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Questa ode non è un epinicio: bensí uno scolio (o encomio: vedi nei «Frammenti» l’introduzione agli «Encomî») per l’insediamento di Aristagora eletto pritano di Tenedo. Le somiglianze che intercedono fra essa, la VI Nemea e la VIII Pitica, inducono ad attribuirla alla vecchiaia del poeta. Sulle circostanze di fatto che si possono radunare intorno a quest’ode, rimando al mio Pindaro, pag. 170 sg.

Aristagora, dunque, da giovinetto s’era dedicato ai giuochi agonali; e aveva già mietute vittorie in molte gare, quando, sul punto di cimentarsi a quella di Pito, i genitori, troppo timidi, gli si opposero. E allora si consacrò alla vita politica.

L’ode è chiarissima. Pindaro invita Vesta perché accolga Aristagora e i suoi colleghi pritani; e s’augura che compia l'anno, e arrivi ai giorni dei rendiconti senza aver troppe noie (1-10). Fortunato anche suo padre Arcesilao. Aristagora è bello, è intrepido, ha vinto sedici volte negli agoni di Tenedo e dei paesi vicini, e se i genitori non lo tenevano, avrebbe vinto anche a Pito e in Olimpia. Ma come ci sono gli sfacciati che si sobbarcano a tutto senza pensarci su, così ci sono gli uomini di valore che per timidità si pèritano (11-33). Dal valore che egli dimostrò era ben facile vedere che egli discendeva da Pisandro e da Melanippo. Naturalmente, non ogni generazione della loro famiglia diede grandi campioni: come fanno la terra e l’albero, che alternano i frutti. Del resto,