Le Mille ed una Notti/Quinto viaggio di Sindbad il navigatore

Quinto viaggio di Sindbad il navigatore

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Quinto viaggio di Sindbad il navigatore
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QUINTO VIAGGIO DI SINDBAD IL NAVIGATORE.


«I piaceri,» diss’ egli, «ebbero di nuovo bastante possanza per iscancellare dalla mia memoria tutte le pene ed i mali sofferti, senza potermi togliere la brama di fare nuovi viaggi: acquistai dunque altre merci, le feci imballare, e caricatele su carri, partii per recarmi al primo porto di mare; colà, per non dipendere da un capitano, e per avere al mio comando una nave, mi diedi il piacere di farne costruire ed equipaggiare una a mie spese. Quando fu teminata, la caricai, ed imbarcatomi, siccome non aveva da compire il carico, accolsi a bordo parecchi mercadanti di varie nazioni, colle loro merci.

«Spiegammo le vele al primo buon vento, e preso il largo, dopo lunga navigazione, il primo luogo ove approdammo fu un’isola deserta, nella quale vedemmo l’uovo d’un roc di grossezza simile a quello di cui m’avete udito parlare, contenente un piccolo roc vicino a nascere, il cui becco già cominciava ad apparire...»

A tai detti, Scheherazade si tacque, apparendo già l’aurora. La notte seguente ripigliò così la sua narrazione: [p. 282 modifica]


NOTTE LXXXIII


— Sindbad il navigatore,» diss’ella, «continuando a raccontare il suo quinto viaggio, proseguì in questi sensi:

«I mercadanti imbarcati sul mio bastimento, e ch’erano scesi a terra con me, spaccarono a colpi di scure l’uovo, e fattovi un buco, ne trassero a pezzi il pulcino del roc, e lo fecero arrostire, benchè io li avvertissi seriamente di non tocear l’uovo; ma non vollero ascoltarmi.

«Avevano appena finito il banchetto, che comparvero in aria, assai lontane da noi, due grandi nuvole. Il capitano, da me assoldato per guidare il naviglio, sapendo per esperienza cosa ciò significasse, gridò ch’erano i genitori del roc, e ci sollecitò tutti a tornar a bordo in fretta, ond’evitare il danno ch’egli prevedeva. Seguimmo con premura il suo consiglio, e mettemmo tosto alla vela.

«Intanto i due roc avvicinaronsi, mandando spaventose grida, cui raddoppiarono quando videro in qual condizione era stato posto l’uovo, e che più non v’era il loro figliuolo. Nell’idea di vendicarsi, ripigliarono il volo dalla parte ond’erano venuti, e sparvero per qualche tempo, mentre noi facevamo forza di vele per allontanarci, e prevenir la disgrazia che non mancò di accadere.

«Tornarono, ed osservammo che ciascuno teneva negli artigli un pezzo di roccia d’enorme grossezza. Quando furono precisamente al disopra del mio vascello, sostarono, e librandosi in aria, lasciò l’uno il masso che portava; ma per la destrezza del pilota a deviare con un colpo di timone la nave, cadde [p. 283 modifica]quello da un lato in mare, che spalancossi in guisa da lasciarcene quasi vedere il fondo. Per nostra disgrazia, l’altro uccello lasciò cadere il suo pezzo di scoglio con tal precisione in mezzo al vascello, che lo infranse in mille pezzi. Marinai e passaggeri furono tutti schiacciati dal colpo o sommersi, ed io pure sommerso cogli altri; ma tornato presto a galla, ebbi la buona sorte d’afferrare un pezzo dei frantumi, ed aiutandomi ora con una mano, ora coll’altra, giunsi finalmente, col vento e la corrente che mi erano favorevoli, ad un’isola di rive ripidissime. Superai tuttavia questa difficoltà e mi posi in salvo.

«Sedutomi sull’erba per rimettermi un po’ dalla fatica, mi alzai quindi, e m’inoltrai nell’isola per riconoscere il terreno. Mi pareva d’essere in un delizioso giardino; da per tutto erano piante cariche di frutta, quali acerbe, quali mature, e ruscelletti di limpida acqua vi serpeggiavano in mille gradevolissimi giri. Mangiai di quelle frutta che trovai squisite, e bevvi di quell’acqua che m’invitava ad estinguere la sete.

«Venuta la notte, mi coricai sull’erba, in un sito abbastanza comodo, ma non potei dormire un‘ora intiera, e spesso m’interruppe il sonno la paura di vedermi solo in luogo si deserto; passai dunque la miglior parte della notte a dolermi e rimproverarmi l’imprudenza commessa di non essermi fermato a casa, piuttosto che intraprendere quest’ultimo viaggio. Tali riflessioni mi spinsero tanto innanzi, che cominciai a concepire disegni contro la mia propria vita; il giorno, colla sua luce, dissipò in breve la mia disperazione, ed alzatomi, camminai fra gli alberi, non senza qualche timore.

«Quando fui un po’ inoltrato nell’isola, vidi un vecchio, che mi parve molto mal in essere, seduto sulla sponda d’un ruscello. M’immaginai dapprima [p. 284 modifica]fosse qualche naufrago al par di me; accostatomi, lo salutai; ed ei mi fece un semplice inchino di testa. Gli domandai cosa là facesse; ma invece di rispondere, mi fe’ segno di prenderlo sulle spalle e portarlo al di là del ruscello, facendomi comprendere che voleva andare a coglier frutti.

«Credetti in fatto avesse bisogno ch’io gli prestassi quel servigio; laonde, postomelo in collo, passai il ruscello. — Scendete,» gli dissi allora, abbassandomi per agevolargli la discesa. Ma invece di lasciarsi andare al suolo (ne rido ancora ogni qual volta ci penso), quel vecchio, che m’era sembrato decrepito, mi passò leggermente intorno al collo le gambe, la cui pelle somigliava a quella d’una vacca, e mi si pose cavalcioni sulle spalle, stringendomi sì forte la gola, che poco mancò mi strangolasse. Colto da spavento, caddi svenuto....»

Qui Scheherazade fu obbligata a fermarsi, essendo per comparire il giorno; ma proseguì la sua storia verso la fine della notte seguente:


NOTTE LXXXIV


— «Malgrado il mio svenimento,» disse Sindbad, «l’incomodo vecchio rimase sempre attaccato al mio collo, sol allargando alquanto le gambe per darmi agio a rinvenire. Quand’ebbi ripreso l’uso dei sensi, mi appuntò con forza un piede allo stomaco, e battendomi coll’altro aspramente il fianco, mi costrinse a rialzarmi. Appena fui in piedi, mi fe’ camminare sotto gli alberi, obbligandomi a sostare per cogliere e mangiar le frutta che incontrava; non mi lasciava per tutto il giorno, e quando voleva riposar la notte, si stendeva meco per terra, sempre stretto al [p. 285 modifica]mio collo. Tutte le mattine egli non mancava di urtarmi per risvegliarmi, e poi mi faceva alzare e camminare, stringendomi coi piedi. Figuratevi, o signori, la mia rabbia al vedermi carico di quel fardello senza potermene liberare.

«Un giorno trovai, cammin facendo, parecchie zucche secche, cadute da un albero che ne portava; ne presi una ben grossa, e votatala perfettamente, vi spremetti entro il succo di molti grappoli d’uva, che abbondava nell’isola, incontrandone ad ogni passo; quando l’ebbi empita, la deposi in un luogo, ov’ebbi la destrezza di farmi dal vecchio ricondurre alcuni giorni dopo. Là, presi la zucca, e recatomela alla bocca, bevetti d’un vino eccellente che mi fece dimenticare per qualche tempo la doglia mortale onde era oppresso: mi diede inoltre vigore, e ne fui anzi tanto rallegrato, che mi misi a cantare e saltellare camminando.

«Il vecchio, che si accorse dell’effetto in me prodotto da quella bevanda, e ch’io lo portava più leggermente del solito, mi accennò di dargli da bere; gli presentai la zucca, ei la prese, e tal liquore parendogli assai grato, lo tracannò fino all’ultima goccia. Ve n’era abbastanza per inebbriarlo; ubbriacossi in fatti, e salitogli tosto il fumo del vino alla testa, cominciò a cantare alla sua guisa e dimenarsi sulle mie spalle. Quell’agitamento gli fe’ recere quanto avea nello stomaco, e le sue gambe a poco a poco si allentarono, talchè sentendo che non mi stringeva più, lo gettai per terra, ove rimase senza moto. Presi allora un grosso sasso, e gli schiacciai la testa.

«Provai estrema gioia d’essermi liberato per sempre da quel maledetto vecchio, e camminando verso il mare, incontrai gente di una nave colà ancorata per far acqua e raccoglier viveri. Rimasero estremamente stupiti al vedermi ed all’udire le particolarità [p. 286 modifica]della mia avventura. — Eravate caduto,» mi dissero, «nelle mani del vecchio del mare, e siete il primo ch’egli non abbia strangolato, non avendo esso mai abbandonato coloro, de’ quali riuscì ad impadronirsi, se non dopo averli soffocati. Egli ha resa famosa quest’isola pel numero delle persone da lui uccise: i marinai ed i mercatanti che vi scendevano, non osavano inoltrarsi che in buon numero. —

«Quando m’ebbero informato di tali cose, mi condussero alla nave, il cui capitano m’accolse con piacere allorchè seppe ciò che m’era accaduto. Rimise presto alla vela, e dopo qualche giorno di navigazione, approdammo al porto d’una grande città, le cui case erano fabbricate di pietra.

«Un mercadante del vascello, col quale aveva stretto amicizia, m’indusse ad accompagnarlo, e condottomi ad un albergo destinato ad accogliere gli stranieri, mi consegnò un sacco; poi, raccomandatomi ad alcune persone della città che portavano sacchi ai par di me, e pregatili a condurmi seco loro a raccogliere noci di cocco: — Andate,» mi disse, «seguiteli, fate quello che li vedrete fare, e non vi allontanate da loro, poichè mettereste a repentaglio la vita.» Mi diede viveri per tutta la giornata, ed io partii con quella gente.

«Giungemmo ad una selva d’alberi assai alti e dritti, col tronco sì liscio, che non si poteva aggrapparvisi per salire fino ai rami ov’erano i frutti; alberi tutti di cocco, di cui dovevamo abbattere il frutto e riempirne i sacchi. Entrando nel bosco, vedemmo un gran numero di scimmie grandi e piccole, le quali, appena ci scoprirono, presero la fuga, arrampicandosi sugli alberi con sorprendente agilità.»

Voleva Scheherazade proseguire, ma il giorno, che spuntava, glielo vietò, e la notte seguente riprese in questi sensi:

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NOTTE LXXXV


— «I miei compagni,» continuò Sindbad, «raccolsero molti sassi, e li scagliarono con tutta la forza contro le scimmie. Imitai anch’io il loro esempio, e vidi che le scimmie, avvedendosi del nostro disegno, coglievano con ardore i frutti di cocco, e ce li gettavano con certi gesti dinotanti la loro collera ed animosità. Noi raccoglievamo i frutti, gettando di tempo in tempo sassi per irritare le scimmie; con tale astuzia riempimmo i nostri sacchi di quelle noci, che altrimenti ci sarebbe stato impossibile d’avere.

«Quando i sacchi furono pieni, tornammo alla città, dove il mercadante, che mi aveva mandato alla foresta, mi pagò il valore del sacco di cocchi da me riportato. — Continuate,» mi disse, «ed andate ogni giorno a far la medesima cosa, finchè vi siate guadagnato di che tornare a casa vostra.» Lo ringraziai del buon consiglio che mi dava, ed insensibilmente adunai un numero sì grande di noci di cocco, che ne possedeva per una somma considerevole.

«Il vascello sul quale era venuto, aveva frattanto salpato con un carico della stessa merce, comprato per ispeculazione da alcuni mercadanti. Aspettai l’arrivo d’un altro, il quale in breve approdò nel porto per fare il medesimo carico; ed imbarcate su questo tutte le noci che mi appartenevano, quando fu in pronto, andai a pigliar commiato dal mercante, al quale aveva tante obbligazioni, e che non potè imbarcarsi meco, non avendo ancor finito i suoi affari.

«Sciolte le vele, volgemmo la prua all’isola ove cresce in maggior abbondanza il pepe, e di là [p. 288 modifica]passammo all’isola di Comari (1), che produce la miglior specie di legno d’aloè, ed i cui abitanti si fecero un’inviolabil legge di non ber vino e non soffrire verun postribolo. Permutai in queste due isole le mie noci di cocco con pepe ed aloè, e mi recai, con altri mercadanti, alla pesca delle perle, assoldando a tal uopo parecchi palombari, i quali me ne pescarono gran numero di grossissime e perfette. Tornai a mettermi in mare, pieno di giubilo, sopra una nave che giunse felicemente a Balsora; di là recatomi a Bagdad, ricavai molti denari dal pepe, dal legno d’aloè e dalle perle da me portate; e distribuita in elemosine la decima parte de’ miei guadagni, come al ritorno dagli altri viaggi, cercai di ristorarmi dalle mie fatiche con ogni sorta di passatempi. —

«Finite tali parole, Sindbad fece dare cento zecchini a Hindbad, il quale se ne andò con tutti gli altri comitati. Il giorno dopo, la compagnia medesima trovossi presso il ricco navigatore, che, dopo averla trattata come ne’ dì precedenti, intraprese la relazione del suo sesto viaggio, nella guisa che sono per narrarvi.


Note

  1. È la penisola al di qua del Gange, che termina col capo Comorin.