Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Orcomeno, Argo, Tenedo/Ode Nemea XI
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ODE NEMEA XI
Questa ode non è un epinicio: bensí uno scolio (o encomio: vedi nei «Frammenti» l’introduzione agli «Encomî») per l’insediamento di Aristagora eletto pritano di Tenedo. Le somiglianze che intercedono fra essa, la VI Nemea e la VIII Pitica, inducono ad attribuirla alla vecchiaia del poeta. Sulle circostanze di fatto che si possono radunare intorno a quest’ode, rimando al mio Pindaro, pag. 170 sg.
Aristagora, dunque, da giovinetto s’era dedicato ai giuochi agonali; e aveva già mietute vittorie in molte gare, quando, sul punto di cimentarsi a quella di Pito, i genitori, troppo timidi, gli si opposero. E allora si consacrò alla vita politica.
L’ode è chiarissima. Pindaro invita Vesta perché accolga Aristagora e i suoi colleghi pritani; e s’augura che compia l'anno, e arrivi ai giorni dei rendiconti senza aver troppe noie (1-10). Fortunato anche suo padre Arcesilao. Aristagora è bello, è intrepido, ha vinto sedici volte negli agoni di Tenedo e dei paesi vicini, e se i genitori non lo tenevano, avrebbe vinto anche a Pito e in Olimpia. Ma come ci sono gli sfacciati che si sobbarcano a tutto senza pensarci su, così ci sono gli uomini di valore che per timidità si pèritano (11-33). Dal valore che egli dimostrò era ben facile vedere che egli discendeva da Pisandro e da Melanippo. Naturalmente, non ogni generazione della loro famiglia diede grandi campioni: come fanno la terra e l’albero, che alternano i frutti. Del resto, tutto è sulle ginocchia di Giove. Non conviene quindi nutrire eccessive speranze, ché il destino non le renda írrite: e innamorarsi di ciò che non si può raggiungere, è da pazzi.
Se questi ultimi pensieri alludano a qualche fatto, che del resto non sapremmo precisare, è quistione discutibile. Ma visto che questo ultimo pensiero, come del resto tutti i precedenti, appartengono al piú rispettabile repertorio della gnomica pindarica, mi sembra rischioso volerci fabbricare su congetture.
PER ARISTAGORA DI TENEDO
ELETTO PRESIDENTE DEL PRITANEO
I
Strofe
Vesta, o di Rea figliuola, che il seggio concedi ai pritàni
di Giove eccelso, e d’Era, compagna al suo trono, sorella,
nelle tue stanze, presso lo scettro tuo fulgido, accogli
benigna Aristàgora, accogli i compagni
che, te celebrando, mantengono Tenedo in piedi,
Antìsirofe
te, fra le Dive prima, con molti libami onorando,
con fumiganti vittime; e il canto e la lira in tua gloria
fremono; e nei perenni banchetti di Giove ospitale
s’onora Giustizia. Deh!, possa ei varcare
i dodici mesi con animo sgombro di pene.
Epodo
Arcesilao pure io stimo beato, che vita gli diede,
stimo beato il fulgido aspetto, e l’impavido cuore.
Ché, se taluno è felice, se supera gli altri in bellezza,
se negli agoni, vincendo, provò la sua possa,
rammenti che membra mortali ei recinge,
che avrà, compimento di tutte le cose, una veste di terra.
II
Strofe
I cittadini è giusto che or gli largiscano laudi,
che i canti dolci al pari del miele lo rendano adorno:
sedici volte già, nella lotta, nell’arduo pancrazio,
Vittoria coi serti cingea nei finitimi
agoni Aristàgora, e seco la chiara sua patria.
Antìsirofe
Dei genitori l’animo troppo dubbioso trattenne
la sua giovine forza, che in Pito e in Olimpia saggiasse
la possa. Eppure, in fede mi credo che pur da la fonte
Castalia e dal clivo frondoso di Crono
riscossa egli avrebbe la palma su tutti i rivali,
Epodo
e festeggiate le ferie avrebbe che Alcide ogni lustro
celebra: al crine cinte le frondi e la porpora avrebbe.
Ma dissennata iattanza talora un mortale dei beni
priva: ad un altro che troppo sua possa sconosce
il cuor non esperto di ardire, contese
il premio legittimo, indietro con trepida mano tenendolo.
III
Strofe
Facile era conoscere il sangue che fu di Pisandro,
che fu di Sparta — ei venne, insiem con Oreste, da Amícla
a questo suol, guidando le bronzëe schiere degli Èoli —
e il sangue commisto lunghesso l’Ismèno,
dell’avolo suo Melanippo. Le antiche virtú
Antistrofe
recan con vece alterna la forza alle stirpi degli uomini.
Cosí né i solchi negri concedono frutto perenne,
cosí non dànno gli alberi in ogni stagione dell’anno
il fiore odoroso con copia costante;
ma alternano. E il Fato ugualmente conduce i mortali.
Epodo
Né quanto Giove disegna per l’uomo, visibile giunge.
Ma pure, a cento cose volgendo la brama, inforchiamo
illusioni superbe: ché abbiamo le membra irretite
da spudorata Speranza; ché lungi i suoi fonti
riversa Prudenza. Sia freno alle voglie;
ché quanto è impossibile attingere bramare è ben cieca follia.