Le odi e i frammenti (Pindaro)/Le odi eginetiche/Ode Nemea VI
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ODE NEMEA VI
Questa ode, scritta nella vecchiaia del poeta (circa il 447 a. C.) è per Alcimide della famiglia dei Bassidi. Dei quali son qui ricordati Agesidamo, bisavolo del vincitore, Prassidamante, suo nonno, Soclide, forse fratello del nonno, Callia, forse un altro fratello del nonno, un Politimide, un Creontide. Questi ultimi due e Prassidamante s’erano cimentati negli agoni e avevano riportate vittorie; Sòclide, invece, non se n’era curato. E in genere, a quanto dice Pindaro, nella famiglia dei Bassidi le cose erano andate un po’ come nei campi; che un anno producono e un anno riposano.
L’ode è chiarissima. — I Numi e gli uomini, per quanto abbiano varia sorte, hanno una sola origine. Ne die’ prova adesso Alcimide, che con la sua vittoria emulò la gloria del nonno suo Prassidamante, che vinse una volta ad Olimpia, tre a Nemea, cinque sull’Istmo. Vinsero con lui anche tre altri suoi fratelli, e cosí fecero ammenda della inerzia del loro primogenito Soclide. Cantiamoli, ché il canto serba memoria delle prodezze. E vinsero pure, usciti dal loro sangue, Callia a Pito, e Creontide sull’Istmo e in Nemea (il bosco di Nemea era vicino a Flio Fliunte) (1-62).
A chi voglia cantare Egina, si schiudono mille vie, grazie al valore degli Eàcidi. La loro fama vola su la terra e su l’Oceano: e giunse fino agli Etiopi quando Achille uccise Mennone (63-76).
Questo è il sentiero che schiusero ai carmi i nostri maggiori. Ma ora mi incalza di piú il compito attuale. Ond’io mi sobbarco al duplice ufficio di cantare Alcimide e la sua famiglia. I Bassidi hanno riportato venticinque vittorie: e due la sorte ne ha rapite in Olimpia ad Alcimide e a Politimide. Melesia, maestro del vincitore, è simile ad un veloce delfino.
PER ALCIMIDE D’EGINA
VINCITORE NELLA LOTTA DEI FANCIULLI A NEMEA
I
Strofe
Una è degli uomini
una è la stirpe dei Numi. Da sola una madre
ambi traggiamo il respiro. Vero è che diversa le sèpara
potenza: ch’effimera
è l’una, e perenne la sede
permane del bronzëo cielo;
ma ben per altezza di mente,
per indole, prossimi noi siamo agli Eterni,
se pure ignoriamo qual tramite
dïurno o notturno, il Destino
a noi di percorrer prescrisse.
Antistrofe
Prova di simile
unica origine è Alcímide, che in tutto somiglia
alla novale datrice di frutti, che alterna le veci
dei campi, or porgendo
ricolto abbondevole agli uomini,
e poi, rimanendo in riposo,
riprende vigore. Dai ludi
graditi di Neme, qui giunse il campione
fanciullo, che questo destino
compiendo di Zeus, cacciatore
esperto si mostra a la lotta,
Epodo
spingendo il suo piede su l’orme di Prassidamante,
del nobil prozio
germano: ché questi, vincendo nei giuochi d’Olimpia, agli Eàcidi
per primo le frondi recò de l’Alfèo,
e, cinto del serto, tre volte a Nemèa,
e cinque su l’Istmo,
redense di Sòclide
l’incuria, che primo
figliuol d’Agesidamo fu.
II
Strofe
Ma presso il vertice
delle virtudi i tre altri, che vinsero, e saggio
fêr dei travagli, pervennero. E con la fortuna dei Numi
il pugile giuoco
a niuna famiglia tesoro
largí di piú serti, nel grembo
de l’Ellade. Spero che, cose
solenni dicendo, la mèta io raggiunga
come abile arciero. Su, Musa,
tu l’aura dei canti a quest’uomo
rivolgi. Di chi morto giace
Antistrofe
serbano i cantici,
serban le istorie le gesta. Né scarsi di gesta
sono i Bassídi, chiarissima progenie, che propria merce
d’encomî, su proprî
navigli trasportano, ed offrono
a chi de le Muse coltiva
i solchi, materia di canti
per l’opere egregie. Ché in Pito santissima
Callía, di tal sangue cresciuto,
attorta a le mani la briglia,
anch’ei conseguí la vittoria,
Epodo
piacendo ad Apollo e ad Artèmide. E presso Castalia,
a vespro, nel canto
brillò de le Càriti. E il ponte del mare, nel sacro a Posídone
recinto, a Creòntide, vittoria nei riti
largí triennali, bagnati dal sangue
d’un tauro; e lui l’erba
velò del leone,
in Flio, tra le forre,
tra l’ombre dei monti antichissime.
III
Strofe
Tramiti agevoli
schiusi, a chi narra, dovunque si volga, si mostrano,
per celebrare quest’isola. Che a lei procacciaron gli Eàcidi
chiarissima sorte,
insigni virtudi mostrando.
Lor fama sovressa la terra,
traverso l’Ocèano vola:
e sino agli Etíopi balzò, quando Mènnone
fra lor non tornò. Dura pugna
Achille sovr’esso gittava,
a terra balzando dal cocchio,
Antistrofe
quando col cuspide
de la sua lancia il figliuolo trafisse d’Aurora
fulgida. Questo sentiero agevole ai carmi trovarono
i nostri maggiori.
Lo seguo io, con simile cura.
Ma dicon che il flutto che volgesi
piú prossimo al pie’ del naviglio
commuove a ciascuno piú l’animo. Il dorso
a un duplice carico io pronto
inclino; ed araldo qui giungo
a dire che venti con cinque
Epodo
ghirlande vincea ne le sacre tenzoni la stirpe
illustre d’Alcímide:
vicino al sacello del clivo di Crono, la Sorte precipite
a Politimíde rapiva ed a te
due fiori d’olimpie ghirlande. Melesia
che i piedi e le mani
dirige dei giovani,
somiglio a delfino
che fende veloce i marosi.