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218-247 LE OPERE E I GIORNI 15

sempre alla fine trionfa, lo stolido impara a sue spese.
Ché Giuro corre dove si dettano inique sentenze,
220e di Giustizia il piato si leva, se giudici ingordi
via la discacciano, e dànno sentenza con torto giudizio.
Traverso la città segue ella piangendo, e pei borghi,
entro una nebbia ascosa, recando malanni ai mortali
che l’hanno posta in bando, che furono giudici iniqui.
225Ma quei che il buon diritto, pei lor cittadini e i foresti
soglion partire, e mai non lascian le vie di Giustizia,
dà la città rigoglio per essi, fioriscon le genti,
per le contrade, la Pace, ferace di pargoli, ride;
né contro loro la Guerra funesta mai Giove decreta.
230Fame non trovi mai, fra i giusti, o Follia di peccato,
ma l’opere dei campi si svolgon fra lieti festini,
dà frutti ad essi in copia la terra, la quercia sui monti
dalla sua vetta produce le ghiande, dal tronco le pecchie,
le pecore lanose gravate di bioccoli sono,
235gènerano le donne figliuoli simili ai padri;
ed hanno ognor di beni rigoglio; né mai su le navi
debbon salire: li nutre la terra datrice di spelta4.
Ma chi la Vïolenza malvagia, chi l’opere tristi
pratica, Giove, figlio di Crono, gl’infligge il castigo,
240e tutta la città paga il fio pel malanno d’un solo
che mala strada batta, che d’opere inique si macchi.
Dal cielo ad essi infligge dogliosi cordogli il Croníde,
la fame, e insiem la pèste. Soccombono morte le genti,
né piú generan figli le donne, distrutte le case,
245per il volere di Giove signore d’Olimpo; e talvolta
egli un esercito grande distrugge, distrugge una rocca;
oppure, in mezzo al mare, le navi distrugge il Croníde.