Le opere e i giorni (Esiodo - Romagnoli)/Le età del mondo

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Esiodo - Le opere e i giorni (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Le età del mondo
Prometeo e Pandora La Giustizia
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LE ETÀ DEL MONDO


In breve, ora, se vuoi, con garbo, con certa scïenza,
narrar ti posso un’altra leggenda; e tu intendila bene:
come da sola una stirpe provengano gli uomini e i Numi.
     D’oro la prima stirpe degli uomini nati a morire
110fecero dunque i Numi d’Olimpo che vivono eterni.
Vissero sotto Crono, che era sovrano del cielo:
vivean di Numi al pari, con l’animo senza cordoglio,
senza fatica, senza dolor; né su loro incombeva
la sconsolata vecchiaia; ma forti di piedi e di mani,
115scevri di tutti i mali, passavano il tempo in conviti,
morian come irretiti dal sonno. E ogni sorta di beni
era fra loro: la terra datrice di spelta, i suoi frutti,
da sé, facili e in copia, porgeva; e benevoli e miti,
l’opere tutte fra sé ripartivano e i beni opulenti,
120ricchi com’eran di greggi, diletti ai beati Celesti.
E poi che tal progenie sparita fu sotto la terra,
Dèmoni sono adesso, secondo il volere di Giove,
buoni, che stanno sopra la terra, custodi ai mortali.
Sono custodi ai mortali, dell’opere pie, dell’inique:
125son circonfusi d’aria, frequentano tutta la terra,
partiscon le ricchezze, ché n’han privilegio regale.

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Una seconda stirpe, di molto peggiore, d’argento,
quindi crearono i Numi celesti, signori d’Olimpo.
Simile a quella d’oro, né forma avean essi, né mente:
130ma ben cento anni il bimbo, vicino alla tenera madre
pargoleggiando restava, balordo, stoltissimo, in casa.
Cresciuti ch’eran poi, raggiunta l’età piú fiorente,
viveano breve tempo, crucciati di gravi dolori,
per la stoltezza loro; perché dal reciproco oltraggio
135non seppero astenersi, né voller servire i Celesti,
né sugli altari sacri offrire ai Celesti ecatombi,
com’è pure uso e legge degli uomini. Infine, adirato,
Giove, figliuolo di Crono, li fece sparir da la terra,
perché privi d’onore lasciavano i Numi d’Olimpo.
140E poi che dalla terra sparita anche fu tale stirpe,
Inferi son chiamati, Beati mortali. Secondi
son negli onori; eppure qualcuno ne godono anch’essi.
     E Giove padre una terza progenie di genti mortali
creò, di bronzo, in tutto dissimile a quella d’argento,
145cruda e terribile, nata dai frassini. L’opre di Marte
care essi avean, di pianto feconde, e le ingiurie. Non pane
era il lor cibo: il cuore feroce, nel sen, d’adamante:
informi: aveano immane vigore: indomabili mani
su le gagliarde membra sporgevan dagli omeri: l’armi
150avean tutte di bronzo, costrutte di bronzo le case:
solo foggiavano il bronzo, ché il cerulo ferro non c’era.
Ed anche questi, gli uni domati per mano degli altri,
entro la squallida casa disceser del gelido Averno,
senza ricordo lasciare: sebbene tremendi, li colse
155livida morte, e del sole lasciaron la fulgida luce.
     Ora, poiché la terra nascosta ebbe ancor tale stirpe,
sopra le zolle che tanti nutricano, ancora una quarta
Giove Croníde ne fece, migliore di molto, e piú giusta:
stirpe divina e mortale, d’Eroi Seminumi chiamata,

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160che prima della nostra vivea su l’intermine terra.
E questi, anche, la Guerra maligna e la Rissa odïosa
strussero, alcuni sotto le porte settemplici, nella
terra di Cadmo, mentre pugnavan pei greggi d’Edipo;
ed altri, entro le navi, sui gorghi infiniti del mare,
165quando li addussero a Troia, per Elena chioma fiorente.
Il fine allora qui li strinse funesto di morte;
e Giove padre, figlio di Crono, dagli uomini lungi
vita e soggiorno a loro concesse, ai confin’ della terra,
dagli Immortali lungi. È Crono fra loro sovrano.
170Ed abitan costoro, con l’animo sgombro di cruccio,
avventurati Eroi, dei Beati nell’isole, presso
ai vortici profondi d’Ocèano; e ad essi la terra
offre, tre volte all’anno, soavi, di miele, i suoi frutti.
     Deh, fra la quinta stirpe non fossi mai nato, ma prima
175io fossi morto, oppure piú tardi venuto alla luce!
Poiché di ferro è questa progenie. Né tregua un sol giorno
avrà mai dal travaglio, dal pianto, dall’esser distrutta
e giorno e notte; e pene crudeli gli Dei ci daranno.
Pur tuttavia, coi mali commisto sarà qualche bene.
180E poi, questa progenie sarà sterminata da Giove,
quando nascendo i pargoli avranno già grige le tempie1.
Né stretti i figli piú col padre, né il padre coi figli
sarà: l’ospite all’ospite avverso, l’amico all’amico;
né, come un giorno, amici saranno fra loro i fratelli:
185il figlio oltraggerà, come invecchino, i suoi genitori,
farà rampogna ad essi, berciando con dure parole.
Stolti! Né san che gli Dei vedon tutto. Né ai vecchi parenti
che li han cresciuti bimbi, provvedono a dare il ricambio.
Il dritto, della forza sarà: le città l’un dell’altro
190porranno a sacco: piú la bontà, l’equità, la parola,
non avran pregio, e stima piuttosto godrà chi soverchia,
chi male adopra: ognuno giustizia farà di sua mano;

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né verecondia sarà; ma i tristi, a rovina del buono,
adopreranno gli obliqui discorsi, faranno spergiuro.
195E s’accompagnerà con gli uomini miseri Invidia,
lingua d’infamia, cuore che gode del male, occhio d’odio.
E lungi dalla Terra dall’ampie contrade, le belle
membra celando tutte nei candidi manti, all’Olimpo
fuggono, fra le tribù dei Numi, dagli uomini lungi,
200Giustizia e Verecondia. Funesti dolori ai mortali
sol resteranno; e piú non avranno riparo dai mali.


Note

  1. [p. 278 modifica]Tutti i commentatori riconoscono che qui il racconto prende un tono d’oscura profezia, o, meglio, d’enigma. Io credo che la chiave ne vada cercata in un passo di Diodoro Siculo (V, 32), il quale dice che presso i Celti i bambini nascono per lo piú coi capelli bianchi. Bianchi sembravano ai bruni Greci i biondissimi fanciulli dei Celti e nelle parole di Esiodo è da ravvisare l’eco del terrore che le invasioni celtiche avevano gettato in cuore alle popolazioni autoctone. Quando nelle loro terre cresceranno bambini celti, sarà la fine. Questa interpretazione si è affacciata alla mia mente con assoluta indipendenza: poi ho visto che era già balenata al Goettling. Rilevo la coincidenza, che non mi sembra priva di valore.