Le Mille ed una Notti/Storia del principe Behezad
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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STORIA
DEL PRINCIPE BEHEZAD
«— Un re di Persia, sire,» continuò il giovane intendente, «aveva un figlio di sì perfetta bellezza, che passava per un prodigio, e nessuno in tutta la monarchia poteva essergli paragonato. Quel giovane principe, la cui immaginazione era vivace e lo spirito ardente, amava i dotti, e soprattutto quelli che avevano percorso diversi paesi, stancandoli d’interrogazioni, e favellando famigliarmente seco loro.
«Un giorno che stava alla presenza di gran numero di negozianti e viaggiatori, molti di costoro conversavano presso di lui sulla sua avvenenza; prestò orecchio ai loro discorsi, ed udì le seguenti parole:
«— Il principe Behezad è il più leggiadro uomo di tutta la Persia; ma avvi nel Turchestan1 una principessa che passa per la più bella della terra. —
«Queste poche parole stuzzicarono la curiosità di Behezad; si volse al mercante che parlava così, e gli chiese chi fosse la principessa di cui aveva fatto l’elogio. — Principe,» rispose quegli, «è la figlia del re di Turchestan: tutti coloro che sono stati in quel paese, hanno udito vantarne, al par di me, la bellezza, e si dice che le qualità del suo spirito non la cedono ai vezzi della sua persona. — «Quei detti fecero tale impressione sul cuore di Behezad, che concepì tosto una violenta passione per la principessa: la sua salute si alterò, il viso divenne pallido, e cadde in una tetra malinconia che nulla poteva dissipare. Suo padre s’accorse di quel cambiamento e gliene chiese la cagione. Il principe si turbò, arrossì, cedette alle istanze del padre e gli confessò la propria passione.
«— Perchè,» gli disse allora il re, «abbandonarti alla tristezza, e lasciarti così consumare inutilmente? La principessa di cui sei invaghito, può diventare tua sposa. Io la domanderò per te al re suo padre: la mia potenza pareggia la sua, e spero che non isdegnerà la nostra parentela. —
«Allorchè Behezad ebbe concepita la speranza di ottenere l’oggetto della sua passione, l’impazienza sottentrò all’abbattimento. Il re di Persia mandò tosto un ambasciatore al re del Turchestan per chiedergli la mano della figlia, pregandolo di fissare egli stesso le condizioni del matrimonio col principe persiano. Il re del Turchestan acconsentì a dare la figlia in moglie al principe, col patto però che riceverebhe seicentomila pezze d’oro.
«Il re di Persia mandò tosto quanto trovavasi nel tesoro, e fe’ dire al sire del Turchestan che avrebbe mandato fra breve a prendere la principessa, e farebbegli rimettere allora il resto della somma. Informatone poi Behezad, gli disse: — Tu sei frattanto sicuro di possedere la principessa; non resta più che a pagare una modica somma a suo padre; appena l’avrò raccolta, manderò tosto a prenderla. —
«Quel ritardo fe’ andar sulle furie il giovane: abbandona bruscamente il padre, prende la spada, la lancia, monta a cavallo, esce dal palazzo, e si allontana dalla capitale. Camminando così più giorni, passò i confini del regno paterno, progettando assalire una carovana, procurandosi così più presto il denaro che restava ancora da pagarsi per compiere la dote della fidanzata.
«L’insano progetto ebbe l’esito che naturalmente doveva avere: Behezad, assalendo una carovana, trovò inaspettata resistenza; fu circondato, fatto prigioniero e condotto davanti al re del Korassan. Questi, colpito dal bell’aspetto del giovane, non volle credere che fosse un ladro: lo pregò a confessare chi era, e perchè si fosse lasciato trasportare a tanto eccesso.
«Behezad vergognossi di farsi conoscere, e preferendo la morte al disonorare il proprio nome, protestò non esser altro che un ladro ed un brigante volgare. Il re, sempre più persuaso, malgrado tale risposta, che quel giovane non poteva essere un malvivente, lo fe’ condurre in prigione, sperando un giorno sapere chi fosse, e concessegli qualcuno per servirlo.
«Poco tempo dopo, si sparse la voce che il principe Behezad era scomparso. Suo padre scrisse a tutti i regnanti vicini per averne notizie, e fece loro nello stesso tempo la descrizione del giovane principe. Il re del Korassan riconobbe tosto che il giovane, arrestato e condotto a lui dinanzi come ladro, e cui teneva prigione, era il cercato figliuolo. Lo fece venire, e gli mostrò la lettera del padre.
«Behezad parve confuso, e narrò al re le sue avventure. Questi gli dimostrò il pericolo cui erasi esposto con una condotta si stordita, e gli fe’ sentire quanto fosse contento di essersi condotto con prudenza, e non gli avesse fatto subire subito il castigo che sembrava meritare. Gli donò poscia un magnifico abito, e gli offerse la somma mancante ancora alla dote della sposa. Behezad avendola accettata, il re gli disse che avrebbe mandati ambasciatori al di lui genitore, per informarla di quanto era avvenuto, e calmarne l’inquietudine. Gli domandò nello stesso tempo se voleva accompagnarli, e tornare alla corte del padre. Behezad, troppo frettoloso di ottenere la principessa per pensare a far ritorno al paese natio, pregò il sovrano del Korassan di porre il colmo alle sue bontà permettendogli di andare direttamente alla corte del Turchestan.
«— Se torno da mio padre,» disse, «bisognerà aspettare ch’egli mandi a cercare la principessa, e che gli ambasciatori siano di ritorno. Tutto ciò richiederebbe molto tempo: qui io sono già sulla strada del Turchestan, vi giungerà in breve, ed otterrà la di lei mano alla corte di suo padre. —
«Il re del Korassan mise a ridere, e fu sorpreso dell’umore vivace ed impaziente del giovane. — Io temo, per voi,» rispose, «le consaguenze di questa vivacità; stato all’erta onde non diventi un ostacolo alla vostra felicità, e v’impedisca d’ottenere l’oggetto dei vostri voti.» Gli fece poscia consegnare il denaro occorrente pel viaggio, una lettera di raccomandazione pel re di Turehestan, e gli diede un seguito degno del suo grado e della circostanza.»
NOTTE CDLIII
— «Il principe, ebbro di gioia, si pose tosto in cammino, ed usando gran diligenza, viaggiava notte e dì, non fermandosi che il tempo necessario per lasciar rifocillare gli uomini ed i cavalli. Per quanto breve fosse questo riposo, Behezad lo trovava ancora troppo lungo.
«Il re del Turchestan, avvertito dell’arrivo di Behezad, mandò ad incontrarlo i principali personaggi della corte, lo fece alloggiare in un magnifico palazzo vicino al suo, ed ordinò di fare i preparativi per le nozze della figlia. Due giorni sembravano indispensabili a tal uopo; ma questo ritardo parve un secolo all’innamorato giovane: egli voleva ad ogni costo vedere la principessa, e cercava ogni mezzo per soddisfare il suo impaziente ardore; ma gli usi della corte, la vigilanza della regina madre, la quale non abbandonava mai la principessa, e la teneva accuratamente rinchiusa, resero inutili i vari tentativi del principe.
«Il terzo giorno, fissato per la cerimonia degli sponsali, essendo sorto infine, il principe, saputo che il suo appartamento era separato da quello della principessa da un semplice muro, lo esamina con attenzione, scorge una piccola apertura e vi applica gli occhi.
«Si stava allora occupati nella toletta della sposa; la madre, accortasi che qualcuno la guardava, prese due ferri roventi delle mani delle donne che la pettinavano, le introdusse nell'apertura ed abbacinò gli occhi del principe. Il dolore gli fece mettere un acuto strido, e cadde fuor de’ sensi. Accorsero i suoi in di lui soccorso, lo rialzarono, e richiamatolo alla vita, gli chiesero per qual infausto caso fosse ridotto in quello stato. La sua disgrazia gli fece allora conoscere il proprio difetto. - Fu la mia impazienza,» rispose sospirando; «fra pochi istanti io stava per possedere sospirando; «fra pochi istanti io stava per possedere e contemplare a mio talento colei che doveva rendermi felice; non ho potuto aspettare alcuni momenti; i miei occhi vollero troppo presto bearsi nella di lei vista, e ne furono puniti colla privazione della luce. —
«Così fu, o re,» soggiunse il giovane intendente, «che l’impazienza di Behezad gli fece perdere la speranza di essere felice al momento in cui stava per divenirlo, e la precipitazione di quella che doveva essergli suocera, fu l’istrumento della sventura di quel principe. Considerate adunque le funeste conseguenze di questi difetti, e non sollecitatevi a farmi morire. —
«Azadbakht, udita la storia di Behezad, o del principe impaziente, parve riflettere profondamente: congedò l’assemblea, e fece ricondurre l’accusato in carcere.
«Il quinto visir, di nome Geherbur, si presentò all’indomani al re, si prosternò umilmente, e gli disse: — Sire, se aveste veduto uno dei vostri sudditi guardare con occhio indiscreto nell’interno del vostro palazzo, o se soltanto aveste udito dire che qualcuno n’ebbe l’audacia, credereste dover fargli cavare gli occhi. Qual trattamento dovete adunque far provare a colui che trovaste in mezzo al vostro appartamento, sdraiato sul talamo reale, ad un vile schiavo che volle attentare all’onore della regina? Come potete voi differire a punire tal delitto, e lasciar vivere un’istante il colpevole? Affrettatevi a lavare l’affronto nel suo sangue. Questo consiglio, sire, mi è dettato dall’amore del mio dovere e dal mio attaccamento per voi; si tratta di mantenere il rispetto che vi è dovuto, ed assicurare la tranquillità dello stato: il prolungare ancora l’esistenza di un tal delitto, è attentare all’uno ed all’altra. —
«Azadbakht sentì allora risvegliarsi il sentimento dell’affronto che credeva aver ricevuto, e fu malcontento di non essersi vendicato. Ordinò di preparare ogni cosa pel supplizio, egli si conducesse il giovane. — Sciagurato,» gli disse vedendolo, «io ho differita di troppo la tua punizione; questo indugio compromette la mia tranquillità e quella dello stato: tu ora subirai il castigo che ti meritasti col tuo delitto.
«— Io non ho commesso alcun delitto,» rispose il giovane intendente con fermezza, «e non temo per la mia vita: questo timore è pel reo; egli solo deve temere il castigo, e benchè abbia sopravvissuto molto tempo al suo delitto, prova infine la sorte del re Dadbin e del suo visir.
«— Non conosco questa storia,» disse Azadbakht.
Note
- ↑ Paese d’Asia, nella Gran Tartaria.