Le Selve Ardenti/XV
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La caccia ai fuggiaschi
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Capitolo XV.
— Corpo di trecento corna di bisonte! Che siano stati uccisi da quelle maledette mitragliatrici che hanno la pessima abitudine di non distinguere gli amici dai nemici? Milord, spalancate gli occhi.
— Io guardare e non vedere vostri amici briganti.
— Mettetevi gli occhiali.
— Io non averli più.
— Ah, è vero! Ve li hanno presi i Sioux per accendere il fuoco sacro all’arca del primo uomo. Vi compiango, povero milord! —
Sandy-Hook si avanzava attraverso l’accampamento sparso di cadaveri ancora caldi, guidando l’inglese ed una diecina di cavalleggieri.
Rimoveva ad uno ad uno i morti che le Gattling avevano foracchiato in modo orribile, e, come sempre, sagrava e bestemmiava.
— Donne.... fanciulli.... che massacro! Questi americani hanno la mano troppo pesante, corpo di mille bufali! Io, bandito, sarei stato più generoso.
Milord, vedete nulla?
— Io non trovare vostri amici briganti. —
Sandy-Hook aveva già rimossi più di cento cadaveri, quando un grido altissimo gli sfuggì.
— Eccoli, corpo.... era tempo! —
Dinanzi ad una vecchia tenda erano improvvisamente comparsi l’indian-agent ed i suoi tre compagni, i quali erano sfuggiti miracolosamente a quella pioggia di fuoco, mercè la precauzione che avevano avuto di gettarsi a terra e di cacciarsi sotto le pelli di bisonte.
Le palle delle Gattling, lanciate a mezza altezza d’uomo, li avevano risparmiati.
Il bandito balzò su un ammasso di donne che erano cadute coi loro fanciulli stretti fra le braccia, e si slanciò verso l’indian-agent, il quale gli moveva sollecitamente incontro colla destra tesa.
— Sono ben felice di avervi salvati! — gridò Sandy. — Se gli americani fossero giunti troppo tardi, non mi sarei mai consolato.
— Grazie! — disse John, dandogli una vigorosa stretta di mano. — A voi dobbiamo la nostra vita. —
Poi si avanzarono il capitano Devandel e i due scorridori colle mani tese.
Quando il bandito strinse quella del figlio del colonnello, una rapida commozione alterò il suo volto.
— Anche voi, capitano? — chiese con voce alterata.
— Sì, Sandy-Hook. Stringetela pure. Questa ricompensa ve la siete meritata.
— Io, un bandito!...
— Non lo siete più: vi proclamo un uomo di cuore e pieno di coraggio. —
Gli occhi del saccheggiatore delle corriere e dei treni della California, forse per la prima volta in vita sua, divennero umidi.
— Grazie, capitano! — disse afferrandogli la destra.
— Grazie a voi.
— Per quel poco che ho fatto?
— Avete salvata la vita a quattro uomini.
― Ma Minehaha è fuggita con quel cane di Nube Rossa. Che fortuna hanno sempre avuto quei due dannati! Ma io ho speranza che tutto non finirà qui.
Corna di bufalo! Ci tengo ai miei diecimila dollari ed alla mia grazia.
— Non volete lasciarla? — chiese l’indian-agent.
— Le darò la caccia anche se dovesse farmi correre fino alle terre gelate.
Voglio rivedere la mia Marylandia, io, anche se mia madre è morta.
— E voi avrete un compagno.
— Chi sarà?
— Sono io — rispose John. — Voi correrete dietro ai diecimila dollari ed alla vostra grazia, ed io correrò dietro alla mia capigliatura.
Quando mi seppelliranno, desidero avere i miei capelli vicini, quantunque il nostro buon Dio ci accetti anche se siamo stati scotennati.
— Allora saremo in tre, poichè dovrò rimorchiarmi dietro l’inglese che è più che mai innamorato di Minehaha.
— In tre? — disse il capitano Devandel. — Saremo in quattro, perchè verrò anch’io.
— In sei, signore, — disse Harry — poichè vorremo anche noi; è vero, Giorgio?
— Sempre! — rispose il secondo scorridore, — Quando si tratta di galoppare alla ventura con più o meno probabilità di lasciare la pelle fra le unghie di un orso, o le budella sulle corna d’un bisonte innamorato, o fra le mani dei vermi rossi, io son sempre pronto.
Del resto, se gli scorridori di prateria non hanno un letto, è naturale che non debbano morire su un materasso.
— Ben detto, giovanotto, — disse il bandito. — Quanti saranno stati gl’indiani che sono riusciti a forzare la linea della cavalleria?
— Una sessantina; — rispose l’indian-agent — ma parecchi sono caduti nella carica e alcuni devono esser feriti.
— Sono sempre molti; tuttavia con uomini risoluti come voi, io non dispero di ottenere la mia grazia.
— Ed io la mia capigliatura, — aggiunse John.
Riattraversarono il campo inzuppato di sangue e pieno di cadaveri d’uomini, di donne e di cavalli, e raggiunsero il generale Farsythe, il quale appariva assai preoccupato della strage che aveva commessa, non contando di certo su una promozione ma piuttosto temendo una destituzione.
Il bandito presentò i quattro prigionieri. Quando udì il nome del capitano Devandel, trasalì.
— Il figlio d’un valoroso! — disse. — Io ho conosciuto vostro padre quando combatteva sulle frontiere messicane. Non so se questo combattimento mi porterà fortuna, poichè nella furia dell’attacco i miei uomini non hanno risparmiato le donne e i fanciulli; ad ogni modo sono ben lieto di esser giunto in tempo a strapparvi al palo della tortura.
— Qualche ora di ritardo, generale, — rispose il capitano — e Minehaha si sarebbe vendicata atrocemente di noi.
— È una pantera, quella donna, vera figlia di sua madre! — rispose il generale. — Peccato che mi sia sfuggita insieme con quella vecchia pelle che si chiama Nube Rossa!... Orsù, il mio compito è finito. Ritorniamo nella bassa prateria.
— E tutti questi morti? —
Il generale alzò leggermente le spalle e poi disse:
— Nella prateria alta i lupi sono numerosi. Fra un paio di giorni non si troveranno più nemmeno le ossa di questi indiani.
I falchi e le aquile dalla testa bianca cominciano già a giungere.
Venite con noi, capitano?
— No, generale, — rispose il signor Devandel. — Regalateci quattro mustani ed altrettante carabine, delle munizioni e dei viveri, e lasciateci andare.
— Dove?
— Abbiamo un vecchio conto da regolare con Minehaha e con Nube Rossa, e ci trovate qui appunto per questo scopo.
— Volete dare la caccia a quei bricconi?
— Ed inseguirli fino nella Groenlandia, se avranno tanta lena da superare le isole dell’Oceano artico.
— Vostro padre è stato scotennato dalla madre di Minehaha, è vero?
— Sì, generale.
— Si tratta d’una vendetta?
— Forse d’una semplice capigliatura da riconquistare.
— Quella del colonnello? —
Una profonda mestizia si diffuse sul viso del capitano.
— Non si sa dove sia andata a finire. Forse è rimasta fra le sabbie del Sand Creek quando il colonnello Chivington distrusse i capi più valenti dei Sioux e dei Chayennes.
— E le loro donne e i loro bambini — rispose il generale con una certa ansietà. — L’hanno degradato: forse toccherà anche a me la medesima sorte.
Queste guerre indiane sono terribili, e non sempre si possono trattenere gli uomini, già troppo esasperati, che guidiamo, anche se abbiamo autorità sopra di loro.
— Lo so.
— Volete dunque quattro cavalli, armi, munizioni e viveri. Ebbene fra cinque minuti avrete tutto. Allora addio, o arrivederci, capitano, e buona fortuna. —
Si strinsero la mano e si separarono. Il generale aveva fretta di raccogliere i suoi uomini e di tornarsene nella bassa prateria.
Con puntualità cronometrica, dopo pochi minuti, alcuni cavalleggieri conducevano agli scorridori quattro vigorosi mustani, scelti fra i migliori sfuggiti al massacro e completamente equipaggiati.
Avevano selle, fonde con rivoltelle Colt, staffe, carabine all’arcione, munizioni e sacchetti di viveri.
Il settimo Reggimento, un po’ decimato e privo del suo capitano, sfilò dinanzi ai sei valorosi che si proponevano di dare la caccia alle ultime Selve Ardenti, salutando militarmente, poi si allontanò verso l’ovest a piccolo galoppo.
Sandy-Hook, appoggiato alla sua carabina e ritto a fianco d’un magnifico mustano nero, seguiva i soldati collo sguardo.
— Se si recassero nella mia Marylandia, li avrei seguiti volentieri, — disse con un profondo sospiro. — Aspettiamo la mia grazia sulla coda dei capelli di Minehaha.
Poi, dopo un breve silenzio, aggiunse guardando John:
— La notte sta per calare, ma io non credo prudente passarla qui, in mezzo a tutti questi morti.
Appena le tenebre saranno calate, i lupi attirati dall’odore del sangue, giungeranno a battaglioni e se la prenderanno anche coi vivi. Cerchiamo sotto le tende sei pelli di bisonte e andiamo ad accampare in altro luogo.
Che cosa dite, mister?
— Che parlate come un libro stampato — rispose l’indian-agent. — E poi Minehaha e Nube Rossa potrebbero ritornare coi loro guerrieri, e finchè non sapremo in quanti sono sfuggiti alla strage non ci converrà attaccarli.
— E poi sono troppo furiosi, ora — aggiunse il signor Devandel. — Lasciamo che si calmino.
— Questo è parlare d’oro — disse il bandito. — Ognuno si cerchi una pelle di bisonte, e filiamo anche noi verso il settentrione.
Coi lupi io non sono mai andato d’accordo. —
Il sole tramontava rapidamente, tingendo d’un rosso violaceo la pianura nevosa, e le tenebre cominciavano la loro calata.
Già in lontananza qualche ululato si era fatto udire.
I lupi si chiamavano l’un l’altro per prender parte al lauto banchetto.
I sei scorridori, possiamo chiamarli ormai così, arrotolarono le pelli che facilmente avevano trovate, poi, svelti come acrobati, balzarono in sella.
Già i mustani, udendo i lupi, cominciavano ad impazientirsi.
Sandy-Hook e l’indian-agent rilevarono le tracce lasciate dalle ultime Selve Ardenti, che erano visibilissime, non essendo la neve ancora gelata, poi diedero il segnale della partenza.
Il vento freddissimo cominciava a soffiare sull’alta prateria, scompaginando di quando in quando il candido strato che si tingeva ora di riflessi argentei, essendo sorta la luna.
Per più di un’ora i sei cavalieri galoppavano sempre sulle tracce di Minehaha e di Nube Rossa, poi avendo incontrata una piccola macchia di pini neri del Canadà, si fermarono per accamparsi.
Da quel luogo potevano vedere gl’indiani se si fossero decisi a ritornare verso le tende per prendere quanto di più necessario avessero lasciato.
Legarono i mustani, stesero sulla neve le pelli di bisonte, e dopo una parca cena si avvolsero nelle loro grosse coperte di lana colla testa appoggiata alle selle.
Ma Harry doveva montare il primo quarto e si guardò bene dal lasciarsi vincere dal sonno, quantunque il fuoco per prudenza non fosse stato acceso.
I lupi parevano diavoli scatenati. Grossi branchi, che venivano da varie direzioni, passavano correndo sfrenatamente sulla gelida pianura.
Ululavano così forte, da impedire agli accampati di poter chiudere gli occhi un solo momento.
Già Sandy-Hook aveva rinunciato al suo quarto di riposo ed aveva accesa la pipa.
Solamente l’inglese russava come un ghiro, sognando forse gli occhi feroci di Minehaha.
Ed i lupi passavano intanto sempre, a torme numerosissime, con uno slancio spaventevole. Pareva che fossero spinti dall’uragano.
Nella notte serena e limpida, illuminata dalla luna sorta in mezzo ad un superbo alone, i loro ululati feroci risonavano lugubremente.
Si slanciavano tutti alla gran cena.
— Mister Harry, — chiese ad un certo momento Sandy-Hook, ricaricando la pipa. — Quanti ne sono passati!
— Chi lo potrebbe dire? Cinquecento, e forse più di mille — rispose lo scorridore.
— Bell’affare se fossimo rimasti nel campo indiano! Non ci sarebbero rimaste nemmeno le nostre scarpe.
— Lo credo.
— Domani non rimarranno nemmeno le tende. Che bell’occasione se Minehaha e Nube Rossa tornassero!
— E la capigliatura della piccola giaguara dove andrebbe mai a finire?
— È vero, mister Harry. Anche quella andrebbe in bocca a quegli ingordi predoni a quattro gambe.
Non si crederebbe, ma pure è vero che divorano carne, vesti e cuoio insieme senza guastarsi i denti.
— È proprio così, Sandy. —
In quel momento una torma di lupi, d’una cinquantina all’incirca, irruppe nella macchia e arrestò un momento dinanzi agli accampati, urlando ferocemente.
Harry e Sandy-Hook, temendo un attacco, balzarono in piedi e scaricarono i loro rifles.
L’indian-agent e Giorgio, che erano desti, si sbarazzarono delle loro coperte e fecero anch’essi una scarica.
I lupi, che forse sapevano per istinto di aver pronto un banchetto ben più abbondante senza bisogno di lottare, fuggirono a gambe levate colla coda abbassata.
Lord Wylmore russava sempre.
— Questa notte non ci sarà possibile dormire — disse l’indian-agent. — Sarà meglio accendere le nostre pipe, giacchè gli yankees ci hanno provvisti abbondantemente di tabacco.
— E aprire bene gli occhi! — rispose il bandito.
― Perchè, Sandy? — chiese il vecchio scorridore.
— Io non so, ma sono quasi certo che Nube Rossa, Minehaha ed i loro ultimi guerrieri tenteranno di raggiungerci.
— Sareste uno stregone?
— No, un bandito che fiuta, anche da lontano, i nemici.
— E le corriere della California.
— Come volete, mister John — rispose Sandy-Hook con un sorriso. — Qualche cosa io sento.
— Io non odo che i lupi ululare.
— Aspettate: non abbiate troppa fretta, mister John.
— Se tornassero non commettete imprudenze. È bensì vero che diecimila dollari valgono un colpo di carabina, ma poi? Sareste sicuro di raccoglierli?
— Si vedrà: ad ogni modo vi prometto di essere prudentissimo. Non voglio esporvi ad altri pericoli e ad altre.... —
S’interruppe, si alzò bruscamente sbarazzandosi della coperta, ed afferrò il rifle.
— Udite nulla, voi, mister John? E voi, Harry? —
I due scorridori tesero gli orecchi, poi si guardarono l’un l’altro.
— Sì, odo — disse l’indian-agent.
— E anch’io — rispose Harry.
I lupi non si udivano più urlare. Ormai dovevano aver raggiunto l’accampamento e si erano certamente gettati ferocemente sui cadaveri.
Ma un sordo rumore, che il vento del settentrione portava, giungeva da lontano.
Erano cavalli galoppanti sulla neve gelata? I tre uomini ne erano convinti.
— Su, Giorgio, — disse Harry. — E cerca di svegliare quel dormiglione che russa come un cane di prateria.
— Lascialo andare — disse John. — Milord ci sarebbe più d’impaccio che d’utilità in questo momento. —
Anche il signor Devandel, udendo parlare, si era alzato. Giorgio già l’aveva preceduto.
Il rumore aumentava, diventando un vero fragore. Molti cavalli galoppavano di certo in gruppo serrato.
— Vengono! — disse Sandy-Hook. — Il mio udito di bandito non mi aveva ingannato.
L’avranno per altro da fare coi lupi, e torneranno indietro più che in fretta.
Che orgia devono fare quelle maledette bestie nell’accampamento! Saranno pieni da scoppiare. —
Sulla bianca pianura nevosa, illuminata dalla luna, una linea oscura si avanzava velocemente.
Erano uomini a cavallo.
— Mister John, — chiese il bandito, il quale stringeva ferocemente la sua carabina. — Quanti credete che siano quei guerrieri?
— Una quarantina per lo meno — rispose l’indian-agent.
— Son troppi per tentare un attacco.
— Ne sono convinto.
— Quando li prenderemo noi?
— Avete troppa fretta, Sandy-Hook. Dovremo aspettare la buona occasione.
— Sono lunghi da guadagnare i miei diecimila dollari.
— E più lunga sarà la vostra grazia.
— Ma avrò gli uni e l’altra, corpo di centomila bisonti sventrati! Mi farà correre Minehaha, lo so, ma in qualche angolo dell’America la troverò finalmente.
Voglio tornare nella mia Marylandia, dovessi affrontare centomila pericoli.
— E noi siamo pronti ad aiutarvi.
— Grazie.... Eccoli! —
Un gruppo di cavalieri si avvicinava a corsa sfrenata, aizzando i mustani con la voce.
John non si era ingannato.
Non erano più di quaranta e tutti indiani. Minehaha e Nube Rossa dovevano far parte di quella cavalcata furiosa che tornava verso il campo devastato dalle mitragliatrici americane.
Una bestemmia sfuggì dalle labbra del bandito.
— Tanti ancora! — esclamò stringendo le pugna. — Non li credevo così forti.... Mister John, che cosa facciamo? Non si potrebbe decimarli?
— No! — rispose l’indian-agent, con voce quasi imperiosa. — Non siamo che sei, ed impegnarci a fondo non ci converrebbe, almeno per ora.
Lasciamoli correre.
— E la vostra capigliatura?
— La riprenderò più tardi.
— Insieme a quella di Nube Rossa?
―Vedremo. Lasciate in pace il fucile e riaccendete la pipa. —