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286 la via del male


Pietro l’accompagnò. Si fermarono davanti alla chiesetta del Rosario, dove un gran numero di contadini e di artigiani assisteva alla scalata d’un caratteristico albero di cuccagna, tentata invano da parecchi monelli ed anche da qualche uomo serio.

In cima all’albero, un altissimo fusto di pioppo, liscio e per di più levigato col sapone, oscillava un cerchio, dal quale pendevano fazzoletti rossi e gialli, formaggelli freschi, una borsa, un paio di scarpe. I fazzoletti svolazzavano al venticello fresco del puro tramonto: parevano allegri di trovarsi lassù e di attirare gli sguardi di tanta gente.

I monelli s’arrampicavano, su su, uno dopo l’altro, ma arrivati a un certo punto scivolavano e non ritentavano più la scalata.

La gente urlava e rideva.

Quando Pietro e l’Antine giunsero nella piazzetta, un uomo piuttosto anziano, coi piedi fasciati con stracci, s’arrampicava sull’albero.

In alto i fazzoletti non sventolavano più; solo le scarpe, la borsa e i formaggelli, illuminati ancora dal sole, oscillavano lievemente in attesa della mano vincitrice.

Nonostante la passione e i gravi e dolci pensieri che le preoccupavano, Pietro s’interessò alla bizzarra scena, mentre l’Antine parlamentava qua e là coi paesani di sua conoscenza.

Fra gli altri c’era Giuseppe, il marito di Sabina, vestito a festa, con la barba già un po’ grigia, ma accuratamente pettinata: i contadini e gli artigiani