Le opere e i giorni (Esiodo - Romagnoli)/La Giustizia
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Giudici saggi son questi: pur, narro una favola ad essi.
Uno sparviere, che aveva fra l’unghie un canoro usignuolo,
e per le nubi così lo recava ghermito, gli disse —
205quello, da parte a parte trafitto dall’unghie ricurve,
miseramente gemeva — cosí, duramente, gli disse:
Gemi, tapino? Perché? Ti stringe uno molto piú forte:
andrai, benché tu sia valente cantor, dov’ei brama.
Di te faccio banchetto, se voglio, se voglio, ti lascio.
210Chi faccia a faccia vuole lottar col piú forte, è uno stolto:
vincer, non vince; ed oltre lo scorno, gli tocca la doglia».
Disse cosí lo sparviere, l’uccello dall’ala veloce.
O Perse, ascolta tu la Giustizia, né mai favorire
la Prepotenza: ch’è male pel debole; e il forte, ancor esso
215non la sostien di leggeri, ma sotto il suo peso s’aggrava,
quand’ei nella Follia della colpa s’imbatte. Assai meglio
vale seguir l’altra via, che guida a Giustizia: Giustizia
sempre alla fine trionfa, lo stolido impara a sue spese.
Ché Giuro corre dove si dettano inique sentenze,
220e di Giustizia il piato si leva, se giudici ingordi
via la discacciano, e dànno sentenza con torto giudizio.
Traverso la città segue ella piangendo, e pei borghi,
entro una nebbia ascosa, recando malanni ai mortali
che l’hanno posta in bando, che furono giudici iniqui.
225Ma quei che il buon diritto, pei lor cittadini e i foresti
soglion partire, e mai non lascian le vie di Giustizia,
dà la città rigoglio per essi, fioriscon le genti,
per le contrade, la Pace, ferace di pargoli, ride;
né contro loro la Guerra funesta mai Giove decreta.
230Fame non trovi mai, fra i giusti, o Follia di peccato,
ma l’opere dei campi si svolgon fra lieti festini,
dà frutti ad essi in copia la terra, la quercia sui monti
dalla sua vetta produce le ghiande, dal tronco le pecchie,
le pecore lanose gravate di bioccoli sono,
235gènerano le donne figliuoli simili ai padri;
ed hanno ognor di beni rigoglio; né mai su le navi
debbon salire: li nutre la terra datrice di spelta2.
Ma chi la Vïolenza malvagia, chi l’opere tristi
pratica, Giove, figlio di Crono, gl’infligge il castigo,
240e tutta la città paga il fio pel malanno d’un solo
che mala strada batta, che d’opere inique si macchi.
Dal cielo ad essi infligge dogliosi cordogli il Croníde,
la fame, e insiem la pèste. Soccombono morte le genti,
né piú generan figli le donne, distrutte le case,
245per il volere di Giove signore d’Olimpo; e talvolta
egli un esercito grande distrugge, distrugge una rocca;
oppure, in mezzo al mare, le navi distrugge il Croníde.
Ed anche voi, sovrani, rivolger dovete la mente
alla giustizia di Giove: ché agli uomini stando vicini,
250gli Dei scorgono quelli che falsano il giusto e, travaglio
recando l’uno all’altro, non pensano all’occhio dei Numi.
Poiché son su la terra feconda, Custodi immortali,
tre volte diecimila, prefissi da Giove ai mortali,
che la giustizia sempre sorvegliano, e l’opere inique,
255e girano, vestiti di nebbia, per tutta la terra.
E poi, Giustizia c’è, la vergine nata da Giove,
degna d’onore, e onorata dai Numi che reggon l’Olimpo.
E quando alcuno danno le reca, oppur subdolo oltraggio,
súbito presso a Giove Croníde si reca, e a gran voce
260scopre degli uomini ingiusti le brame; ed il popolo sconta
le sciagurate follie dei re, che con mente funesta
svïano la Giustizia, pronunciano ingiuste condanne.
Pensate a ciò, tenete Giustizia sul retto cammino,
sovrani ingordi, v’esca di mente l’iniquo sopruso:
265l’uomo che ad altri appresta malanni, li appresta a sé stesso:
primo per chi l’ha dato, funesto è il cattivo consiglio.
Ché tutto vede l’occhio di Giove, ché tutto comprende.
Ed anche qui, se vuole, vede ora; né punto gli sfugge
quale giustizia racchiuda la nostra città fra le mura.
270Oh, d’esser non m’avvenga fra gli uomini giusto, a mio figlio
deh, non avvenga mai! Ché l’essere giusto è un malanno,
se dalle liti uscire dovrà vincitore il briccone.
Ma io non vo’ pensare che possa concederlo Giove.
O Perse, queste cose nel cuore tu fíggiti bene.
275Presta l’orecchio a Giustizia, dimentica affatto il Sopruso.
Però che stabilí questa legge agli umani il Croníde:
ai pesci, ed alle fiere terrestri, e agli uccelli volanti,
che l’un mangiasse l’altro: ché norme non han di giustizia;
e agli uomini largí Giustizia, che val molto meglio:
280perché, se alcuno il vero riesce a veder, lo professa,
Giove che tutto vede, benessere a quello concede;
ma chi, testimoniando, cosciente mentisce e spergiura,
lede giustizia, e folle divien d’insanabile colpa.
A poco a poco, oscura divien la sua stirpe, e si perde:
285di chi rispetta il giusto, migliore la stirpe diviene.