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Questa ode, scritta nella vecchiaia del poeta (circa il 447 a. C.) è per Alcimide della famiglia dei Bassidi. Dei quali son qui ricordati Agesidamo, bisavolo del vincitore, Prassidamante, suo nonno, Soclide, forse fratello del nonno, Callia, forse un altro fratello del nonno, un Politimide, un Creontide. Questi ultimi due e Prassidamante s’erano cimentati negli agoni e avevano riportate vittorie; Sòclide, invece, non se n’era curato. E in genere, a quanto dice Pindaro, nella famiglia dei Bassidi le cose erano andate un po’ come nei campi; che un anno producono e un anno riposano.

L’ode è chiarissima. — I Numi e gli uomini, per quanto abbiano varia sorte, hanno una sola origine. Ne die’ prova adesso Alcimide, che con la sua vittoria emulò la gloria del nonno suo Prassidamante, che vinse una volta ad Olimpia, tre a Nemea, cinque sull’Istmo. Vinsero con lui anche tre altri suoi fratelli, e cosí fecero ammenda della inerzia del loro primogenito Soclide. Cantiamoli, ché il canto serba memoria delle prodezze. E vinsero pure, usciti dal loro sangue, Callia a Pito, e Creontide sull’Istmo e in Nemea (il bosco di Nemea era vicino a Flio Fliunte) (1-62).

A chi voglia cantare Egina, si schiudono mille vie, grazie al valore degli Eàcidi. La loro fama vola su la terra e su l’Oceano: e giunse fino agli Etiopi quando Achille uccise Mennone (63-76).