Le Mille ed una Notti/Avventure d'un Cortigiano

Avventure d'un Cortigiano

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Storia di Abu-Niut e di Abu-Niutin, ossia l'Uomo Benefico e l'Ingannatore Gli Amanti di Siria o l'Eroina
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AVVENTURE D’UN CORTIGIANO.


— Un emiro d’Egitto sentendosi una notte tristo ed affannoso, mandò a chiamare un suo cortigiano [p. 213 modifica] conosciuto per lo spirito piccante e la giovialità del conversare. — Ignoro,» gli disse, «cosa mi conturbi e m’agiti; ma ho bisogno che qualcuno metta tregua alla tristezza che mi divora. — Volete,» rispose il favorito, «che vi racconti una storia della mia gioventù? Son certo che v’interesserà.

«Ancor giovanissimo, m’invaghii perdutamente di una fanciulla araba, brillante di grazia e beltà, che abitava co’ suoi genitori. La sua famiglia era d’una delle tribù del deserto, ed io mi assentava spesso per andar alla loro tenda. Un giorno, pieno di vaga inquietudine, come per presentimento di ciò che doveva accadermi, decisi, per distrazione, di recarmi presso alla mia diletta. Volai dunque al campo... la mia bella Araba e tutta la sua famiglia erano spariti. Pieno di spavento, m’informo da alcuni Persiani di ciò che m’interessava e sento che i genitori della mia diletta erano andati a piantare le tende in altro paese, a motivo della scarsezza del foraggio. Volsi gli occhi in giro, e nulla annunziandomi vicino il loro ritorno, presi il partito di andarne in cerca, e benchè già si avvicinasse la notte, insellai il camello, presi gli abiti, e cintami al fianco la scimitarra, mi posi in viaggio. Aveva appena fatto un po’ di cammino, che le più dense tenebre m’avvolsero, ed erano tali che ora mi sprofondava nelle sabbie e ne’ burroni, ora saliva su per le colline, udendo, intorno di continuo le urla delle bestie feroci. Atterrito, non cessava di raccomandarmi all’Altissimo, solo nostro rifugio nel momento del pericolo. Infine invasemi i sensi una specie di torpore e m’addormentai. Durante il sonno, il mio camello si smarrì, ed allontanatosi dalla strada ch’io volea seguire, un ramo d’albero mi venne d’improvviso a percuotere con tal violenza la testa, che mi destò, cagionandomi sì vivo dolore, che venni meno. Non so quanto [p. 214 modifica] tempo rimasi in quello stato; ma quando risensai, il sole era già alla metà del suo corso, ed io mi trovai in un prato sparso d’alberi, dove una fresca verzura, smaltata di fiori, lasciava il varco ad un limpido ruscello; se unirete a ciò gli uccelli, i cui gorgheggi formavano una dolce melodia, avrete un’idea di quel magico soggiorno. Per uscirne e trovare una via, attraversai un boschetto sì folto, che fui costretto a scendere dal camello, e condurlo per la briglia sinchè ne fossi fuori. Allora tornai a salirvi, ma senza sapere da qual parte la Provvidenza guiderebbe i miei passi. Così entrato in un deserto, spaziava la vista sul vasto orizzonte che mi si stendeva davanti, allorchè, scorto un fumo che oscurava lo spazio, sollecitai il camello da quella parte, e giunsi ad una magnifica tenda, presso cui ardeva un gran fuoco. Cavalli e pecore pascolavano intorno, ed io rimasi maravigliato di trovare in una pianura deserta un campo di sì bell’apparenza. Mi avvicinai quindi all’ingresso, gridando: — Salve, abitanti di questa tenda; Dio vi conceda la salute, e v’abbia misericordia!». Tosto ne uscì un giovane dell’età di circa diciannove anni, pieno di grazia, e la cui fisonomia dimostrava valore e benevolenza. Reso che m’ebbe il saluto: — Fratello,» disse, «tu hai senza dubbio smarrita la strada? — Sì,» risposi, «ti prego d’indicarmela, e Dio ti ricompensi! — Se tu volessi proseguire il cammino con questa notte terribile,» ripres’egli, «non saresti sicuro dalle fiere; entra nella mia abitazione, e resta qui sino a domani: vi troverai il riposo e la quiete, ed allo spuntar del giorno t’insegnerà la tua strada.» Accettai. Egli, preso il mio camello, lo legò ad un palo, e gli porse acqua e foraggio; poi, assentatosi per brevi istanti, tornò con un mezzo montone che fece arrostire, dopo averlo preparato con aromati e spezierie, ed invitommi a prender parte a quel pasto frugale. [p. 215 modifica]

«Notai che il mio ospite, in mezzo alle amabili attenzioni che mi usava, versava spesso lagrime, battendosi il petto, d’onde congetturai che al par di me, amasse senza speranza: tale conformità di situazione destò in me interesse e curiosità. Pure, temendo di turbarlo con interrogazioni che potessero ridestare in lui troppo dolorose memorie, mi astenni dal parlargli de’ miei dubbi. Dopo il pranzo, quel giovane portò un catino ed una brocca, con una salvietta di seta a frange d’oro, ed un fiasco d’acqua di rose e di muschio. Tante attenzioni ed urbanità raddoppiarono la mia ammirazione, ed io non poteva comprendere come un giovane sì compito dimorasse in quel selvaggio deserto. Fatte le nostre abluzioni, parlammo di cose diverse; poi, l’ospite m’invitò ad un riposo di cui doveva aver tanto bisogno. Entrato dunque nella tenda, m’addormontai di profondissimo sonno. Destatomi verso mezzanotte, rifletteva alla bizzarria della mia avventura, allorché udii il suono d’una voce sì dolce e grata, che giammai accenti simili mi avevano colpito l’orecchio. Alzai la cortina che mi circondava, e vidi, seduta accanto al mio ospite, la più leggiadra donna che fosse possibile immaginare. Ambedue spargevano lagrime, deplorando le pene dell’assenza, e gemendo sugli ostacoli che opponevansi al frequente loro vedersi. — Cosa significa questo mistero?» pensai. «Questo giovane vive solingo; non ho veduta nella pianura veruna abitazione, e d’improvviso eccogli al fianco una vezzosa vergine! Non può essere se non la figlia di qualche buon genio, che, invaghitosene, lo avrà indotto a ritirarsi in questo solitario luogo.» Volendo però rispettare il loro segreto, lasciai cadere la cortina e mi riaddormentai.

«Allo spuntar del giorno mi vestii, e fatte le abluzioni e le preghiere, andai a trovar l’ospite ch’era [p. 216 modifica] già in piedi. — Fratello Arabo,» gli dissi, «aggiungi un nuovo servigio alla generosa ospitalità che mi offristi, insegnandomi la retta via; somma sarà la mia gratitudine.» Volse egli su di me uno sguardo pieno di bontà, e mi chiese di consacrargli tre giorni ancora. Accettai la gentile offerta. Spirato quel termine, mi arrischiai a domandargli il suo nome e quello della sua famiglia. — Sono,» mi rispose, «della nobile tribù d’Azzra. — Possibile?» sclamai allora; «voi siete il figlio del fratello di mio padre!» Tale scoperta ci rallegrò entrambi. — Cugino,» gli chiesi, «chi può averti indotto a ritirarti in questo luogo remoto, abbandonando casa e famiglia? —

«A tale domanda gli si riempirono gli occhi di lagrime. — Caro cugino,» rispose, «io era perdutamente invaghito della figliuola di mio zio: ne chiesi la mano, me la negarono, e poco dopo, ella sposò uno della nostra tribù, più ricco di me, e che la condusse nella sua tenda. La disperazione m’invase il cuore: la solitudine soltanto sorrideva alla mia anima lacerata; abbandonai parenti, amici, fortune, e mi ritirai in questo deserto.» Gli chiesi ove fosse la residenza della sua amante e del felice suo rivale. — Sulla vetta di quel monte,» rispose. «Ogni qual volta la mia diletta può trovarne l’occasione, in mezzo al silenzio ed agli orrori della notte, allorchè tutto riposa, ella viene alla volta di questa tenda, e qui, lungi dai gelosi, noi godiamo della felicità di amarci e di dircelo, ma l’ho mai sempre rispettata; credimi, fratello, i nostri cuori sono puri come un raggio dell’empireo. Ecco perchè ho scelto questo tenore di vita. Mentre aspetto che la mia diletta venga a consolare le mie ore, esse scorrono rapide e deliziose sino al momento in cui l’Onnipossente ricompenserà il costante nostro amore o ci ricongiungerà nel sepolcro. — [p. 217 modifica]

«Quel racconto mi commosse, e più non ebbi che un sol desiderio, quello di liberare i due amanti dai loro oppressori; cosìcchè, dopo brevi istanti di riflessione: — M’è venuto un pensiero,» gli dissi, «che, coll’aiuto di Dio, potrebbe metter fine a’ tuoi patimenti ed a quelli della tua amata. Quando la notte ti riconduca la donna, la collocheremo sul mio camello, che ha piè sicuro e veloce il passo: noi la seguiremo a cavallo, e prima di giorno avremo varcata la foresta; allora sarete al sicuro, lungi da’ vostri oppressori, e l’amore s’incaricherà della vostra felicità. Troverete facilmente un asilo, e sin ch’io viva, contate ambedue sulla sincera mia amicizia. — Permetti,» rispose il cugino, «che prenda consiglio dall’amica del mio cuore; me ne riporterò alla prudenza ed all’amor suo. —

«Giunta l’ora in cui era solita venire la giovane Araba, l’ospite non potè frenare la propria impazienza. Il tempo passava, e la sua bella non compariva; egli mettevasi all’ingresso della tenda, poi tornava presso di me, e pareva vivamente agitato. Infine, si mise a gridare, struggendosi in lagrime: — Ah! ella non viene; che le sia accaduta qualche disgrazia? Resta qui; io ne corro in traccia.» E presa la spada, si slancia, e dispare.

«Un’ora dopo udii il rumore de’ suoi passi, e lo vidi giungere con qualche cosa di voluminoso tra le braccia, chiamandomi con voce dolente. Corsi a lui. — Aimè! aimè!» gridava egli; «essa non è più; ecco quanto ne resta. Correva alle mie braccia, quando un lione l’assalì e la sbranò. Depose al suolo, singhiozzando, i preziosi avanzi della sua amica, mi disse di attenderlo, e partito colla velocità di una freccia, poco dopo tornò col teschio sanguinoso d’un lione, me lo gettò ai piedi, e nuovamente proruppe in amarissimo pianto. — O cugino!» [p. 218 modifica]gridò poi; «ti scongiuro, per l’Onnipotente e pei vincoli che ci uniscono, di eseguire l’ultima mia volontà, poichè fra un’ora avrò raggiunto quella ch’io amava. Adempi ad un sacro dovere, e raccogli in una medesima tomba le sue e le mie spoglie.» Ciò detto, si ritirò in un canto della tenda, e passò un’ora in preghiere; poi uscì, e feritosi nel petto, mandando lunghissimi gemiti, esalò l’ultimo respiro con tali parole: — Ti seguo... mia diletta... ti... se...guo.» L’orrendo spettacolo mi lacerò l’anima; stetti alcun tempo senza aver la forza di compiere l’ultima volontà del mio sventurato parente: ma infine, fatto uno sforzo su me medesimo, la eseguii; resi alla terra le reliquie di que’ due infelici, e rimasto colà tre giorni pregando, tornai alla mia abitazione. Da quel tempo non ho lasciato scorrere un anno senza visitare la tomba dei due amanti, e senza innalzare all’Onnipotente fervidi voti pel riposo delle anime loro.» Schahriar fu oltremodo commosso di quella breve storia, e permise alla consorte di cominciarne un’altra la notte successiva.