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«Notai che il mio ospite, in mezzo alle amabili attenzioni che mi usava, versava spesso lagrime, battendosi il petto, d’onde congetturai che al par di me, amasse senza speranza: tale conformità di situazione destò in me interesse e curiosità. Pure, temendo di turbarlo con interrogazioni che potessero ridestare in lui troppo dolorose memorie, mi astenni dal parlargli de’ miei dubbi. Dopo il pranzo, quel giovane portò un catino ed una brocca, con una salvietta di seta a frange d’oro, ed un fiasco d’acqua di rose e di muschio. Tante attenzioni ed urbanità raddoppiarono la mia ammirazione, ed io non poteva comprendere come un giovane sì compito dimorasse in quel selvaggio deserto. Fatte le nostre abluzioni, parlammo di cose diverse; poi, l’ospite m’invitò ad un riposo di cui doveva aver tanto bisogno. Entrato dunque nella tenda, m’addormontai di profondissimo sonno. Destatomi verso mezzanotte, rifletteva alla bizzarria della mia avventura, allorché udii il suono d’una voce sì dolce e grata, che giammai accenti simili mi avevano colpito l’orecchio. Alzai la cortina che mi circondava, e vidi, seduta accanto al mio ospite, la più leggiadra donna che fosse possibile immaginare. Ambedue spargevano lagrime, deplorando le pene dell’assenza, e gemendo sugli ostacoli che opponevansi al frequente loro vedersi. — Cosa significa questo mistero?» pensai. «Questo giovane vive solingo; non ho veduta nella pianura veruna abitazione, e d’improvviso eccogli al fianco una vezzosa vergine! Non può essere se non la figlia di qualche buon genio, che, invaghitosene, lo avrà indotto a ritirarsi in questo solitario luogo.» Volendo però rispettare il loro segreto, lasciai cadere la cortina e mi riaddormentai.

«Allo spuntar del giorno mi vestii, e fatte le abluzioni e le preghiere, andai a trovar l’ospite ch’era