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già in piedi. — Fratello Arabo,» gli dissi, «aggiungi un nuovo servigio alla generosa ospitalità che mi offristi, insegnandomi la retta via; somma sarà la mia gratitudine.» Volse egli su di me uno sguardo pieno di bontà, e mi chiese di consacrargli tre giorni ancora. Accettai la gentile offerta. Spirato quel termine, mi arrischiai a domandargli il suo nome e quello della sua famiglia. — Sono,» mi rispose, «della nobile tribù d’Azzra. — Possibile?» sclamai allora; «voi siete il figlio del fratello di mio padre!» Tale scoperta ci rallegrò entrambi. — Cugino,» gli chiesi, «chi può averti indotto a ritirarti in questo luogo remoto, abbandonando casa e famiglia? —

«A tale domanda gli si riempirono gli occhi di lagrime. — Caro cugino,» rispose, «io era perdutamente invaghito della figliuola di mio zio: ne chiesi la mano, me la negarono, e poco dopo, ella sposò uno della nostra tribù, più ricco di me, e che la condusse nella sua tenda. La disperazione m’invase il cuore: la solitudine soltanto sorrideva alla mia anima lacerata; abbandonai parenti, amici, fortune, e mi ritirai in questo deserto.» Gli chiesi ove fosse la residenza della sua amante e del felice suo rivale. — Sulla vetta di quel monte,» rispose. «Ogni qual volta la mia diletta può trovarne l’occasione, in mezzo al silenzio ed agli orrori della notte, allorchè tutto riposa, ella viene alla volta di questa tenda, e qui, lungi dai gelosi, noi godiamo della felicità di amarci e di dircelo, ma l’ho mai sempre rispettata; credimi, fratello, i nostri cuori sono puri come un raggio dell’empireo. Ecco perchè ho scelto questo tenore di vita. Mentre aspetto che la mia diletta venga a consolare le mie ore, esse scorrono rapide e deliziose sino al momento in cui l’Onnipossente ricompenserà il costante nostro amore o ci ricongiungerà nel sepolcro. —