Capitolo XXI

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XXI.

Passarono cinque anni.

Ai primi del 1902, morirono, l’una dopo l’altra, le due zie decrepite di Pietro Benu. L’ex-servo ereditò e continuò ad abitare la loro casetta, che egli aveva fatto allargare e restaurare.

— Come mutano le cose di questo mondo! — dicevano le vicine invidiose. — E le cose passate si dimenticano!

Infatti Pietro non era più un servo, ma un negoziante che faceva fortuna; e tutti lo rispettavano, anche perchè egli era un giovine serio, non vanaglorioso, che non urtava nessuno. Ora egli contava trentatrè anni: in tutto il vigore della sua giovinezza matura, sano, agile, meno scarno e bruno d’un tempo, egli era bellissimo, e le domeniche, allorchè tutto vestito a nuovo e con l’orologio e il fazzoletto bianco in tasca, si recava alla messa di mezzogiorno, qualche ragazza benestante si degnava di guardarlo teneramente.

Ma egli aveva una sola speranza in cuore, una sola ambizione. Gli pareva che altro scopo non gli [p. 276 modifica]restasse nella vita; e per questo scopo egli da anni ed anni combatteva, e quest’ambizione lo aveva reso astuto, paziente, fine.

Non frequentava le bettole, non andava in compagnia di persone sospette. Invano la moglie del bettoliere toscano correva sulla porta ogni volta che egli passava di là per recarsi dai Noina; egli non la guardava neppure. Passati quei tempi! In casa dei suoi ex-padroni veniva accolto con deferenza, come un amico; solo zia Luisa, pur mostrandosi affabile quanto il suo carattere solenne glielo permetteva, non mancava qualche volta di ricordargli la sua origine e la sua antica condizione.

Un giorno, poche settimane dopo la morte delle zie, mentre egli se ne stava davanti alla sua casa, badando all’opera dei muratori che fabbricavano un muro, venne a cercarlo l’Antine.

Il piccolo uomo intraprendente s’era vestito da borghese; aveva i capelli grigi, ma il suo viso sbarbato conservava l’espressione giovanile che lo rendeva tanto simpatico. Da qualche anno l’Antine aveva sposato una ragazza povera, ma di buona famiglia, e s’era stabilito a Nuoro, dove fra le altre cose faceva lo strozzino.

Da qualche tempo Pietro e l’Antine avevano sciolto la loro società, e ciascuno negoziava per proprio conto: ma non cessavano di vedersi e di rendersi dei servigi.

L’Antine si fermò con Pietro davanti al muro in costruzione: era una bella giornata di febbraio, faceva piacere starsene al sole. [p. 277 modifica]

— Mia moglie ha partorito: una bambina. No, non credevo che mia moglie mi facesse questo torto! — esclamò l’Alitine, un po’ serio, un po’ scherzoso.

— Bisogna vedere se il torto è suo. — rispose Pietro maliziosamente.

— Sarai il padrino, come hai promesso?

— E la madrina chi è?

— Sceglila tu stesso...

— Ah, quella che io sceglierei non accetterebbe!

— Prova: ad ogni modo, pregala tu, Pietro; forse a te non darà un rifiuto. Se ella vorrà, faremo il battesimo di sera. Sarà una buona occasione perchè la gente cominci a dire: «quei due si sposano!»

— Non amo che la gente dica queste cose: ci sono tanti invidiosi! — disse Pietro a bassa voce. Vuoi un bicchiere di vino?

— Beviamo pure! Ma perchè fai costruire questo muro?

— Voglio fare una tettoja.

Entrarono in una stanzetta sporca e disordinata, e Pietro riuscì a mala pena a trovare due bicchieri e una bottiglia.

— Ecco, — disse, curvandosi e sturando una damigiana, — ora la casa è tutta in disordine; anche la servetta è andata via; i parenti non hanno voluto lasciarla con un uomo solo... Sebbene...

— Non vantarti tanto: non sei uno stinco di santo, poi! Bene, versa pure dalla damigiana, diavolo, non far complimenti. [p. 278 modifica]

Pietro versò il vino, un po' del quale si sparse per terra. L’Antine esclamò:

— Allegria! Dunque, domanderai a Maria Noina se vuol essere la madrina. Buona fortuna.

Pietro scosse la testa, e sollevò il bicchiere: il suo viso era diventato triste.

— Non scherzare, diavolo; sai che non mi piace... Piuttosto, dimmi: puoi prestarmi altri duecento scudi?...

— Io volevo chiederli a te!

— Lasciamo gli scherzi, — ripetè Pietro, — ho davvero bisogno di denaro. Tu sai che il mio capitale è ben meschino, mentre la gente crede ch’io stia per diventar ricco...

— Tu puoi diventarlo: perchè non ti decidi a sposarla?... Ora parlo sul serio, Pietro!

— Io? Ma io l'avrei sposata un milione di volte. Però ho paura. Non che ella mi rifiuti! Oh, no; se io volessi! Ella è ora come la fogliolina ancora piegata che aspetta un po’ di sole per aprirsi, — disse Pietro, riunendo e poi spiegando le dita. — Se io volessi! Basterebbe guardarla, e tante, tante volte io tremo tutto vicino a lei, ma non oso... È presto ancora.

— Bene, aspetta allora a quando la foglia sarà secca! A quando sarete vecchi entrambi!... Vedi, tu mi fai arrabbiare. Pietro, — esclamò l’altro, battendo il bicchiere sul tavolo. — Vedrai, anche questa volta ti accadrà... come la prima volta. Tu mi hai raccontato quanto sei stato stupido...

— Non ricordarmi... — disse Pietro, morsicandosi il pugno. — Taci. [p. 279 modifica]

— Ah, sì, Pietro Benu; tu sei nato per aver fortuna e... invece! Basta: tu sei un mezzo uomo, un uomo di ferula! Hai sempre avuto paura. Anche allora avevi paura; invece tutto andò bene. Bei tempi erano quelli! Mi davi ascolto, ti facevi coraggio, superavi te stesso: l’odio e la passione ti spingevano. Poi tutto finì. Paura! Paura! Ecco, tu hai avuto sempre paura di tutto e di tutti, anche di me, d’un tuo fratello! E te lo dissi tante volte: l’uomo pauroso non sarà mai fortunato.

Pietro guardava fuori e scuoteva la testa.

— Fortunato! — disse con voce triste e sommessa. — Non c’è stato uomo più sfortunato di me. Io ero nato onesto e son diventato ladro. Io non ero nato per uccidere ed ho ucciso... ho ucciso chi non mi odiava ed ho ucciso chi era povero e servo come me...

— Piano! — disse l’Antine con un orribile sorriso. — Non vantarti tanto! Il servo l’ho ucciso io; tu hai ucciso il padrone... Ti chiami sfortunato, perchè hai ucciso il tuo rivale? Diavolo, conosco tanta gente che direbbe il contrario...

— Bella fortuna! — continuò Pietro con voce triste. — La fortuna sarebbe stata di... Basta, non voglio ricordare! Eppoi, chissà? Siamo noi sicuri di noi? Non tutte le notti io dormo tranquillo, Zuanne Antine!

— Peggio per te! Io dormo!

— Eppoi, vedi, come dicevo, son forse diventato ricco? Per poche migliaia di lire puzzolenti! E quanti pericoli corsi; e quanta povera gente rovinata! [p. 280 modifica]

— E che! Se non volevi rubare qualche bue e qualche vacca, volevi rubare dei milioni? Eh, i grandi furti non si possono fare che in Continente. Hai sentito quello che racconta Elias Portolu, di quei due che hanno rubato una valigia piena di biglietti di banca?

L'Antine scherzava, ma nello stesso tempo parlava con un certo entusiasmo. Pietro però scuoteva sempre la testa, scontento e pauroso.

— Anche noi, del resto, — proseguì l'Antine, — avremmo potuto non limitarci: quanti sono stati più fortunati e arditi di noi!... Se tu mi avessi dato retta! In quel tempo, quando tu mi ascoltavi, e...

— Basta, — impose Pietro, che guardava sempre fuori della porta, pauroso che i muratori potessero avvicinarsi e sentire qualche parola. — Non parliamone più. Ora faremo questo battesimo: che nome daremo alla bambina?

— Maria. Insisto nella preghiera di rivolgerti a Maria Noina...

— In tutti i casi toccherebbe a te: per me, ti ripeto, non amo si facciano chiacchiere. Maria una volta ricevette una lettera anonima, nella quale si diceva: «Sarebbe molto bene che Pietro non frequentasse la tua casa». Dopo questo fatto sono stato molto guardingo. Basta, usciamo: andiamo a veder la bambina.

Uscirono. Strada facendo l'Antine fece vedere a Pietro una lettera di un impresario, il quale lo pregava di reclutare scorzini e carriolanti per una [p. 281 modifica]lavorazione, cioè per il taglio di una foresta in Algeria. «Vorrei anche delle donne per la pulitura della scorza; potrebbero venire le mogli degli scorzini e dei carriolanti. C’è alloggio sufficiente».

— Può darsi. — disse Pietro, — che qualche povera diavola voglia seguire il marito. Possiamo cercare.

La moglie dell’Antine espresse anche lei il desiderio di veder la sua bambina tenuta a battesimo da Maria. Pietro allora, per non destare sospetti nella giovane puerpera, promise di «esplorate il terreno».

— Dopo farò la richesta ufficiale, — disse, scherzando, l'Antine.

Uscirono di nuovo assieme e si avviarono verso la casa di zio Nicola.

— Va là, fa tu da paraninfo ora; dopo lo farò io, — diceva il piccolo negoziante. — Vedrai che finirai col darmi quest’incarico. Deciditi, via. Sai che cosa mi ha detto l’altro giorno il Toscano? che Franzisc’Antoni Murreddu frequenta la casa di zio Nicola... Attento, Pietro: ricordati la prima volta...

— Maria ha rifiutato tanti partiti, — disse Pietro, che si turbava ogni volta che vedeva la casa dei Noina. — Come ne rifiuterà ancora...

— Sta attento, ragazzo. Sta anche attento che essa non si stanchi di aspettare. Eccoci arrivati. Ti aspetterò qui, nella bettola del Toscano. Va.

Pietro entrò dai Noina, senza neppure accorgersi che la moglie del bettoliere correva sulla porta per guardarlo. [p. 282 modifica]

Maria, naturalmente, rifiutò di far da madrina alla bimba dell’Antine. Benchè fossero passati tanti anni, il lutto più stretto opprimeva ancora la giovine vedova. Ella usciva di rado, passava nelle viuzze più solitarie, sempre stretta nel costume nero di vedova. Anche coi parenti si mostrava seria e spesso triste: le sembrava di aver fatto quasi un voto monastico, d’essersi sottratta alla vita, mentre la gioventù le vibrava nel sangue e il desiderio della felicità le turbava l’anima.

Qualche volta si domandava se voleva nuovamente bene a Pietro. Non sapeva, o meglio non osava confessarselo: ma la presenza di lui la rendeva triste e ardente. Nessun altro uomo sapeva guardarla come la guardava lui: sotto il suo sguardo ella si sentiva quasi mancare. La sua volontà, sempre così ferma e vigile, si piegava solo davanti a Pietro.

La mattina del battesimo, una domenica gaia di sole e di scampanii argentini, l’ex-servo entrò improvvisamente nella cucina dei Noina. Zio Nicola e zia Luisa erano andati alla messa cantata della chiesetta del Rosario, dove si celebrava la festa di San Giuseppe: Maria preparava il desinare, sola, scalza e modestamente vestita.

— Buon giorno, Maria, — disse Pietro, entrando e avvicinandosele.

Ella si volse, un po’ turbata. Egli era vestito con lusso; con la mano bianca come la mano d’un borghese, si accomodava la berretta sul capo. [p. 283 modifica]

Maria s’affrettò a mettere i piedi dentro due babbucce nere; poi sorrise e disse:

— Mio padre è andato alla messa del Rosario. Volevi parlare con lui?

— No, voglio parlare con te.

— Siediti dunque. Avete fatto già il battesimo? — ella disse, prendendo una sedia e spolverandola, sebbene l’avesse già spolverata fin dalla mattina presto. — Siediti qui: ecco, non lì: puoi sporcarti.

Mise la sedia vicino alla porta e tornò verso i fornelli; non sapeva come nascondere il suo turbamento.

Nella cucina pulitissima, il cui pavimento era qua e là spruzzato d’acqua, regnava una dolcezza, un tepore di focolare acceso; una pace, un silenzio di casetta tranquilla. Pietro si fece coraggio: egli rioordava solo i bei momenti vissuti in quell’ambiente famigliare, che aveva dato alla sua antica passione una cornice pura e ardente.

— Maria, tu indovini perchè son venuto... Vieni qui vicino, volgiti, ascoltami. Quanto tempo è passato! Ma volgiti, vieni qui.

Ella si avvicinò.

— Dammi la mano. Maria! No? Perchè abbassi gli occhi? Perchè non vuoi darmi la mano? No, non aver timore; tu sai che ho giurato di non farti mai del male. Vieni.

Ella scosse la testa, senza sollevare gli occhi, e disse:

— Spiegati bene: che vuoi da me? [p. 284 modifica]

Allora Pietro afferrò con ambo le mani la spalliera della seggiola, quasi per vincere la tentazione di stringere le mani di Maria; poi si curvò alquanto e disse:

— Cosa voglio da te? Tu lo sai. Voglio che tu diventi mia! È tempo! Credo bene che tu non baderai al passato, che non ricorderai la mia bassa condizione d’un tempo, come io non ricordo il tuo tradimento... Ricominciamo una nuova vita. Io ti voglio bene, vivo per te, per te sola sono diventato ciò che sono. Ed anche tu mi vuoi bene. Quante volte ce lo siamo detto con gli occhi! Parla, od almeno guardami...

Ella lo guardò: fremettero entrambi, ma Pietro seppe vincersi ancora.

— Vedi, — disse, stringendo nervosamente la spalliera della seggiola, — tu mi vuoi bene; i tuoi occhi non mentiscono. Perchè tormentarci oltre? Io m’ero proposto di non parlarti d’amore finchè non potevo chiederti: Maria, ti ricordi ciò che ti promettevo? Ho tenuto o no la promessa?

— L’hai tenuta! — proruppe Maria, che ora non sapeva più staccare gli occhi dagli occhi affascinanti di Pietro.

— E dunque, mantieni anche tu la tua! Non rispondi? Perchè? Hai paura? Sì, tu hai paura di tua madre, che non vorrà per genero un suo antico servo; hai paura della gente, hai paura di te stessa. O io mi inganno o i tuoi occhi mentiscono. Non mi vuoi più bene? Non ricordi più niente? Queste pareti, questo focolare, questo fuoco [p. 285 modifica]non li dicono niente? Ricordati, Maria: allora promettevi che mi avresti atteso anche dieci anni; invece ne nono passati appena sette; e dunque mi respingi? Non mi vuoi? Non hai pietà di me? Maria... Maria... Tu piangi?

Le si avvicinò, le prese le mani, la scosse.

— Parla! Parla! Perchè piangi? Hai qualche grave motivo per disperarti così?

Ella scosse la testa china, Pietro le mise una mano sulla fronte e la costrinse a sollevare il viso ed a guardarlo. Anch’egli era pallido, con le labbra gonfie e tremanti di desiderio e di paura.

— Hai qualche motivo? Hai qualche dubbio?

— No, — ella disse, chiudendo gli occhi come una fanciulla, — ma io oramai sono come una morta; perchè vuoi risuscitarmi? Tu sei giovine... tu puoi..

— Io voglio te sola, — egli rispose, con un anelito quasi selvaggio. E la baciò, e si baciarono; e sulle loro labbra, che tremavano come per angoscia, vibrò quanto c’è di più tragico e dolce nel mondo, dal rimorso alla voluttà, dall’ambizione all’amore.

Nel pomeriggio di quella domenica, Pietro e l’Antine uscirono assieme.

— Voglio cominciare a cercare i lavoranti per l’impresario d’Algeri; oggi è festa e i contadini sono in paese, — disse l’Antine. [p. 286 modifica]

Pietro l’accompagnò. Si fermarono davanti alla chiesetta del Rosario, dove un gran numero di contadini e di artigiani assisteva alla scalata d’un caratteristico albero di cuccagna, tentata invano da parecchi monelli ed anche da qualche uomo serio.

In cima all’albero, un altissimo fusto di pioppo, liscio e per di più levigato col sapone, oscillava un cerchio, dal quale pendevano fazzoletti rossi e gialli, formaggelli freschi, una borsa, un paio di scarpe. I fazzoletti svolazzavano al venticello fresco del puro tramonto: parevano allegri di trovarsi lassù e di attirare gli sguardi di tanta gente.

I monelli s’arrampicavano, su su, uno dopo l’altro, ma arrivati a un certo punto scivolavano e non ritentavano più la scalata.

La gente urlava e rideva.

Quando Pietro e l’Antine giunsero nella piazzetta, un uomo piuttosto anziano, coi piedi fasciati con stracci, s’arrampicava sull’albero.

In alto i fazzoletti non sventolavano più; solo le scarpe, la borsa e i formaggelli, illuminati ancora dal sole, oscillavano lievemente in attesa della mano vincitrice.

Nonostante la passione e i gravi e dolci pensieri che le preoccupavano, Pietro s’interessò alla bizzarra scena, mentre l’Antine parlamentava qua e là coi paesani di sua conoscenza.

Fra gli altri c’era Giuseppe, il marito di Sabina, vestito a festa, con la barba già un po’ grigia, ma accuratamente pettinata: i contadini e gli artigiani [p. 287 modifica]suoi amici lo circondavano e lo invitavano a festeggiare il suo Santo conducendoli a bere.

L’uomo dai piedi fasciati si arrampicava sempre: era giunto quasi a metà del pinnòne1. Ma ad un tratto un grido risuonò tra la folla:

— Ha due pezzi di falce attaccati ai piedi: ed è perciò che non scivola.

Tutti si misero a gridare ed a ridere; i monelli si strinsero intorno all’albero, lo scossero, protestando e cercando di far cadere il campione fraudolento.

— Oh, tu, diavolo, abbasso! Non bisogna far così. Giù, giù!...

Ma l’altro continuava a salire; la sua persona magra ma non svelta si ripiegava e s’allungava sul fusto con mosse lente, ma sicure. In alto il bizzarro trofeo tremolava tutto, il cerchio s’aggirava intorno alla cima dell’albero e il sole traeva ancora una scintilla dalla molla di metallo della borsa.

Fra le risate e gli urli della folla l'Antine faceva i suoi bravi contratti coi carriolanti e i contadini, la maggior parte ubbriachi.

S’avvicinò anche a Giuseppe.

— E tu, di’, vuoi andare alla lavorazione d'Africa?

— È molto lontana dalla costa?

— Non tanto. Vuoi condurre anche tua moglie? C’è l’alloggio. [p. 288 modifica]

— Mia moglie non ha bisogno di raschiare scorza, — rispose il contadino. — Tuttavia, vedremo... Glielo dirò.

— Eccola là: domandaglielo subito, perchè mi occorre sapere il numero delle persone che vogliono andare alla lavorazione.

Sabina, infatti, con una bambina fra le braccia, guardava «su pinnòne» e chiacchierava con altre donnicciuole.

Senza preoccuparsi delle proteste e dei fischi, l’uomo magro saliva, saliva sull’albero; ancora uno slancio ed eccolo arrivato. Per un momento la folla ansiosa tacque; il sole scomparve; il cerchio si fermò.

— Bravo! — gridò l’Antine, agitando il braccio verso il vincitore, che era arrivato a toccare il cerchio e ne aveva strappato la borsa.

Per reazione, allora, tutti applaudirono: l’uomo scivolò giù, tirandosi dietro il cerchio, e arrivato a terra, nonostante le proteste, gli spintoni, le grida dei ragazzacci che volevano esaminargli i piedi, strappò i fazzoletti, i formaggelli, le scarpe, fece di tutto un fagotto e se ne andò.

L’Antine, seguito da Giuseppe Pera, s’avvicinò a Pietro e lo guardò sorridendo.

— Hai veduto? — gli disse con intenzione. Così si fa!

Pietro scosse la testa col suo gesto sdegnoso. «Così si fa!» Lo sapeva. Le sue labbra, ancora ardenti dei baci di Maria, sorridevano; i suoi occhi scintillavano di gioia. [p. 289 modifica]

Seguì l’amico o con lui e col contadino s’avvicinò a Sabina.

La giovine donna aveva perduto la sua freschezza d’un tempo; i capelli biondastri le sfuggivano ancora, qua e là, sulla fronte e sulle orecchie, incorniciando un visetto magro e giallognolo; il naso pareva trasparente; gli occhi soltanto, limpidi e chiari, conservavano lo sguardo infantile d’un tempo.

Ella non era infelice, ma era povera. Mossiù Giouanne2 non batteva veramente alla sua porta, ma ella doveva lavorare, procreare, allattare, e le donne che fanno tutte queste cose si sciupano presto. Dopo il suo matrimonio, le sue relazioni con la famiglia Noina erano quasi cessate; ella non aveva tempo di andare a trovare i parenti ricchi, e questi non si ricordavano di lei.

Sabina aveva dimenticato il passato. Quando verso sera attendeva il marito, seduta sul limitare della porta, e vedeva in fondo alla straducola avanzarsi l’onesto contadino con la bisaccia sull’omero, seguito dai buoi stanchi, ella faceva battere le manine alla sua bambina, dicendo: «ecco babbo, ecco babbo!» e le pareva di essere felice come una signorona.

Eppure, vedendo Pietro avvicinarsele, un lievissimo rossore le colorì il viso. Egli era così bello, così ben vestito, con gli occhi ardenti di felicità!

Quanti anni, quanti secoli erano trascorsi dopo [p. 290 modifica]quel giorno d’autunno, in cui egli le aveva promesso di «dirle qualche cosa!» Come il mondo cammina e le sorti umane mutano! Chi va su con le falci attaccate ai piedi, e arriva dove vuole; chi cerca di arrampicarsi a piedi scalzi, e scivola malamente! Basta: speriamo vi sia almeno giustizia nell’altro mondo: in questo non ce n’è davvero.

— Dunque, — disse l’Antine, mentre Sabina baciava la sua bambina per nascondere il lieve turbamento che la trionfante presenza di Pietro le destava; — vuoi o no andare con tuo marito? Sei troppo giovine per restar sola tre mesi a casa.

— Ad ogni modo non cercherei te per farmi compagnia! — rispose pronta Sabina. Poi s’informò se per il tempo della raccolta la lavorazione sarebbe finita.

— Tu hai seminato soltanto frumento, — disse a Giuseppe. — Potremmo quindi restar lì fino a luglio.

— Va bene, fino a luglio — accettò l’Antine. E fece un segno sul suo taccuino.

I lavoranti partirono pochi giorni dopo; oltre Sabina, tre povere donne seguirono i loro uomini.

  1. L’albero di cuccagna.
  2. La fame.