Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/303


283

quello da un lato in mare, che spalancossi in guisa da lasciarcene quasi vedere il fondo. Per nostra disgrazia, l’altro uccello lasciò cadere il suo pezzo di scoglio con tal precisione in mezzo al vascello, che lo infranse in mille pezzi. Marinai e passaggeri furono tutti schiacciati dal colpo o sommersi, ed io pure sommerso cogli altri; ma tornato presto a galla, ebbi la buona sorte d’afferrare un pezzo dei frantumi, ed aiutandomi ora con una mano, ora coll’altra, giunsi finalmente, col vento e la corrente che mi erano favorevoli, ad un’isola di rive ripidissime. Superai tuttavia questa difficoltà e mi posi in salvo.

«Sedutomi sull’erba per rimettermi un po’ dalla fatica, mi alzai quindi, e m’inoltrai nell’isola per riconoscere il terreno. Mi pareva d’essere in un delizioso giardino; da per tutto erano piante cariche di frutta, quali acerbe, quali mature, e ruscelletti di limpida acqua vi serpeggiavano in mille gradevolissimi giri. Mangiai di quelle frutta che trovai squisite, e bevvi di quell’acqua che m’invitava ad estinguere la sete.

«Venuta la notte, mi coricai sull’erba, in un sito abbastanza comodo, ma non potei dormire un‘ora intiera, e spesso m’interruppe il sonno la paura di vedermi solo in luogo si deserto; passai dunque la miglior parte della notte a dolermi e rimproverarmi l’imprudenza commessa di non essermi fermato a casa, piuttosto che intraprendere quest’ultimo viaggio. Tali riflessioni mi spinsero tanto innanzi, che cominciai a concepire disegni contro la mia propria vita; il giorno, colla sua luce, dissipò in breve la mia disperazione, ed alzatomi, camminai fra gli alberi, non senza qualche timore.

«Quando fui un po’ inoltrato nell’isola, vidi un vecchio, che mi parve molto mal in essere, seduto sulla sponda d’un ruscello. M’immaginai dapprima