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168 | EMILIO SALGARI |
— Lascialo andare — disse John. — Milord ci sarebbe più d’impaccio che d’utilità in questo momento. —
Anche il signor Devandel, udendo parlare, si era alzato. Giorgio già l’aveva preceduto.
Il rumore aumentava, diventando un vero fragore. Molti cavalli galoppavano di certo in gruppo serrato.
— Vengono! — disse Sandy-Hook. — Il mio udito di bandito non mi aveva ingannato.
L’avranno per altro da fare coi lupi, e torneranno indietro più che in fretta.
Che orgia devono fare quelle maledette bestie nell’accampamento! Saranno pieni da scoppiare. —
Sulla bianca pianura nevosa, illuminata dalla luna, una linea oscura si avanzava velocemente.
Erano uomini a cavallo.
— Mister John, — chiese il bandito, il quale stringeva ferocemente la sua carabina. — Quanti credete che siano quei guerrieri?
— Una quarantina per lo meno — rispose l’indian-agent.
— Son troppi per tentare un attacco.
— Ne sono convinto.
— Quando li prenderemo noi?
— Avete troppa fretta, Sandy-Hook. Dovremo aspettare la buona occasione.
— Sono lunghi da guadagnare i miei diecimila dollari.
— E più lunga sarà la vostra grazia.
— Ma avrò gli uni e l’altra, corpo di centomila bisonti sventrati! Mi farà correre Minehaha, lo so, ma in qualche angolo dell’America la troverò finalmente.
Voglio tornare nella mia Marylandia, dovessi affrontare centomila pericoli.
— E noi siamo pronti ad aiutarvi
— Grazie.... Eccoli! —
Un gruppo di cavalieri si avvicinava a corsa sfrenata, aizzando i mustani con la voce.
John non si era ingannato.
Non erano più di quaranta e tutti indiani. Minehaha e Nube Rossa dovevano far parte di quella cavalcata furiosa che tornava verso il campo devastato dalle mitragliatrici americane.
Una bestemmia sfuggì dalle labbra del bandito.
— Tanti ancora! — esclamò stringendo le pugna. — Non li credevo