioni totali in latitudine dei sette astri erranti, secondo Cleomede (C), Marziano (M), Teone (T), Plinio (P), e il falso Beda (B). I numeri di Cleomede possono considerarsi anche come rappresentanti l’opinione di Posidonio, e si trovano nella Teoria ciclica, libro II, cap. 7.

    Pianeti

    C M T P B

    10+ 12 12 12 12

    0 1 1 2 2

    8 8 8 8 8

    10 12 12 14 14

    5 5 5 4 4

    5 5 5 3 5

    2 3 3 2 3

    Ove si vede la perfetta identità dei dati di Marziano e di Teone, a cui ho fatto allusione nella nota(64).

  24. Bailly, Histoire de l’Astronomie ancienne, pag. 249. Paris, 1775.
  25. Lepsius, Chronologie der alten Aegypter, Berlin, 1849, p. 196-210.
  26. Petavii, Uranologion p. 199.
  27. Vedi sopra nota (21).
  28. Diodoro, I, 81.
  29. Aristot. De Cœlo II, 12.
  30. Per esempio, nel tempio di Dendera in vicinanza del famoso zodiaco circolare, nel tempio di File, e in quello d’Hermonthis. Vedi Denon, Viaggio nell’alto e nel basso Egitto, tav. 130.
  31. L’interpretazione della precessione al modo d’Ipparco, come un moto della sfera stellata intorno ai poli dell’eclittica supposta fissa come l’equatore, non può qui entrare in calcolo; perchè alla sfera delle fisse Eudosso attribuiva un solo movimento, come fecero tutti gli antichi prima del grande astronomo di Nicea.
  32. Per effetto della precessione, le stelle dell’equatore cambiano la loro ascensione retta, secondo le formule moderne, di 46’’ all’anno; tanto dunque è l’importo della precessione apparente rispetto all’equatore. Ciò darebbe una rivoluzione intiera in 28170 anni.
  33. La grand’opera di Lepsius, Chronologie der Alten Aegypter, è il solo libro dove si possano trovare notizie esatte e copiose sull’astronomia degli Egiziani, esaminata col sussidio dei monumenti. Il profondo rispetto che la lettura della medesima mi ha inspirato, per la molteplice dottrina, e per la sagacità del suo autore, mi ha indotto a non esporre opinioni diverse dalle sue, senza addurne, anche con qualche prolissità, le ragioni migliori che per me si potesse.
         Io aveva anche scritto, come appendice alla presente Memoria, una ricerca sulla relazione del calendario degli antichi Egiziani col fenomeno della precessione, dalla quale riusciva a concludere, che nulla di quanto sappiamo intorno a tale calendario ci autorizza a pronunziare, ch’essi conoscessero quel fenomeno. Ma, dopo scritta la presente Memoria, essendomi venuta sottocchio la dotta e profonda Memoria dì H. Martin (presentata nel 1864 all’Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere, e stampata, nel 1869, nel vol. VIII dei Sav. Étran.), in cui tratta la quistione, se la precessione sia stata conosciuta dagli Egiziani o da altri popoli prima d’Ipparco, vi trovai la stessa cosa dimostrata con tanta maggior efficacia e copia d’argomenti, che fui indotto a sopprimere la mia appendice, la cui indole del resto era anche troppo aliena dall’oggetto dì questo mio scritto. In quella stessa Memoria trovai che Martin aveva già trattato della supposta nozione della precessione attribuita ad Eudosso, ed era pure giunto precisamente alle mie conclusioni. Ma la via da me battuta non essendo intieramente identica alla sua, ho conservato senza variazioni questa parte del mio lavoro, la quale del resto era necessaria per formare sulle ipotesi astronomiche d’Eudosso una monografia completa.