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vedendo la favola di Lionora esser aggiunta a miserabil fine, impose al Molino che alcun ridicoloso enimma proponesse, acciò che il piacere col dolore si temperasse. Ed egli, senza mettervi indugio alcuno, in tal maniera disse.


Nel caldo sen di due vaghe mammelle
     D’una leggiadra ninfa il viver prendo,
E a lei de l’opre mie pregiate e belle
     Per tal effetto degno merto rendo.
Volgiuon così dopò l’erranti stelle,
     Ch’in un nido mi chiudo; ed indi uscendo,
Unito insieme con la mia consorte,
     Per viver corro a volontaria morte.


Da pochi, anzi da niuno fu inteso il dotto enimma dal Molino raccontato; ma egli che s’avedeva tutti star perplessi e fuori di sè, disse: La vera intelligenza del mio enimma è che la donna nel tempo di maggio pone nel suo seno le ova del cavalliere che fa la seta, ed ivi il viver prende. Ed il cavalliere nato, in ricompensa di tal beneficio, le dà la seta. Indi chiuso nella galetta, e uscito fuori, si congiunge con la sua consorte, la quale fa le ova, e volontariamente corre alla morte. Non men dotta che bella fu la isposizione dell’inviluppato enimma, e quella ad una voce comendorono. Lodovica, a cui il terzo luogo di favoleggiare toccava, levossi in piedi; e fatta una riverenza alla Signora, con sua licenza così disse.