Le sfere omocentriche/I. Considerazioni generali

I. Considerazioni generali

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II. Origine delle sfere omocentriche

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LE SFERE OMOCENTRICHE

DI EUDOSSO, DI CALLIPPO E DI ARISTOTELE.


MEMORIA

di G. V. SCHIAPARELLI.

Par quelle bizzarrerie le progrès que nous avons fait dans les mathématiques et dans certaines parties de la physique a-t-il inspiré à nos philosophes un mépris pour l’histoire des anciennes opinions, qui leur fait croire, que ces hommes et ces nations, qui se sont rendus si célèbres dans l’antiquité, ont été plongés dans les ténèbres philosophiques plus épaisses?

Fréret, Observations générales sur la
Géographie ancienne.


I. Considerazioni generali.

L’astronomia dei Greci, nata con deboli principj nelle scuole della Jonia e dell’Italia, coltivata ed accresciuta nelle scuole matematiche che ebbero origine da Platone, fu perfezionata grandemente da Ipparco coll’introdurvi il calcolo applicato alla geometria, e raggiunse il suo apice con Tolomeo verso la metà del 2.° secolo di Cristo. I lenti, ma continuati progressi, che d’ipotesi in ipotesi e d’osservazione in osservazione, dal disco terrestre piano e circolare d’Omero condussero all’artifiziosa e multiforme compagine degli eccentri e degli epicicli, offrono al filosofo uno spettacolo grandioso ed istruttivo, e a chi ben considera, non meno interessante di quello che presenti lo sviluppo dell’astronomia moderna da Copernico ai nostri giorni. Sventuratamente però non è concesso allo studioso di conoscere con uguale esattezza tutti i gradi della scala, che dalle idee di Talete condusse il genio dei Greci alle ipotesi e alle tavole astronomiche degli Alessandrini. Perchè, mentre degli ultimi stadj di questo lavoro intellettuale rimasero durevoli ricordi nella Grande composizione matematica, di quanto si fece prima d’Ipparco, e di quanto si fece fuori della scuola d’Alessandria dopo d’Ipparco, non rimasero che deboli traccie ed imperfette notizie, per lo più tramandate da scrittori non astronomi. Quanto dunque si fece in astronomia dai Greci, fuori dell’anzidetta scuola, in gran parte è rimasto ignoto agli storici di questa scienza, o se noto, non fu generalmente dai medesimi colla dovuta diligenza ponderato; e quindi avviene, che dei primi progressi della medesima si devono cercare notizie sicure presso gli studiosi della filologia e dell’antichità classica, anzichè nei libri di Bailly, di Montucla, di Delambre, e dei numerosi loro imitatori o continuatori. Lo studio che ebbi l’onore di presentarvi l’anno scorso Sui precursori di Copernico può far di questo testimonianza evidente.
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Ma dall’eccidio generale, onde, dall’Almagesto in fuori, furono colpiti tutti i più importanti monumenti della greca astronomia, un altro grave danno è derivato. La difficoltà di ben conoscere, e sopratutto di ben interpretare i pochi ricordi che rimangono dell’astronomia greca non alessandrina, trasse i più ad ignorarla, o ben anche a disprezzarla, quando imperfettamente conosciuta; onde ebbe origine l’opinione falsa, ma oggi quasi generalmente ricevuta da tutti, che tutta l’astronomia scientifica dei Greci sia contenuta nell’Almagesto. Di questa tesi il più dotto ed autorevole sostenitore fu Delambre, e la sua voluminosa Histoire de l’Astronomie ancienne ne è un commento perpetuo. Eccone alcuni saggi:«Il est demontré, que du temps d’Archimède les Grecs n’étaient guère plus avancés (en Astronomie) que les autres peuples. Toutes leurs connaissances se trouvent à fort peu près rassemblées dans le poéme d’Aratus»1. Altrove:«L’Astronomie n’a été cultivée véritablement qu’ en Grèce, et presque uniquement par deux hommes, Hipparque et Ptolemée»: dove naturalmente s’intende parlare solo dell’astronomia degli antichi2. Ed in un terzo luogo: «L’Astronomie des Grecs est toute entière dans la syntaxe mathématique de Ptolemée»3. Queste proposizioni si trovano adottate quasi da tutti, e con tutte le variazioni possibili. «Nous ne voyons naltre l’Astronomie en Grèce qu’avec Hipparque», dice Biot4. «Vor der Alexandrinischen Schule ist an eine wissenschaftliche Bearbeitung der Astronomie nie und nirgend zu denken», ripete alla sua volta Maedler5. Così cento altri di minore autorità.
Seguendo quest’idea in modo troppo assoluto, gli astronomi, che si accinsero a scriver la storia della loro scienza, non solo si occuparono assai leggermente delle speculazioni degli Jonii, dei Pitagorici e di Platone: ma di tutti i lavori della scuola di geometri, che fiori in Grecia fra gli anni 400 e 300 avanti Cristo, o parlarono inesattamente e succintamente, o tacquero affatto. Eppure in questo intervallo, a prima che cominciasse la scuola d’Alessandria, si elaborava in Grecia il materiale degli Elementi d’Euclide, si inventavano e studiavano le sezioni del cono, e si imparava a risolvere i problemi per mezzo della descrizione meccanica di linee curve. Allora fu fatto un grande e memorabile tentativo per rappresentare i fenomeni celesti con ipotesi geometriche, e queste ipotesi furono messe a cimento colle osservazioni, e rettificate dove occorreva. Da queste investigazioni, a cui non mancò alcuno dei caratteri che costituiscono una ricerca scientifica nel più stretto senso che i moderni sogliono dare a questa espressione, era nato il sistema delle sfere omocentriche, per cui tant’alto si levò presso gli antichi il nome di Eudosso da Cnido. Del quale sistema, sebbene non rimanga più alcuna esposizione completa ed ordinata, tuttavia, dai cenni che ne fecero Aristotele ed Eudemo di Rodi, e Sosigene e Simplicio peripatetici, è ancora possibile ricostruire con certezza le linee principali. Ma vedi forza del pregiudizio! Eudosso non fu uno degli Alessandrini, e fu anteriore ad Ipparco; perciò gli fu negata la qualità di astronomo, anzi anche quella di geometra6. Tanta originalità di concetto, tanta sottigliézza di costruzioni geometriche, tanti ingegnosi sforzi per avvicinarsi al risultato delle osservazioni, tanta ammirazione dei contemporanei, non trovarono grazia presso coloro che s’incaricarono di narrarci la storia dell’astronomia; e le sfere omocentriche procurarono ai loro autori assai maggior somma di biasimo che di lode.
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Bailly, venendo a parlare del sistema delle sfere omocentriche di Eudosso, lo chiama a dirittura assurdo7. Se assurda deve chiamarsi ogni ipotesi che non concorda intieramente colla verità, si può dire che tutta l’astronomia fu una scienza assurda fino a Keplero. Bailly però scusa Eudosso, considerando lo stato rudimentare dell’astronomia di quei tempi, e gli attribuisce anzi un merito, quello di avere, colle sue assurdità, mostrata la necessità di ricorrere ad altre ipotesi. Ma invano si cercherebbe’ presso Bailly un’idea alquanto chiara e precisa del sistema di Eudosso.
Montucla8 non ha inteso questo sistema meglio di Bailly, e la spiegazione che pretende di darne è intieramente illusoria. Questo non gl’impedisce di mostrarsi anche assai più severo di Bailly, e di uscir fuori in queste parole: «On attribue à Eudoxe une sorte d’hypothèse physico-astronomique, qui répond mal à cette grande réputation qu’il eut chez les anciens... Une hypothèse aussi absurde et aussi peu conforme aux phénoménes célestes ne méritoit, ce me semble, que d’ètre rejetée avec mépris par les mathématiciens judicieux: mais telle étoit alors la foiblesse de l’astronomie physique, qu’elle ne laissa pas de trouver des approbateurs et même de mérite. Aristote se prit d’une belle passion pour elle, de même que Calippe et un certain Polémarque. Ils y convinrent de quelques corrections, qui la rendaient encore plus ridicule» etc. Sul medesimo tono rendono conto delle ipotesi d’Eudosso altri abbreviatori del Montucla e del Bailly, e l’ultimo storico dell’astronomia, Ferdinando Hoefer9: «Le système (des sphères) d’Eudoxe fut aussitôt accueilli avec enthousiasme dans toute la Grèce, peut-ệtre parce qu’il était plus absurde que les autres...On en porta successivement le nombre jusqu’à cinquante-six, pour arriver à les abandonner toutes, comme indignes de la science...»
Nella grande storia di Delambre, in cui l’astronomia antica da sé sola occupa non meno di 1270 pagine in-4.°, non mi è riuscito di trovare una parola con cui l’autore faccia menzione delle sfere d’Eudosso. Delambre ha letto e fatto estratti del commentario di Simplicio sui libri de Cœlo, e rende conto di questa sua operazione nelle pagine 301-310 del primo volume; ma sul passo così notabile di quel commento, che è la fonte principale delle nostre notizie sul sistema d’Eudosso, non trovo il minimo cenno. Forse gli sfuggì, o forse non volle annojare il lettore con l’esposizione di cose estranee alla scuola d’Alessandria, fuori della quale per lui non v’è storia dell’astronomia. Una specie d’allusione al sistema d’Eudosso sembra però si possa vedere nel seguente passo del Discorso preliminare10:

  Platon conseilla aux astronomes de chercher l’explication des mouvements célestes dans la combinaison de différents cercles: ils suivent ce conseil, et faute d’idées assez précises et de bonnes observations, ils-multiplient les cercles outre mesure et sans aucun succès». Se Delambre ha inteso di parlar qui delle sfere d’Eudosso (dovute, come si vedrà, all’iniziativa di Platone), convien credere che egli riguardasse tal sistema come un primo grossolano abbozzo della teoria degli epicicli. Ma è certissimo non esservi fra gli epicicli e le sfere omocentriche alcuna specie d’analogia. Questa confusione di cose così disparate si trova anche presso altri scrittori, per esempio presso Whewell, il quale nella sua Storia delle scienze induttive ha dato qualche cenno delle sfere d’Eudosso, e non sembra distinguerle dagli epicicli, la cui [p. 4 modifica]invenzione egli fa risalire ai tempi di Platone, ed anche più indietro11. E Maedler, nella sua recente Storia dell’Astronomia crede dimostrare, che le sfere d’Eudosso sono essenzialmente la stessa cosa che gli epicicli di Tolomeo, e non ne differiscono che per la maggior complicazione12.

Il primo, che abbia impiegato qualche industria per penetrare il segreto del sistema in discorso, sembra sia stato Corrado Schaubach, il quale, fra molti studj da lui fatti sull’Astronomia primitiva dei Greci, uno ne presentò, nel 1800, alla Società delle scienze di Gottinga Sopra le idee d’Eudosso intorno al sistema planetario13. I risultamenti di questa investigazione furono da lui esposti nella bella Storia dell’Astronomia greca prima d'Eratostene, pubblicata nel 180214. Malgrado la diligenza con cui questo scrittore studiò le fonti che trattano di questa materia, egli non riuscì a scoprire il nodo della questione, ed anzi fu tratto in inganno nell’interpretazione dei numeri che Eudosso assegna alle rivoluzioni sinodiche dei cinque pianeti.
Il solo che, a mia notizia, abbia tentato con parziale successo di conoscere alquanto a fondo il meccanismo delle sfere omocentriche, e che abbia reso al loro autore la dovuta giustizia, è stato Lodovico Ideler nella sua eccellente monografia intorno ad Eudosso15, stampata fra le Memorie dell’Accademia Reale di Berlino degli anni 1828 e 1830. Ideler riconobbe il principio fondamentale di questa teoria, e seppe, col mezzo di un globo ordinario, rendersi ragione approssimativamente del modo, con cui Eudosso spiegava le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti, ed il loro movimento in latitudine. Tuttavia egli, avendo per le mani altra tela più vasta, non si addentrò abbastanza nello studio di quelle combinazioni di movimenti, e varie cose gli rimasero oscure, di altre non diede esatta interpretazione. Ma sempre gli rimane il merito di aver fatto in questa materia il passo più importante.
Di quelli che vennero dopo Ideler, nessuno (salvo H. Martin) parve aver preso notizia del suo bel lavoro; onde anche oggidì si continua a scriver la storia delle ipotesi d’Eudosso come la scrivevano un secolo fa Montucla e Bailly. Dobbiamo eccettuare sir George Cornewall Lewis, il quale nella sua opera sull’Astronomia degli antichi16 mostra di conoscere la Memoria d’Ideler, ma non di comprenderne l’importanza; egli pure non ha inteso il senso delle durate assegnate da Eudosso alle rivoluzioni planetarie. Però egli giustamente riconosce, che in questo problema e nella soluzione datane da Eudosso vi doveva esser nascosta molta sottile geometria, sebbene poi non sembri credere possibile di ricondurla alla luce17.

  Nella presente Memoria io mi sono proposto di completare e di correggere l’opera d’Ideler, e di mostrare infine agli astronomi ed ai geometri quale somma d’ingegnose combinazioni [p. 5 modifica]sta nascosta in ciò che ad altri è sembrato ridicolo, o non degno di attenzione alcuna. Noi vedremo messa per la prima volta in chiaro la natura di quella elegante epicicloide sferica detta da Eudosso ippopeda, che è il cardine fondamentale di tutto il suo sistema. Investigheremo entro quali limiti di esattezza le ipotesi eudossiane potevano adattarsi a rappresentare le osservazioni; e da questo studio ricaveremo qualche luce (sebbene non tanta, quanta si potrebbe desiderare) per conoscere la natura delle riforme, che Callippo e Polemarco v’introdussero posteriormente. E comprenderemo ancora la necessità e la ragione di quella grande moltiplicità di sfere, che a torto fu rimproverata da chi non ne intendeva l’ufficio; e che parve cosa degna di riso e di compassione alla nostra epoca, la quale, senza saperlo, nelle teorie planetarie fa uso degli epicicli a decine e a centinaja, nascondendoli sotto il titolo di termini periodici di serie infinite.

Nel prender a meditare su quei monumenti dell’Antico sapere, inspiriamoci, o lettore, a quel rispetto ed a quella venerazione che si devono avere per coloro, che, precedendoci in un’ardua strada, ne hanno a noi aperto ed agevolato il cammino. Con questi sentimenti impressi nell’animo ben ci avverrà d’incontrare osservazioni imperfette e speculazioni lontane dalla verità come oggi è conosciuta; ma non troveremo mai nulla nè di assurdo, nè di ridicolo, nè di ripugnante alle regole del sano ragionare. Se oggi noi, tardi nipoti di quegli illustri maestri, profittando dei loro errori e delle loro scoperte, e salendo in cima all’edifizio da loro elevato, siamo riusciti ad abbracciare collo sguardo un più vasto orizzonte, stolta superbia nostra sarebbe il credere per questo d’aver noi la vista più lunga e più acuta della loro. Tutto il nostro merito sta nell’esser venuti al mondo più tardi.

Note

  1. Delambre, Histoire de l’Astronomie ancienne tome I. Discours préliminaire, p. X.
  2. Ibid. Tome I, p. 325.
  3. Ibid. Tome II. p. 67.
  4. Journal dea Savants, 1867, p. 10.
  5. Populäre Astronomie, § 301.
  6. Rien ne prouve qu’Eudoxe fut geomètre. Questa enorme proposizione si trova enunciata presso Delambre, Hist. de l’Astr. ancienne. Tome I, p. 181. Mostrerò più avanti in qual conto si debba tenere.
  7. Bailly, Histoire de l’Astronomie ancienne, p. 242.
  8. Montucla, Hist. des Math: 2.a ed. I vol. p. 182-183.
  9. Hoefer, Histoire de l’Astronomie.Paris, 1873, p. 136.
  10. Delambre, Astr. anc. vol. I, pag. X.
  11. Whewell, Geschichte der inductiven Wissenschaften, edizione tedesca di Littrow, vol. 1, 137-139.
  12. Maedler, Geschichte der Himmellskunde, p. 47. Brauschweig 1873.
  13. Schaubach, Ueber Eudoxus Vorstellung vom Planetensystem. Nelle Gotting. gelehrte Anzeigen del 1800, n. 54.
  14. Schaubach, Geschichte der Griechischen Astronomie bis auf Eratosthenes (Göttingen 1802), p. 433-442.
  15. Ideler, Ueber Eudoxus. Mem. dell’Acc. di Berlino, Classe istorico-filologica, anno 1828, p. 189-212; anno 1830, p. 49-88.
  16. Cornewall Lewis, An historical Survey of the Astronomy of the Anciens. London, 1862, p. 153-156.
  17. “It is difficult to understand how these co-revolving orbs were conceived to harmonize in producing a single resulting motion: but the Greeks, even in the time of Eudoxus, were subtle geometers, and they doubtless had formed a clear idea as to the solution of a problem which was substantially geometrical„. Anthistorical Survey, etc. p. 153. E altrove: “The theory of composite spheres, devised by Eudoxus and developed by Callippus and Aristotle, was ingenious and required much geometrical resource.» Ibid., p. 210.