La stazione estiva di Montepiano/IV
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§ 4. — I Conti Bardi
Qui si affaccia spontaneamente il pensiero: Fu buono e vantaggioso a Vernio il governo feudale dei Conti Bardi?
La risposta che possiamo dare è in massima negativa.
Il Conte Ferdinando Bardi-Serzelli in un suo bel lavoro sul feudo di Vernio, edito da non gran tempo, difende i propri antenati come può, specialmente per quel che riguarda i fatti che chiusero il tempo del regime feudale e il passaggio di Vernio a Francia e poi a Toscana.
I Conti, scrive il Fedeli, sempre arditi e coraggiosi, furono spesso feroci, malvagi e dissoluti.
Così, per tacer d’altri, Sozzo figlio di Piero, che avea tanto combattuto per cacciare Jacopo Gabrielli d’Agobbio, fattosi tiranno di Firenze, e tanto contribuito alla cacciata di Gualtieri duca d’Atene, fu condannato alla pena del fuoco dalla Repubblica, per aver protetto falsi monetari. Eppure era un prode e difese arditamente i varchi dell’Appennino quando l’ambizione di Giovanni Visconti cercò di soggiogare Firenze.
Così Jacopo figlio di Sozzo fu nel 1489 evirato per opera di Tommaso de’ Bardi con la partecipazione d’altri parenti di lui. E questi si bruttò anche d’altre violenze e d’altri delitti.
Giovan Francesco di Jacopo fu dagli Otto di Guardia, con sentenza del 22 Giugno 1517, confinato a Livorno per aver rapito una fanciulla pratese, di nome Diana, e feritane la madre che la voleva difendere.
Sozzo di Roberto fu condannato alla pena di morte e dichiarato ribelle, perchè il 23 Giugno del 1533, resistendo al Podestà di Prato ed ai suoi berrovieri, gli pose in fuga, dopo averli malconci e tolto loro di mano un suo sgherro, Lillo da Vernio, che era stato arrestato.
Suo figlio Matteo fu condannato a morte per omicidio, assoluto e poi a sua volta ucciso da Cammillo de’ Bardi, congiunto suo.
Valentino di Gualterotto perì a Bologna per mano del carnefice nel 1548, come capo di malfattori; Pompeo confinato con sentenza degli Otto per cinque anni a Livorno per l’uccisione di una donna di cui era geloso.
L’ultimo Conte poi, il Conte Flaminio che, nato nel 1736 assunse il potere nel 1772, cavaliere di Malta, Abate di Montepiano, fu un vero tirannello medioevale, prepotente, vendicativo, usurpatore di lasciti pii, vasel d’ogni froda. Sebbene apportatrice d’altri danni, fu una fortuna che la rivoluzione francese lavasse le stalle d’Augia.
Misero lo stato dei vassalli, perchè spogliati da un regime di tirannia e d’estorsione, che solo avea in mira di dissanguarli a più potere.
Dopo aver tanto faticato sulle sudate glebe, reduci nella sera alla loro casipola, non avevano di che saziare sè e la grama famigliuola. I Conti eran padroni quasi assoluti di tutte le terre del feudo e non solo delle terre, ma spesso, quando dessi erano malvagi, per i sudditi neppure la quiete domestica, neppure l’onore e la vita andavan sicuri. Quindi i Verniotti, perchè la tirannia rende diffidenti, sospettosi, vendicativi, erano tutt’altro che d’animo educato a mitezza. I poveri vassalli, costretti a intollerabili fatiche, a patimenti inauditi, onde pagare l’annuo tributo di grano o di danaro al loro signore, avean tutt’altro agio che darsi ai belli studi, tutt’altro agio che curare l’ingentilimento dell’animo! Come l’Inghilterra è solita darsi vanto di generosità, tutelando la libertà dei rifugiati politici che s’affidano a lei; così a Vernio si faceva allora pei delitti comuni, con questa differenza che l’Inghilterra agiva da forte per vanto di politica libertà, nè le riusciva pericolosa una gente straniera di lingua e di costumi che non si mescolava col popolo, ma viveva da sè contenta di trovare un asilo di sicurezza; mentre a Vernio, colpa de’ Conti Bardi, si ricettavano persone colpevoli dei più odiosi delitti, che di là esercitavano ruberie e contrabbandi, e fermavasi così in paese una gente che parlava la stessa lingua del popolo, con lui si mesceva e lo demoralizzava. Quel mostrarsi i Verniotti sì inquieti nel loro vivere, specialmente negli ultimi tempi della dominazione feudale e sì facili a cospirare, ci fa conoscere che la loro vita non era soltanto d’agricoltori e pastori qual’era proprio alla natura del luogo.
Certamente però alle agitazioni popolari furono non piccolo incentivo la mala signoria che sempre accora e le prepotenze dei Conti. Molto purtroppo influiscono ed hanno sempre influito sopra l’educazione ed i costumi di un popolo le qualità buone o cattive di coloro che lo governano.
Non deve negarsi però che nella famiglia dei feudatari di Vernio, i quali vi dominarono per bene 462 anni, non sorgessero menti gagliarde e animi nobili e generosi.
Piero, il primo dei feudatari, ebbe cura di munire di leggi scritte il popolo da lui governato.
Giovanni Bardi si rese celebre nell’ultima metà del secolo XVI colla sua svariatissima coltura, e fu membro dell’Accademia della Crusca e di quella degli Alterati.
Prese parte alla lotta fra i partigiani dell’Ariosto e quelli del Tasso: a lui fu indirizzato un «Discorso» dall’anima buona e gentile di Torquato.
Fu dei primi a promuovere che si musicassero alla maniera dei Greci e dei Latini le drammatiche composizioni.1
Questo si attesta anche da una epigrafe collocata in Via de’ Corsi, prossima alla Chiesa di S. Gaetano, in Firenze:
Jacopo Corsi
Nelle sue vicine case già da tempo demolite
Accolse nella seconda metà del secolo XVI
Il fiore dei letterati musici e poeti
Fu delle loro discipline
Dotto cultore e favoreggiatore generoso
E ivi fece rappresentare
Nel MDLXXXXIV
Con musica sua e di Jacopo Peri la Dafne
Dramma d’Ottavio Rinuccini
Primo frutto dei sapienti studi
Della camerata del C. Bardi
E prima opera del rinnovato melodramma
Lasciò anche un pregiato «Discorso sopra il giuoco del Calcio fiorentino» ed altri lavori.
Girolamo, nato in Firenze nel 1544, prima monaco Camaldolense, poi parroco di San Mattia e Samuele a Venezia, ci lasciò una pregevole «Descrizione delle pitture del Palazzo ducale».
Pietro, figlio di Giovanni, fu pure accademico della Crusca e letterato insigne.
Roberto, al dir del Villani, fu di poco inferiore al Maestro delle sentenze; menò vita castigatissima e morì a Parigi nel 1349.
Dea, religiosa del secolo XV, fu gentile poetessa. Una sua canzone «In morte di una ghiandaia», scritta giocosamente, si trova inserita in molte antologie.2
Ma quelli che tra i Conti Bardi furono maggiormente meritevoli di lode, e il cui nome è ben degno sia tramandato ai più tardi nipoti, sono il Conte Ridolfo, Istitutore dell’Opera Pia di S. Niccolò, e il Cardinale Girolamo che fondò il piccolo ma utilissimo nosocomio di Mercatale.
Il Conte Ridolfo nacque in Firenze da Alessandro e Francesca de’ Bardi il 15 Luglio 1618.
Anima serena e tranquilla, cresciuto ed educato nella casa degli avi, ebbe bello l’aspetto, bella la mente, più bello il cuore.
Fu principe mite, preveggente, pieno di saviezza e di generosità nel lungo tempo che governò il feudo. Anzi fu piuttosto padre che principe.
Dopo lunghi anni di meditazione e di studi incarnò il filantropico e veramente cristiano disegno d’aiutare i suoi vassalli, testando solennemente il 17 Febbraio 1693 e istituendo colle sue disposizioni testamentarie l’Opera Pia di S. Niccolò, grandioso monumento della sua munificenza.
Con questa Opera umanitaria provvide alla misera condizione de’ suoi sudditi, disponendo fosse distribuita loro la rendita di quasi tutto il suo vasto patrimonio, con sagge cautele, onde vicissitudini di tempi, o malignità di uomini non dovessero render vana la sua volontà.
I malvagi, gli indegni, sono esclusi dalla sua beneficenza finchè non si sian riabilitati e non abbiano dato prova di ammenda. Volle provvedere non solo al bene materiale ma anche al morale.
Ora l’Opera Pia, se non ha più il primitivo patrimonio di un milione, ha però tuttora il considerevole reddito di lire diciottomila circa. Di questa beneficenza partecipa il Municipio per una somma annua assegnatagli, onde sopperire in parte alle spese pel Maestro di San Quirico e pel Medico-Condotto.
Si conferisce poi un posto di studio, si distribuiscono doti alle ragazze delle famiglie partecipanti, si fa una maggiore o minore distribuzione ai discendenti dei vassalli del testatore. Pur troppo le savie disposizioni del Conte Ridolfo non bastarono a salvar da unghie rapaci il vasto censo lasciato ai poveri; gli eventi superano l’espettazione.
L’uomo generoso spirò l’anima nella grave età di 84 anni il 24 Dicembre 1702.
Girolamo, suo nipote ed emulo nel ben fare, nacque dal Conte Flaminio il 31 Gennaio 1685; fu poi Cardinale col titolo di S. Maria degli Angeli e rese lo spirito a Dio il 31 Gennaio 1761. Anima nobile e generosa, fondò per testamento, scritto già nel 1758, un piccolo ospedale per i suoi sudditi, da erigersi in Mercatale.
E qui non è giusto sia dimenticata la memoria della gentil donna Anna Marietta Bourbon del Monte nei Bardi, la quale non volle in liberalità esser da meno dei suoi congiunti e lasciò alcune doti da estrarsi annualmente a favore delle fanciulle povere.
Non v’ha nella vecchia Contea chi non ricordi con amore i nomi di questi filantropi. I figli del popolo non sono ingenerosi, non hanno bile, non hanno fiele; sentono la riconoscenza.
Parlo però del popolo vero, di quello che canta il Giusti:
«O Popol vero, e d’opra e di costume, |
Note
- ↑ Vedi G. B. Doni, Musica scenica.
- ↑ V. Ferdindo Bardi, Vita e morte di un feudo.