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N.° IX. le sfere omocentriche, ecc. 5

sta nascosta in ciò che ad altri è sembrato ridicolo, o non degno di attenzione alcuna. Noi vedremo messa per la prima volta in chiaro la natura di quella elegante epicicloide sferica detta da Eudosso ippopeda, che è il cardine fondamentale di tutto il suo sistema. Investigheremo entro quali limiti di esattezza le ipotesi eudossiane potevano adattarsi a rappresentare le osservazioni; e da questo studio ricaveremo qualche luce (sebbene non tanta, quanta si potrebbe desiderare) per conoscere la natura delle riforme, che Callippo e Polemarco v’introdussero posteriormente. E comprenderemo ancora la necessità e la ragione di quella grande moltiplicità di sfere, che a torto fu rimproverata da chi non ne intendeva l’ufficio; e che parve cosa degna di riso e di compassione alla nostra epoca, la quale, senza saperlo, nelle teorie planetarie fa uso degli epicicli a decine e a centinaja, nascondendoli sotto il titolo di termini periodici di serie infinite.

Nel prender a meditare su quei monumenti dell’Antico sapere, inspiriamoci, o lettore, a quel rispetto ed a quella venerazione che si devono avere per coloro, che, precedendoci in un’ardua strada, ne hanno a noi aperto ed agevolato il cammino. Con questi sentimenti impressi nell’animo ben ci avverrà d’incontrare osservazioni imperfette e speculazioni lontane dalla verità come oggi è conosciuta; ma non troveremo mai nulla nè di assurdo, nè di ridicolo, nè di ripugnante alle regole del sano ragionare. Se oggi noi, tardi nipoti di quegli illustri maestri, profittando dei loro errori e delle loro scoperte, e salendo in cima all’edifizio da loro elevato, siamo riusciti ad abbracciare collo sguardo un più vasto orizzonte, stolta superbia nostra sarebbe il credere per questo d’aver noi la vista più lunga e più acuta della loro. Tutto il nostro merito sta nell’esser venuti al mondo più tardi.

II. Origine delle sfere omocentriche.

Già molto prima d’Eudosso i filosofi greci (che allora erano ad un tempo e fisici e geometri ed astronomi) avevano immaginato diverse costruzioni per rappresentare in modo plausibile le principali apparenze che si osservano nella disposizione e nel movimento degli astri. Fra altri ricordi delle opinioni cosmologiche della scuola Jonica si sono conservate alcune notizie intorno a certi curiosi meccanismi che aveva supposto Anassimandro per rendersi conto del moto del Sole e della Luna in declinazione, e per spiegare i fenomeni delle eclissi. Ma da queste notizie poco si può ricavare di preciso e di soddisfacente. Più copiose sono le memorie rimaste della scuola Pitagorica e di Platone. In altra lettura1 ho descritto le ipotesi astronomiche, con cui Filolao riuscì a combinare il moto diurno dei pianeti, del Sole, e della Luna, col loro movimento periodico lungo lo zodiaco; ed ho pure indicato quanto di più certo intorno alle idee astronomiche di Platone si può ricavare dallo studio de’ suoi libri. Da tale studio emerge il fatto, che ai tempi di Filolao (440 circa) non si era mosso ancora alcun tentativo per spiegare le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti; e dal modo avviluppato con cui Platone parla di questi fenomeni nel libro X della Repubblica e nel Timeo, sembra anzi si possa inferire, che egli medesimo non avesse neppur una idea molto precisa della legge e dei periodi con cui essi avvengono. Tuttavia egli aveva potuto convincersi dell’insufficienza delle ipotesi fino allora proposte, le quali ben potevano dare un’immagine approssimativa del modo con cui si producono le apparenze più salienti del cielo, ma non giungevano però a render ragione di tutto quello, che già a quel tempo poteva constare anche dalle più sommarie osservazioni. Un’attenzione continuata aveva posto in


  1. I precursori di Copernico nell’antichità, Mem. del R. Istituto Lomb. Vol. XII, pag. 342-381.