La stazione estiva di Montepiano/III

§ 3 — Vernio (cenni storici)

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§ 3. — Vernio (cenni storici)

Gli appennini liguri e toscani, specialmente, erano disseminati, e lo furono sino alla rivoluzione Francese, di molti dominii feudali.

Taluni di questi dipendevano da Genova, la superba repubblica, in cui l’elemento aristocratico ebbe quasi sempre il predominio; altri da Firenze, in cui mutati i costumi di quando ella si stava in pace sobria e pudica, i negozianti e i banchieri ambivano blasoni e titoli: la più parte infine dipendevano dal Sacro Romano Impero.

Interessante e pittoresca per la spessa mutazione della sua ampiezza, per la svariata coltivazione, per la struttura e l’aspetto gradevole che presentano i monti che le fanno corona, è la parte di val di Bisenzio che appartiene al Comune di Vernio.

Un castello di cui ancora si vedono gli avanzi — e più e meglio si vedevano un sessant’anni indietro, prima che la mano dell’uomo ne affrettasse la rovina — posa sul risalto di un poggio che scende a ostro dall’Appennino di Montepiano, a cavaliere di S. Quirico sulla sinistra, a valle, della Fiumenta.

Questo castello è Vernio, che dette il titolo ad una contea imperiale ed ora lo dà al Comune omonimo.

Da che l’etimologia di questo nome? Deriva forse tal parola dalla voce latina vernus — primaverile?

Esposte queste terre sul versante mediterraneo, vi spirano i caldi venti meridionali; vi si struggono presto le nevi, il clima non vi è tanto rigido, ed hanno molti vantaggi in fatto di temperatura sui monti della vicina [p. 14 modifica]Emilia, posti sul versante adriatico. Altri opinano che il nome di Vernio tragga le sue origini da Hiberna — quartieri d’inverno dei soldati romani.

Rimpetto al camposanto di Mercatale, al di là del fiume, vi ha un luogo detto «Le Bernie». Vuole la tradizione che ivi Manlio, seguace di Catilina, si fermasse alcun tempo, con un nucleo di armati, poco prima della battaglia di Campo di Tizzoro1. La temperatura vi è assai mite: le nevi vi si sciolgono presto: non poteavi essere un quartiere d’inverno per le milizie, onde uscire a fronteggiare le prossime popolazioni galliche?

La prima famiglia baronale che si vede dominare su Vernio è quella degli Alberti, famiglia a que’ tempi potentissima, che aveva feudi in tutta Toscana e da cui uscirono i fratricidi resi tristamente famosi dai roventi versi del Ghibellino fuggiasco.

Nel 1164, alla 2.ª dieta di Roncaglia, nell’epoca della maggiore potenza imperiale, Federico di Svevia cede in libera signoria, non in feudo, Vernio, al Conte Alberto degli Alberti da Prato.

Prese poi carattere feudale perchè l’accrescersi dei Comuni vicini e delle nascenti Democrazie consigliò gli Alberti, come tanti altri signorotti, a ripetere il loro libero dominio da quella autorità somma che era l’Imperatore, acquistandone così, secondo le idee di quei tempi, un diritto legale. E l’ingrandirsi della Repubblica Fiorentina, le sue ricchezze, il valore dei cittadini, le vittorie e più la sete di far sue tutte le terre vicine a guisa di Roma, opprimendo perciò i tirannelli, onde eran piene [p. 15 modifica]tutte le terre d’Italia, doveva aver incusso non poco timore agli Alberti.2

Nel secolo decimo troviamo negli annali nominati come signori di Vernio gli Alberti.

A Cavarzano però dominavano i Carolingi di Fucecchio, il cui potere si offuscò dinanzi alla potenza dei primi, e dopo il secolo decimo non vengono più ricordati, avendo essi ceduto il loro dominio feudale in questi paesi agli Alberti.

Questi perdettero alcun tempo il feudo per avere, stretti da necessità o da mutabile ingegno, favoreggiato i pontefici riconoscendone il dominio diretto, mentre fino allora erano stati ghibellini accaniti.

Per ragione del maritaggio tra Margherita degli Alberti e Benuccio Salimbeni i diritti feudali passarono in questa famiglia.

I Salimbeni erano una nobilissima famiglia senese, ancora esistente e degnamente rappresentata, scesa in Italia, a quanto narrano gli storici, coll’Imperatore Ottone I.3

Rimasta vedova Margherita, per la morte di Benuccio, ucciso a Torrenieri, Vernio fu venduto a Palla di Jacopo Strozzi e Chiavello di Boninsegna Macchiavelli, e per essi a Piero di Gualterotto de’ Bardi, valoroso e gentile cavaliere fiorentino, genero di Margherita, il quale entrò effettivamente in possesso del feudo nel gennaio del 1336. I Bardi erano una delle più potenti e più ricche famiglie di Firenze, grandi banchieri come i Peruzzi. [p. 16 modifica]

Il primo atto nel quale apparisce l’autorità imperiale a favore de’ Bardi è quello di Carlo IV, dato in Pietrasanta nel Luglio 1355. In esso si dichiarano Sozzo e gli altri figli di Pietro de’ Bardi, ed i loro discendenti in stirpem, Vicari Generali e speciali dell’Impero e del Re dei Romani. Vi si confermano le concessioni e i diplomi ottenuti da Federigo I e da Ottone IV.

Furono i Bardi gelosissimi dell’indipendenza del loro dominio, e la difesero a viso aperto talora, più spesso colla scaltrezza e il saper fare.4

Vediamo nella cronaca riguardante Vernio ed i Bardi, tralucere anche la losca figura del duca d’Atene, il quale nomina alcuni giureconsulti a giudicare di vertenze insorte tra i Conti Alberti ed i Bardi, e fa richiamar dall’esilio quel fierissimo Piero che tanto dovea contribuire poi alla sua ignominiosa cacciata.

Mantennero con varie sorti il dominio feudale di Vernio, ora espulsi per ribellione contro Firenze, ora in guerra, ora in pace con la patria città, quasi sempre in discordia coi feudatari vicini.

Nel 1482 Vernio fu assalito dalle bande armate di Sisto IV, e, nonostante lo difendesse bene Filippo de’ Bardi, pure il castello fu espugnato il 17 Luglio e dato al saccheggio e alla soldatesca licenza.

Quando, contro le armi di Carlo V e di papa Clemente, Firenze combattè con tanta gloriosa audacia e dovette soccombere al tradimento, all’immensa superiorità de’ nemici, alle civili discordie, i Bardi non parteggiarono per i nemici della patria.

Essi eransi assicurato il dominio feudale di Vernio, procurando di collegare il diploma di Federigo I [p. 17 modifica]concesso nel 1164 al Conte Alberto degli Alberti con quelli da essi ottenuti dall’Imperatore Carlo IV nel 1535.

Son celebri gli sforzi fatti da Leopoldo I per annettere alla Toscana il dominio di Vernio, ma il Consiglio Aulico decise esser questo sotto al dominio diretto del Sacro Romano Impero e perciò indipendente dal Granducato.

Cadde la dinastia de’ Bardi alla calata de’ Francesi in Italia. La rivoluzione francese tolse via quei principotti come molti e molti altri. Era il prodromo di quello che dovea succedere tredici lustri appresso: senonchè dalla servitù paesana si cadde allora nella servitù straniera e fu peggio....

«Beato te che il fato
A viver non dannò fra tanto orrore;
Che non vedesti in braccio
L’Itala moglie a barbaro soldato;
Non predar, non guastar cittadi e colti
L’asta inimica e il peregrin furore;
Non degl’Itali ingegni
Tratte l’opre divine a miseranda
Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti
Carri impedita la dolente via;
Non gli aspri cenni ed i superbi regni;
Non udisti gli oltraggi e la nefanda
Voce di libertà, che ne schernia
Fra il suon delle catene e de’ flagelli.»

Sarà forse pedanteria, ma ho voluto riportare questi versi del Leopardi, nella sua apostrofe a Dante, e che alludono appunto quei tempi.

Vi furono proconsoli che, come Verre in Sicilia, spazzarono da Vernio quasi tutto quello che vi era di buono.

Nel 1797 i francesi lo riunirono alla repubblica cisalpina e vi mandarono tra gli altri, come commissario, [p. 18 modifica]l’avvocato Raimondo Leoni da Poppi, che doveva ordinare il Distretto del Bisenzio. Costui, appoggiato alle baionette franco-polacche, volle imitar l’esempio del romano proconsole: si ricordò che Verre aveva ammassato tesori, goduto i piaceri della vita, gustate le delizie più care, vendendo la giustizia, conculcando ogni diritto, rubando a man salva per sè e pei suoi oro, argento, gioie, oggetti preziosi, statue bellissime di greco scalpello, dipinti stupendi.

L’alpestre vallata non offriva al Leoni quel che offriva a Verre la bella Trinacria baciata dalle onde ioniche, quel che gli offriva Siracusa bagnata dall’Anapo, coll’incantevole Ortigia, Siracusa giacente ora desolata madre d’un morto impero, sulle mine della quale mosse dall’aratro, oggi biondeggian le spighe5.

Nondimeno il Verre del Bisenzio fece del suo meglio per seguir l’orme del vecchio maestro. E gli uffici venduti; le sostanze pubbliche sprecate fra conviti, balli e piaceri; le donne sedotte ed altre cose della medesima stampa mostrano che, se avesse avuto luogo e tempi adatti alle estorsioni ed alle rapine, il cisalpino avrebbe di gran lunga superato il romano.6

Vernio, dipoi, fece parte del Regno Italico e nel 1811 fu annesso al dipartimento dell’Arno. Si stancarono le ali dell’Aquila francese, si oscurò l’astro napoleonico, e Vernio, crollato definitivamente il colosso, dopo l’impero dei cento giorni, fu per l’atto di recesso di Vienna, 9 Giugno 1815, unito al Granducato di Toscana.

Da questo tempo fino alla pacifica rivoluzione del 1859 [p. 19 modifica]e sino a noi, è corso per Vernio e per la vallata un periodo di quiete operosa e di progresso continuo, del quale si poterono avvantaggiare l’agricoltura e l’industria manifatturiera.

Note

  1. Sallustio. — Comenti di Atto Vannucci.
  2. V. Bardi Ferdinando. — Vita e morte di un feudo. — Firenze, 1882.
  3. Cenni genealogici della famiglia Salimbeni, favoritici dal C. Andrea, agronomo insigne vivente.
  4. Ferdinando Bardi, op. cit.
  5. Elegy. On the ruins of Syracuse inscribet. To Thomas Gargallo. Bi. Thomas Stewart.
  6. Vittorio Fedeli. Opera pia di S. Niccolò.