Le sfere omocentriche/II. Origine delle sfere omocentriche

II. Origine delle sfere omocentriche

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I. Considerazioni generali III. Teoria lunare di Eudosso

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II. Origine delle sfere omocentriche.

Già molto prima d’Eudosso i filosofi greci (che allora erano ad un tempo e fisici e geometri ed astronomi) avevano immaginato diverse costruzioni per rappresentare in modo plausibile le principali apparenze che si osservano nella disposizione e nel movimento degli astri. Fra altri ricordi delle opinioni cosmologiche della scuola Jonica si sono conservate alcune notizie intorno a certi curiosi meccanismi che aveva supposto Anassimandro per rendersi conto del moto del Sole e della Luna in declinazione, e per spiegare i fenomeni delle eclissi. Ma da queste notizie poco si può ricavare di preciso e di soddisfacente. Più copiose sono le memorie rimaste della scuola Pitagorica e di Platone. In altra lettura1 ho descritto le ipotesi astronomiche, con cui Filolao riuscì a combinare il moto diurno dei pianeti, del Sole, e della Luna, col loro movimento periodico lungo lo zodiaco; ed ho pure indicato quanto di più certo intorno alle idee astronomiche di Platone si può ricavare dallo studio de’ suoi libri. Da tale studio emerge il fatto, che ai tempi di Filolao (440 circa) non si era mosso ancora alcun tentativo per spiegare le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti; e dal modo avviluppato con cui Platone parla di questi fenomeni nel libro X della Repubblica e nel Timeo, sembra anzi si possa inferire, che egli medesimo non avesse neppur una idea molto precisa della legge e dei periodi con cui essi avvengono. Tuttavia egli aveva potuto convincersi dell’insufficienza delle ipotesi fino allora proposte, le quali ben potevano dare un’immagine approssimativa del modo con cui si producono le apparenze più salienti del cielo, ma non giungevano però a render ragione di tutto quello, che già a quel tempo poteva constare anche dalle più sommarie osservazioni. Un’attenzione continuata aveva posto in [p. 6 modifica]chiaro il movimento bizzarro e variamente inflesso dei pianeti sulla sfera celeste, e Platone stesso sentiva, che a spiegarlo ben altro occorreva, che supporre ciascun pianeta portato semplicemente in giro da una sfera ad esso speciale. Ond’egli, secondo che narrò Eudemo nella sua storia dell’astronomia2, propose agli astronomi la questione di «trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nei movimenti dei pianeti».

Questo appello fu inteso e raccolto da Eudosso di Cnido (nato intorno al 408, morto intorno al 355), il quale era stato già discepolo dello stesso Platone, ed acquistò grande fama non meno nella geometria che nell’astronomia. Egli era andato di poi a studiare in Egitto, secondo l’uso di molti savj di quell’epoca, e munito di lettere commendatizie d’Agesilao spartano per il re d’Egitto Nectanebo3, aveva ottenuto la facoltà d’iniziarsi ai segreti del sapere egiziano, nei quali gli fu assegnato a maestro Conufi, sacerdote d’Eliopoli. Ivi, se crediamo a Seneca, egli apprese a conoscere i movimenti dei pianeti, di cui portò in Grecia notizie più complete di quelle che si avessero prima4. Ciò significa, come giustamente osserva Ideler nella sua citata Memoria, che Eudosso apprese in Eliopoli i periodi delle rivoluzioni planetarie, e forse le durate, le ampiezze e le diverse fasi delle loro stazioni e retrogradazioni, come ai sacerdoti egiziani risultavano dall’osservazione immediata. Nulla dà nell’antico Egitto il minimo indizio di speculazioni geometriche profonde, quali si richiedono per una vera teoria dei moti planetarj5.

  Ma la qualità di geometra, che noi non siamo ancora autorizzati a concedere agli Egiziani, Eudosso la possedeva in alto grado, siccome consta da molte ed autorevoli testimonianze6. Si racconta che Platone, consultato da quei di Delo perchè li ajutasse nel problema loro proposto dall’oracolo, di duplicare l’altare in volume, conservandogli la forma cubica che prima aveva, abbia risposto che conosceva solo due uomini capaci di vincere questa difficoltà, cioè Eudosso da Cnido ed Elicone da Cizico7. Più autentica è la testimonianza di Proclo, autore versatissimo nella storia degli antichi matematici; il quale annovera Eudosso fra quelli, che hanno fatto progredire ogni parte della geometria8. Eudosso infatti accrebbe il numero dei teoremi generali, tra i quali appartengono a lui quei due principalissimi della geometria solida, concernenti il rapporto della piramide e del cono al prisma ed al cilindro di ugual base e di uguale altezza. Euclide, nella composizione degli [p. 7 modifica]Elementi, prese una parte notabile del suo materiale dai libri di Eudosso9, e si vuole che il quinto libro, il quale tratta della teoria delle proporzioni, appartenga intieramente a questo astronomo10. Eudosso perfezionò inoltre la dottrina delle linee curve, già iniziata da Platone, e specialmente considerò quelle che nascono dalle sezioni dei solidi. Per questo studio delle curve, e per l’uso da lui fattone nella soluzione del problema della duplicazione del cubo, Eudosso ebbe fra i geometri antichi una grandissima celebrità, onde Eratostene, citando la sua soluzione del detto problema, gli diede il titolo di divino11. Egli considerò specialmente la generazione organica delle curve, cioè la loro descrizione per mezzo di certi meccanismi; e noi vedremo che la sua ippopeda appartiene appunto alla classe delle curve meccaniche. Finalmente Proclo attesta, che Eudosso fu uno dei primi a servirsi del metodo analitico per la considerazione delle proprietà delle linee curve.

Ma la eccellenza di Eudosso come geometra è attestata ancora dalla fama dei valenti matematici usciti dalla scuola ch’egli fondò, verso l’anno 375, nella città di Cizico, sulle amenissime rive della Propontide. Fu infatti suo discepolo Menecmo, il primo che abbia studiato sistematicamente le proprietà delle sezioni del cono, e che sciolse con queste il problema della duplicazione del cubo. Menecmo era nativo di Alopeconneso, città del Chersoneso Tracio, o, secondo altri, di Proconneso, isola della Propontide vicina a Cizico; come Eudosso, studiò sui movimenti celesti; e di lui fu fratello Dinostrato, l’inventore delle quadratrici. Alla scuola di Eudosso appartenevano ancora Elicone ed Ateneo, ambi ciziceni, ambi geometri famosi, il primo anche astronomo e conosciuto per una predizione d’eclisse. D’Eudosso fu conoscente e da lui imparò la dottrina delle sfere omocentriche Polemarco ciziceno, che vedremo occupato a correggere quelle ipotesi astronomiche; e finalmente discepolo di Polemarco fu Callippo, anch’egli ciziceno, che dopo la morte d’Eudosso tenne in Grecia il primato dell’astronomia, ed anch’egli s’impegnò a riformare, con Polemarco e con Aristotele, il sistema delle sfere omocentriche12.

Queste notizie sull’attività matematica di Eudosso sono sufficienti senza dubbio a far comprendere, com’egli abbia potuto dare del problema proposto da Platone la soluzione elegante, che ci accingiamo a sviluppare; ed a confutare il dubbio espresso da Delambre sul valore del medesimo nelle cose di geometria13. Aggiungerò con Ideler, che tutte le notizie rimaste di lui, concorrono a mostrarci in Eudosso un uomo di genio pratico e positivo (come oggi si direbbe), ed alieno da ogni oziosa speculazione. Per questo egli non ebbe alcuna fede nell’astrologia, che già da Babilonia cominciava ad aprirsi strada verso la Grecia; e per questo non si trova di lui, come si trova d’altri suoi contemporanei ed antecessori, che abbia espresso opinioni sopra cose inaccessibili all’osservazione ed all’esperienza de’ suoi tempi. Così, per esempio, invece di speculare, come altri, sulla natura del Sole, egli si limitava a dire, che avrebbe volentieri subìto il destino di Fetonte, pur di giungere a sapere che cosa sia il Sole14.

Tale era l’uomo, che raccolse la sfida lanciata da Platone agli astronomi del suo tempo. Per risolvere il grande problema, e per giúngere ad una spiegazione razionale dei movimenti [p. 8 modifica]celesti, occorreva anzitutto stabilire un principio, intorno al quale tutti si potessero accordare. E questo fu, che la composizione del mondo dovesse essere ordinata secondo una legge unica e generale15. Agli astronomi greci mancava la legge fisica della gravitazione universale; dovettero dunque tenersi a leggi geometriche, sotto pena di cadere nell’arbitrario. Ora la rivoluzione quotidiana delle fisse offriva un moto circolare ed uniforme; circolare ed uniforme appariva pure il moto del Sole e della Luna alle osservazioni di quel tempo. Poichè i movimenti degli astri doveano dipendere tutti dalle medesime leggi, giustamente fu concluso per analogia, che le anomalie osservate nel corso dei pianeti dovessero esser soltanto apparenti, e dovessero risolversi anch’esse nella combinazione di più moti circolari ed uniformi. Questo assioma, di cui, per testimonianza di Gemino16, il primo enunciato si deve ai Pitagorici, fu da tutta l’antichità posto come base inconcussa delle ipotesi astronomiche, e con ragione; infatti, checchè oggi se ne voglia dire, gli antichi fuori di esso non avrebbero trovato che l’arbitrio ed il caos. Tale assioma conservò in astronomia intiera la sua autorità fino ai tempi di Keplero, il quale sostituì il moto ellittico al moto circolare. Tuttavia Keplero stesso obbedì ancora a questo principio, quando proclamò l’uniforme descrizione delle aree; e ad esso pure obbedirono, dopo di lui, Bouillaud e Seth Ward, quando immaginarono l’ipotesi ellittica semplice, in cui si suppone uniforma il movimento angolare dei pianeti intorno a quel fuoco dell’ellisse, che non è occupato dal Sole. La sua autorità non fu intieramente distrutta che quando, per opera di Galileo, di Newton, e dei loro continuatori, fu escluso affatto l’elemento metafisico dallo studio della natura.

Un’altra condizione, a cui dovettero assoggettarsi i primi che specularono sulla forma bell’universo, fu quella di attribuire a tal forma la maggior possibile semplicità e simmetria di costruzione. Così, nel sistema di Filolao, le orbite dei corpi celesti formano un insieme di circoli descritti intorno ad un centro comune; e la stessa regola, od almeno una simile, si osserva nei varj schemi immaginati da Platone. A tale supposizione fondamentale si attenne pure Eudosso, e tutte le sue sfere immaginò descritte concentricamente alla Terra e intorno ad essa simmetriche17; onde a buon diritto fu dato loro in tempi posteriori il nome di sfere omocentriche. Adottando questa supposizione, il problema diventava assai più difficile, poichè a queste sfere era così tolto ogni movimento di traslazione, e non rimaneva al geometra altro modo di rappresentare i fenomeni, che quello fondato sulla combinazione dei loro movimenti rotatorj; ma alla fabbrica del mondo si conservava in tal modo un’eleganza, da cui le costruzioni d’Ipparco e di Tolomeo e degli altri tutti, compreso Copernico, rimasero assai lontane, e che non trovò più l’uguale, fino ai tempi di Keplero. Tale concentricità delle sfere celesti avea inoltre il vantaggio di non contraddire alla testimonianza dei sensi ed alle opinioni, tuttora rispettate, degli antichi fisici. Si dovea anche cercare di esperimentare ogni cosa possibile, prima d’introdurre nel cielo un elemento di asimmetria e d’arbitrio, qual è il moto eccen[p. 9 modifica]trico; senza parlare della naturale ripugnanza che si dovette da principio provare ad ammettere, che i corpi celesti potessero descrivere circoli intorno a centri puramente ideali e privi di ogni contrassegno sensibile.

Eudosso immaginò dunque, press’a poco come avea fatto Platone prima di lui, che ogni corpo celeste fosse portato in circolo da una sfera girevole sopra due poli, e dotata di rotazione uniforme; suppose inoltre, che l’astro fosse attaccato ad un punto dell’equatore di questa sfera, in modo da descrivere, durante la rotazione, un circolo massimo, posto nel piano perpendicolare all’asse di rotazione della medesima. A render conto delle variazioni di celerità dei pianeti, del loro stare e retrogradare, e del loro deviare a destra ed a sinistra nel senso della latitudine, tale ipotesi non bastava, e convenne supporre che il pianeta fosse animato da più movimenti analoghi a quel primo, i quali sovrapponendosi producessero quel movimento unico, in apparenza irregolare, che è quello che si osserva. Eudosso stabilì dunque, che i poli della sfera portante il pianeta non stessero immobili, ma fossero portati da una sfera più grande, concentrica alla prima, girante a sua volta con moto uniforme e con velocità sua propria intorno a due poli diversi dai primi. E siccome neppure con questa supposizione si riusciva a rappresentare le apparenze per nessuno dei sette astri erranti, Eudosso attaccò i poli della seconda sfera entro una terza, concentrica alle due prime e più grande di esse, alla quale attribuì pure altri poli, ed altra velocità sua propria. E dove tre sfere non bastavano, aggiunse una quarta sfera, comprendente in sè le tre prime, portante in sè i due poli della terza, e anch’essa ruotante con propria velocità intorno a’ suoi proprj poli. Ed esaminando gli effetti di tali movimenti insieme combinati, Eudosso trovò che, scegliendo convenientemente le posizioni dei poli e le velocità di rotazione, si potevano rappresentar bene i movimenti del Sole e della Luna, supponendo ciascuno di essi portato da tre sfere; i movimenti più varj dei pianeti trovò richiedere quattro sfere per ciascuno. Le sfere motrici di ciascun astro suppose affatto indipendenti da quelle che servivano a muovere gli altri. Quanto alle stelle fisse, bastava una sola sfera, quella che produce la rotazione diurna del cielo. L’ordine dei pianeti serbato da Eudosso era poi identico a quello supposto da Platone; e l’insieme del sistema era quale si vede nel sottoposto quadro.

Nome ed ordine Numero delle
degli astri. sfere motrici.
Saturno 
4
Giove 
4
Marte 
4
Mercurio 
4
Venere 
4
Sole 
3
Luna 
3

Così il numero totale delle sfere motrici riusciva di 26, più una per le stelle fisse. Quale fosse la causa di questi movimenti rotatorj, e come da una sfera si comunicassero ad un’altra, non si trova che Eudosso l’abbia cercato; nè quale fosse la materia e la grossezza delle sfere stesse; nè quali fossero i loro diametri ed i loro intervalli. Soltanto appare da Archimede18, che Eudosso supponeva il Sole nove volte più grande della Luna; quindi è lecito concludere, che ritenesse il primo esser nove volte più lontano della seconda. Egli poteva [p. 10 modifica]facilmente giungere a questa estimazione collo studio attento delle fasi della Luna nella diverse sue elongazioni dal Sole. Eudosso adunque si astenne totalmente dal ricercare quello, che non importava al suo principale problema, alla rappresentazione geometrica dei fenomeni; nel che vediamo un’altra prova del suo genio sobrio e rigoroso. Egli non si curò tampoco di connettere le sfere motrici con quelle del pianeta immediatamente superiore e del pianeta immediatamente inferiore, e suppose che le sfere addette al movimento di ciascun pianeta formassero un sistema isolato ed indipendente dal resto. Insomma ogni cosa porta a credere, che le sfere fossero per lui gli elementi di un’ipotesi matematica, non già enti fisici; onde a torto gli fu rimproverato d’aver chiuso l’universo in vôlte di cristallo, e di averle moltiplicate senza necessità.

Eudosso aveva descritto le sue ipotesi in un’opera sulle velocità, περὶ ταχῶν, che con tutte le altre sue cose è andata perduta19. Aristotele, il quale fu posteriore ad Eudosso soltanto d’una generazione, e trattò di questo argomento con Polemarco, che fu conoscente d’Eudosso, potè avere informazioni sicure sul meccanismo delle sfere; onde il breve ma esatto (sebbene non completo) riassunto che ne dà nel libro XII della Metafisica merita molta attenzione. Che Teofrasto ne abbia parlato nella sua perduta Storia dell’Astronomia, è probabile; si narra anzi che egli desse il nome di ἄναστρος; (senza stelle) alle sfere destinate a muovere i pianeti20. Certo è poi, che Eudemo trattò a lungo del sistema d’Eudosso nel secondo libro della sua storia astronomica; e da Eudemo trasse Sosigene (il noto riformatore del calendario) la narrazione da lui data con molta prolissità nel commentario che fece sui libri de Cœlo. Tal commentario è perduto; ma un lunghissimo estratto del medesimo ci fu conservato da Simplicio nel suo proprio commentario al libro II de Cœlo; ed è questa la nostra fonte principale, la quale per conseguenza è pur essa molto degna di fede, risalendo ad Eudemo, che fu contemporaneo d’Aristotele, e di poco posteriore ad Eudosso21. Colla scorta di queste autorità io mi farò ora ad esporre partitamente la teoria che Eudosso aveva immaginato per ciascuno dei sette astri erranti, e comincerò dal più basso di tutti, che è la Luna.

Note

  1. I precursori di Copernico nell’antichità, Mem. del R. Istituto Lomb. Vol. XII, pag. 342-381.
  2. Vedi l’Appendice II in fine di questa Memoria. § 1.
  3. Non è certo se si tratti del primo o del secondo dei re egiziani di questo nome. Boeckh (Ueber die vierjährige Sonnenkreise der Alten, p. 136-142) sta per il primo, e mette il viaggio di Eudosso in Egitto nel secondo o nel terzo anno della centesima olimpiade (379 o 378 avanti Cristo). Ideler propende per il secondo (Ueber Eudoxus p. 194-195), il quale regnò fra gli anni 362 e 354.
  4. Eudoxus primus ab Aegypto hos motus in Graeciam transtulit. Seneca, Quæst. Nat. VII, 3.
  5. Il solo fatto che sembra contraddire quest’asserzione è un’allusione al moto della Terra, trovata dal signor Chabus in un antico papiro egiziano, nel quale si dice ad un personaggio potente, che la Terra naviga secondo la sua volontà. Il papiro avrebbe, secondo Chabas, forse 4000 anni d’antichità; le parole sopra citate sono poste in bocca ad una persona contemporanea d’un re Neb-ka-ra, che si suppone anteriore alla costruzione delle grandi piramidi! Sarà forse prudente attendere, su tale spinosa questione, il risultamento di ulteriori dilucidazioni. Vedi Chabas, Sur un texte égyptien relatif au mouvement de la Terre, nella Zeitschrift für aegyptische Spracke und Alterthumskunde. Dicembre, 1864.
  6. Sono raccolte da Ideler, nella sua Memoria intorno ad Eudosso. V. Memorie dell’Acc. di Berlino, anno 1828, p. 203-212.
  7. Plutarco, De genio Socratis, c. 8.
  8. Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum Commentarii, ed. Friedlein (Lipsiae, Teubner, 1873), p. 67.
  9. Ibid., p. 68.
  10. Ideler, nel luogo citato, p. 200 e 207.
  11. Ibid, pag. 211.
  12. Sulla scuola matematica Cizicena ha raccolto molte importanti notizie Boeckh nella sua ultima opera, Ueber die vierjährige SonnenKreise der Alten, p. 150-155.
  13. Delambre, Astr. anc. I., p. 181. Vedi sopra nota (6).
  14. Ideler, nel luogo citato, p. 198, sull’autorità di Plutarco.
  15. «Ante omnia, quae ad mathematicarum rerum considerationem spectant, est principiorum sumptio, ut inter omnes convenit. Quorum primum est, mundi compositionem existere ordinatim ope unius princìpii adminìstratam» Così Dercillide filosofo platonico presso Teone Smirneo. (Theonis Astronomia ed. H. Martin, p. 327). Nessuno oserà dire che oggi occorra ragionar altrimenti.
  16. Gemini, Isagoge ad phœnomena Cap. I
  17. Vedi l’Appendice II, dove Simplicio afferma espressamente questa concentricità. Essa del resto risulta in modo evidente dall’insieme di tutti i particolari del sistema. Con questo rimane d’un tratto confutata l’opinione di quelli che hanno voluto vedere nel sistema di Eudosso il germe delle teorie epicicliche adottate più tardi da Ipparco e dagli astronomi alessandrini.
  18. Nell’Arenario
  19. Vedi App. II, § 2. Sarà questa una delle bellissime Memorie (χάλλιστα ύπομνήματα) che Diogene Laerzio narra Eudosso aver scritto.
  20. Vedi App. II.
  21. Essendo Aristotele e Simplicio le uniche fonti da cui si possono trarre notizie sull’argomento che ci occupa, ho creduto opportuno trascrivere i relativi estratti nelle App. I e II, in fine di questa Memoria. L’App. I comprende il passo di Aristotele, e la App. II il passo di Simplicio, che in gran parte è cavato da Sosigene. Essendo oggi facile aver per le mani gli originali greci, ho stampato la sola versione italiana, per uso di quei lettori cui non fosse comodo aver ricorso a quelli. Il lungo estratto di Simplicio, il quale nell’originale non porta alcuna divisione, è stato da me diviso in paragrafi numerati, per comodo delle citazioni. Tutte le citazioni di Simplicio che si trovano nella presente Memoria, si riferiscono a questi paragrafi dell’App. II. Le citazioni di Aristotele, quando non si noti il contrario, si riferiscono all’App. I.