Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Parte seconda/Alla Natura

Parte seconda - Alla Natura

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ALLA NATURA.


per il congresso dei naturalisti

tenuto in Catania.




     A te, diva Natura,
Sorga dal petto il libero
Inno più caro al ciel;
     Sia che remota e scura
Volgi pe’l mar de l’essere,
Sia che t’assenti a noi scevra di vel.

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     Di falsi idoli ai piedi
Chinar non vuò l’indocile
Fronte devota a Te!
     Tu che su tutto siedi,
Una, diversa, onnigena,
Inni e culto tu sola avrai da me.
     Sul tuo carro di stelle
Muta procedi, e il pallio
Serri al virgineo sen;
     Danzan leggiadre e snelle,
L’ore ai tuoi passi, e stendono
Per le vuote regioni ampio seren.
     Sotto al tuo ferreo trono,
Come bendate vittime
Presso il fumante altar,
     Servi e costretti sono
L’ire dei nembi e i fulmini,
E le insidie e i selvaggi odi del mar.

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     Tu parli, e pe’ profondi
Spazi fecondo s’agita
Il tuo soffio vital;
     Sorgon pianeti e mondi
Ad intrecciar le lucide
Danze intorno a la tua fronte immortal.
     Fremi, e dai morti abissi
Balzan vulcani, e mugola
Il riverso oceàn;
     Cadon confusi e scissi
Mondi e pianeti, e placida
Tu sui lampi passeggi e l’uragan.
     Ma allor che sulla bocca
Passa qual raggio d’iride,
Un tuo riso gentil,
     Amor che i dardi scocca,
L’alme raccende, e il fremito
Sente la terra del fiorito april.

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     Così tu regni. Poco
È al tuo possente imperio
Il vuoto e l’avvenir;
     Son tuo trastullo e gioco
Gli astri, gli abissi, i secoli,
L’albe e i tramonti, il vivere e il morir!
     Salve! Dal carcer nero
Ove, superbi Enceladi,
Veniam teco a tenzon,
     Al tuo nume severo
Prostro io la faccia, e trepida
Alzo la voce de la mia canzon!
     Salve! Se lieta e pia
Mai concedesti a l’italo
Genio un tuo raggio sol,
     Or da’ che questa mia
Natante isola il fulgido
Serto rinnovi, e levi inclita il vol.

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     Mira! Al tuo culto eletti
Qui manda Ausonia i provvidi
Figli del suo saper;
     Da sacro amor costretti,
La vasta ombra d’Empedocle
Dal fumante li chiama ampio crater.
     Sorridi a noi, sorridi,
O dea, sia che da l’Etna
T’amiamo oggi invocar,
     O dai petrosi lidi,
Ove fuggente e pavido
Scagliossi il poveretto Aci nel mar.
     Vedremo ai tuoi benigni
Lumi svelar più docili
Tesori il Mongibel:
     Quanti ha zolfi e macigni
E immonde scorie e fumide
Sabbie e insoluto al sol manto di gel.

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     Dai vorticosi balli
Verrà l’onda del Càmmaro
Queta a lambirti il piè;
     Di conche e di coralli
Ne verseran le Najadi
Dai ricolmi canestri ardua mercè.
     Allor d’alti portenti
Risplenderà più vivido
L’invidïato allôr;
     E a le stupite genti
Schiuderà il Genio italico
Nuovi Olimpi di gloria e di splendor!