Le piacevoli notti/Notte VII/Favola II

Favola II

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FAVOLA II.


Malgherita Spolatina s’innamora di Teodoro Calogero, e nuotando se ne va a trovarlo; e scoperta da’ fratelli e ingannata dall’acceso lume, miseramente in mare s’annega.


Amore, sì come io trovo da gli uomini savi prudentissimamente descritto, niuna altra cosa è che una irrazionabile volontà, causata da una passione venuta nel cuore per libidinoso pensiero. I cui malvaggi effetti sono dissipamento delle terrene ricchezze, guastamento delle forze del corpo, disviamento dell’ingegno, e della libertà privazione. In lui non è ragione, in lui non è ordine, in lui non è stabilità alcuna. Egli è padre de’ vizii, nemico della gioventù, e della vecchiezza morte; e rade volte o non mai gli è conceduto felice e glorioso fine: sì come avenne ad una donna della famiglia Spolatina, la qual, sottoposta a lui, miseramente finì la vita sua.

Ragusi, valorose donne, chiarissima città della Dalmazia, è posta nel mare, ed ha non molto da lungi una isoletta communalmente chiamata l’isola di mezzo, dove è un forte e ben fondato castello; e tra Ragusi e la sopradetta isola è un scoglietto, dove altro non si trova se non una chiesa assai picciola con un poco di capanna mezza coperta di tavole. Quivi non abitavano persone per esser il luoco sterile e di cattiva aria, eccetto un calogero, Teodoro chiamato; il quale [p. 49 modifica]per scargamento de’ peccati suoi divotamente serviva a quel tempio. Costui, non avendo il modo di sostentare la vita sua, andavasi quando a Ragusi e quando all’isola di mezzo, e mendicava. Avenne che sendo un giorno Teodoro nell’isola di mezzo e mendicando il pane secondo il costume suo, trovò quello che mai non s’avea imaginato trovare. Imperciò che se gli fe’ incontro una vaga e leggiadra giovane, Malgherita nomata; la qual, veggendolo di forma bello e riguardevole, considerò tra se stessa lui essere uomo più tosto da essercitarsi ne’ piaceri umani, che darsi alla solitudine. Onde Malgherita sì fieramente nel cuore l’abbracciò, che giorno e notte ad altro non pensava che a lui. Il calogero, che di ciò ancora non s’avedeva, continuava il suo essercizio di mendicare: e spesso se n’andava alla casa di Malgherita, e chiedevale limosina. Malgherita, del lui amore accesa, facevagli limosina; non però osava scoprirgli il suo amore. Ma amore, che è scudo di chiunque volontieri segue le sue norme, nè mai gli manca d’insegnar la via di pervenire al desiderato fine, diede alquanto di ardire a Malgherita; e accostatasi a lui, in tal guisa disse: Teodoro fratello, e solo refrigerio dell’anima mia, tanta è la passione che mi tormenta, che se voi non mi prestate aiuto, presto mi vederete di vita priva. Io, infiammata del vostro amore, non posso più resistere all’amorose fiamme. Ed acciò che voi di mia morte non siate cagione, mi prestarete subito soccorso; e queste parole dette, si mise fortemente a piagnere. Il calogero, che ancor non s’aveva aveduto ch’ella l’amasse, restò come pazzo. Ma rassicurato alquanto, ragionò con lei; e sì fatti furono e ragionamenti loro, che, lasciate da canto le cose celesti, nelle amorose entrarono: nè altro li restava, se non il comodo di trovarsi [p. 50 modifica]insieme e adempir la lor bramosa voglia. La giovane, che era molto accorta, disse: Amor mio, non dubitate; che io vi dimostrerò il modo che avremo a tenere. Il modo sarà questo. Voi in questa sera a quattro ore di notte porrete un lume acceso alla finestra della capanna vostra; ed io, quello veduto, immantenenti verrommi a voi. Disse Teodoro: Deh! come farai tu, figliuola mia, a passar il mare? Tu sai che nè io nè tu avemo navicella da traghiettare; e mettersi nell’altrui mani sarebbe molto pericoloso all’onore e alla vita d’ambiduo. Disse la giovane: Non dubitate punto; lasciate il carico a me, perciò che io trovai la via di venire a voi senza pericolo di morte e di onore. Io, veduto il lume acceso, me ne verrò a voi nuotando; nè alcuno saprà e fatti nostri. A cui Teodoro: Egli è pericolo che non ti attuffi nel mare; perciò che tu sei giovanetta e di poca lena, e il viaggio è lungo, e ti potrebbe agevolmente mancare il fiato, e sommergerti. — Non temo, rispose la giovane, di non mantener la lena; perciò che io nuoterei a gara d’un pesce. Il calogero, vedendo il suo fermo volere, accontentò; e venuta la buia notte, secondo il dato ordine, accese il lume: e apparecchiato un bianchissimo sugatoio, con grandissima allegrezza aspettò la desiderata giovane. La quale, veduto il lume, s’allegrò; e spogliatasi le sue vestimenta, scalza e in camiscia, sola n’andò alla riva del mare: dove, trattasi la camiscia di dosso, e ravoltala a lor guisa in testa, s’aventò nel mare; e tanto le braccia e i piedi nuotando distese, che in men d’un quarto d’ora aggiunse alla capanna del calogero, che l’aspettava. Il quale, veduta la giovane, la prese per la mano, e menolla nella sua mal coperta capanna: e preso il sugatoio come neve bianco, con le proprie mani da ogni parte l’asciugò: indi condottala nella sua celletta, e postala [p. 51 modifica]sopra un letticello, presso lei si coricò e seco prese gli ultimi frutti d’amore. I duo amanti stettero due grand’ore in dolci ragionamenti e stretti abbracciamenti; e la giovane molto paga e contenta dal calogero si partì, lasciando però buon’ordine di ritornare a lui. La giovane, che già era assuefatta a i dolci cibi del calogero, ogni volta ch’ella vedeva il lume acceso, a lui nuotando se n’andava. Ma l’empia e cieca fortuna, mutatrice di regni, volvitrice delle cose mondane, nemica di ciascun felice, non sofferse la giovane lungo tempo il suo caro amante godere; ma come invidiosa dell’altrui bene, s’interpose e ruppe ogni suo disegno. Imperciò che sendo l’aria da noiosa nebbia d’ogn’intorno impedita, la giovane, che avea veduto l’acceso lume, si gettò nel mare; e nuotando, fu da certi pescatori, che poco lontano pescavano, scoperta. I pescatori, credendo lei esser un pesce che nuotasse, si misero intentamente a riguardare; e conobbero lei esser femina, e videro lei nella capanna del calogero smontare. Di che si maravigliarono assai. E presi e lor remi in mano, aggiunsero alla capanna: dove postisi in aguaito, tanto aspettarono, che la giovane uscì fuori della capanna, e nuotando se n’andava verso l’isola di mezzo. Ma la meschinella non seppe tanto occultarsi, che da’ pescatori non fusse conosciuta. Avendo adunque e pescatori scoperta la giovane, e conosciuto chi ella era, e veduto più volte il periglioso passaggio, e compreso il segno dell’acceso lume, deliberarono più fiate tra se stessi tenere il fatto occulto. Ma poscia considerato il scorno che poteva avenire all’onesta famiglia, e il pericolo di morte in cui la giovane incapar poteva, mutorono openione, e al tutto tal cosa a’ fratelli della giovane deliberarono palesare; e andatisene alla casa delli fratelli di Malgherita, di punto in [p. 52 modifica]punto gli raccontaro il tutto. I fratelli, udita e intesa la trista nuova, creder non la poteano, se prima con i propri occhi tal cosa non vedeano. Ma poscia che di tal fatto furono chiari, deliberarono di farla morire; e fatto tra loro deliberato consiglio, quello essequirono. Imperciò che il minor fratello nel brunir della sera ascese nella navicella: e chetamente solo al calogero se n’andò: e a quello richiese che per quella notte l’albergo non gli negasse, perciò che gli era avenuto un caso, per lo quale stava in gran pericolo d’esser preso e per giustizia morto. Il calogero, che conosceva lui esser fratello di Malgherita, benignamente il ricevette e carecciollo; e tutta quella notte stette seco in varii ragionamenti, dichiarandogli le miserie mondane ed e peccati gravi che mortificano l’anima e fannola serva del diavolo. Mentre che ’l minor fratello col calogero dimorava, gli altri fratelli nascosamente uscirono di casa: e presa un’antennella e il lume, montarono in nave: e verso la capanna del calogero se n’andarono; e aggiunti che furono, drizzarono l’antennella in piede, e sopra quella posero l’acceso lume, aspettando quello avenir potesse. La giovane, veduto il lume acceso, secondo il suo costume si mise in mare; e animosamente nuotava verso la capanna. E fratelli, che chetti ci stavano, udito il movimento che Malgherita nell’acqua faceva, presero i lor remi in mano, e chettamente col lume acceso si scostorono dalla capanna; e senza esser da lei sentiti, nè per la scura notte veduti, pian piano cominciarono senza far strepito alcuno vogare. La giovane, che per la buia notte altro non vedeva fuori che l’acceso lume, quello seguiva. Ma i fratelli tanto si dilungarono, che la condussero nell’alto mare: e calata giù l’antenna, estinsero il lume. La miserella, non vedendo più il lume, nè [p. 53 modifica]sapendo dove si fusse, già stanca per lo lungo nuotare, si smarrì; e vedendosi fuori d’ogni soccorso umano, s’abbandonò del tutto, e, come rotta nave, fu ingiottita dal mare. I fratelli, che vedevano non esser più rimedio al suo scampo, lasciata l’infelice sorella nel mezzo delle marine onde, ritornarono a casa. Il fratello minore, fatto il chiaro giorno, rese le debite grazie al calogero per le accoglienze fatte, e da lui si partì. Già si spargeva la trista fama per tutto il castello che Malgherita Spolatina non si trovava. Di che e fratelli fingevano averne grandissimo dolore; ma dentro del cuore sommamente godevano. Non varcò il terzo giorno, che il corpo morto della infelicissima donna fu dal mare alla riva del calogero gettato. Il quale vedutolo e conosciutolo, poco mancò che non si privasse di vita. Ma presolo per un braccio, niuno però avedendosi, lo trasse fuori dell’onde, e portollo dentro in casa; e gettatosi sopra il morto viso, per lungo spazio lo pianse, e di abbondantissime lagrime il bianco petto coperse, assai volte in vano chiamandola. Ma poscia che ei ebbe pianto, pensò di darle degna sepoltura, ed aiutare con orazioni, con digiuni e con altri beni l’anima sua. E presa la vanga, con cui alle volte vangava il suo orticello, fece una fossa nella chiesetta sua, e con molte lagrime le chiuse gli occhi e la bocca: e fattale una ghirlanda di rose e viole, gliela pose in capo; indi datale la benedizione e basciatala, dentro la fossa la mise e con la terra la coperse. E in tal guisa fu conservato l’onor di fratelli e della donna, nè mai si seppe quello di lei ci fosse.

Più volte la compassionevole favola aveva alle donne porte le lagrime, nè cessavano col moccichino, che a lato tenevano, asciugarsi gli occhi. Ma la Signora, che ancora non si poteva astener dal piagnere, [p. 54 modifica]vedendo la favola di Lionora esser aggiunta a miserabil fine, impose al Molino che alcun ridicoloso enimma proponesse, acciò che il piacere col dolore si temperasse. Ed egli, senza mettervi indugio alcuno, in tal maniera disse.


Nel caldo sen di due vaghe mammelle
     D’una leggiadra ninfa il viver prendo,
E a lei de l’opre mie pregiate e belle
     Per tal effetto degno merto rendo.
Volgiuon così dopò l’erranti stelle,
     Ch’in un nido mi chiudo; ed indi uscendo,
Unito insieme con la mia consorte,
     Per viver corro a volontaria morte.


Da pochi, anzi da niuno fu inteso il dotto enimma dal Molino raccontato; ma egli che s’avedeva tutti star perplessi e fuori di sè, disse: La vera intelligenza del mio enimma è che la donna nel tempo di maggio pone nel suo seno le ova del cavalliere che fa la seta, ed ivi il viver prende. Ed il cavalliere nato, in ricompensa di tal beneficio, le dà la seta. Indi chiuso nella galetta, e uscito fuori, si congiunge con la sua consorte, la quale fa le ova, e volontariamente corre alla morte. Non men dotta che bella fu la isposizione dell’inviluppato enimma, e quella ad una voce comendorono. Lodovica, a cui il terzo luogo di favoleggiare toccava, levossi in piedi; e fatta una riverenza alla Signora, con sua licenza così disse.