Le odi e i frammenti (Pindaro)/Le odi eginetiche/Ode Nemea VIII
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ODE NEMEA VIII
Non è molto sicura la data di questa ode: anzi v’è gran discordia fra i commentatori. Il Fraccaroli, in base alla tecnica, la giudica del miglior periodo di Pindaro; e, mi pare, a ragione. Eccone il riassunto.
La gioventú induce all’amore con varia foga: la miglior cosa è cogliere il momento propizio per gli amori fausti, come quello che strinse Giove alla ninfa Egina, onde nacque Eaco, l’eroe il quale ebbe tanto senno, che accorrevano a lui, perché dirimesse le loro liti, tutti i vicini, e gli Ateniesi e gli Spartani (1-14).
E anch’io — dice Pindaro — vengo riverente a prostrarmi dinanzi la tomba dell’eroe, recandogli un canto di modo lidio — una benda succinta di Lidia — in gloria di Dinide che ha vinto allo stadio, e di Mega suo padre, già spento. La loro fortuna è stata dunque fondata col favore dei Numi: è di quelle che durano: come durò quella di Ciniro re di Cipro (v. 15-21).
Pericoloso è dire cose nuove. Ché l’invidia è pronta sempre a dare addosso ai valorosi. E cosí Aiace, tanto piú valoroso, ma tanto meno eloquente e mestatore di Ulisse, dovette soccombere nella gara per le armi di Achille. Onde poi si uccise (v. 22-40).
Gl’invidi son dunque pronti sempre a deprimere chi brilla, ad esaltare i mediocri. Pindaro no, non è di questi: elogia i buoni, e gitta obbrobrio sui tristi: ché i saggi onorano i virtuosi (v. 40-48).
Richiamare dalla sua tomba Mega, il padre di Dinide, non è possibile: possibile è comporre un canto che sia come una pietra scolpita in vostra gloria.
PER DINIDE D’EGINA
VINCITORE NELLO STADIO A NEMEA
I
Strofe
Gioventú, degli ambrosî diletti di Cípride aralda celeste,
tu su le ciglia dei giovani, tu de le vergini hai sede:
questo con mani tu guidi dolcissime: quello con mani
crudeli e fatali.
Pur giova, in ogni opera impresa, mai lungi dal segno prefisso
non volgere il piede; ed il termine godere dei validi amori.
Antistrofe
Come quei che, ministri dei doni soavi di Cípride, il talamo
cinser di Giove e di Egina. Frutto fu il sire d’Enóna,
mano gagliarda, consiglio profondo. Bramarono molti
venirgli al cospetto:
il fior degli eroi che abitavano le terre d’intorno, spontanei,
non già per invito, volevano d’Eàco piegarsi all’arbitrio;
Epodo
e quanti in Atene rupestre schieravano eserciti
giungeano, e da Sparta i Pelòpidi.
E anch’io, peregrino, le sacre ginocchia d’Eàco, per questa
città, per i suoi cittadini,
abbraccio, recando una mitria
di Lidia, temprata di varia armonia,
compenso del duplice stadio di Neme, per Dínide e Mega
suo padre. Piú lunga è per gli uomini fortuna piantata dai Numi.
II
Strofe
Essa Cínira, sire di Cipro marina, coprí di ricchezza.
Sto sui piedi agili, traggo, pria di cantare, il respiro.
Molte, con varia maniera, si dissero laudi; ma nuove
trovarne, alla prova
offrirle, è gran rischio. Le ciance condiscono il pane dell’invido,
che sempre agli egregi si appiglia, risparmia la gente dappoco.
Antistrofe
E l’Invidia fu morte ad Aiace, che il ferro nel sen si confisse.
Pesa l’oblio, ne le tristi liti, su molti ch’àn cuore
saldo, ma tarda favella: grandissimo onore si libra
da lubrica frode.
I Dànai nei voti segreti fûr ligi ad Ulisse; ed Aiace,
privato dell’armi tutte auree d’Achille, la morte affrontò.
Epodo
E sí, ben diverse ferite, pugnando schermiti
dall’aste, rompean nelle carni
tepenti dei loro nemici, e intorno ad Achille trafitto,
e in ogni travaglio dei giorni
funesti. Ché pure nei tempi
remoti viveva la frode, compagna
dei blandi discorsi, che macchina insidie, prepara calunnie,
deprime chi brilla, agli oscuri protende la putrida lode.
III
Strofe
Giove padre, non mai tale usanza m’abbia io; ma per semplici vie
muovere io possa di vita: spento, ai miei figli non lasci
mala nomèa. C’è chi brama ricchezze; chi brama distese
di terra infinite;
ai miei cittadini piacere voglio io: voglio scendere all’Ade
lodando chi merita, seme d’obbrobrio gittando sui tristi.
Antistrofe
Ma Virtude fra gli uomini saggi, fra i giusti si leva, sí come
fusto per verdi rugiade surge ne l’ètere molle.
L’utile è vario che puoi ritrar dagli amici: piú appare
se presso è lo stento.
La Gioia pur essa desidera dar segno di sé manifesto.
A me non riesce possibile, o Mega, tornare il tuo spirito
Epodo
a luce; ed a vane speranze precluso è l’evento;
ma per la tua patria e i Caríadi
ben posso scolpire una pietra che in musiche voci favelli
la duplice corsa vittrice.
Ben godo io, se lancio opportuno
l’elogio per l’opera. E può con i cantici
qualcuno il dolor dei travagli lenire. E fu l’inno d’encomio
ben pria che a contesa venissero Adrasto e la prole di Cadmo.