La signora dalle camelie (teatro)/Atto II/Scena quinta
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Traduzione dal francese di Luigi Enrico Tettoni (1883)
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SCENA QUINTA.
Nanetta, il Conte e detta.
Nanetta. Il signor conte. (Esce)
Margherita. Signor conte, v’aspettava.
Conte. (mostrandole l’orologio) M’avete pregato per le dieci e mezzo, e vedete che sono stato puntuale.
Margherita. Ve ne ringrazio.
Conte. Come vi sentite questa sera, o signora?
Margherita. Bene.
Conte. A dirvi la verità, qui comincio a respirare; per istrada fa un freddo del diavolo.
Margherita. Ma da qual luogo venite?
Conte. Vengo dal club dell’opera.
Margherita. Dal club? e che cosa si faceva quando partiste?
Conte. Quello che si fa sempre; si giuocava.
Margherita. E Saint-Gaudens perdeva?
Conte. Sì, una trentina di luigi; ma alle bestemmie che proferiva sembrava che avesse perduto un centinaio di mille franchi.
Margherita. Son quindici giorni che non lo veggo, dalla sera, cioè, che ha cenato qui con madamigella Olimpia.
Conte. Ah! ah! avete offerta una cena?
Margherita. A cinque de’ miei amici. Il signor Gastone de Rieux lo conoscete?
Conte. Sì.
Margherita. Il signor Armando Duval...
Conte. Chi è questo Duval?
Margherita. Un amico di Gastone; più la signora Duvernoy, la mia vicina. V’assicuro che abbiamo passato una brillante serata.
Conte. Ne sono certo, e se l’avessi saputo non sarei mancato. A proposito; v’era qualcuno da voi prima che io entrassi?
Margherita. Nessuno... Ma perchè una tale domanda?
Conte. Dirò; nel momento in cui scendeva dalla mia carrozza, un individuo s’è avvicinato, come per vedere ch’io mi fossi, e dopo avermi ben squadrato, si allontanò rapidamente.
Margherita. (Era Armando!) (Suona)
Conte. Abbisognate di qualche cosa?
Margherita. Mi sono dimenticata di dare un ordine alla mia cameriera. (Viene Nanetta) Perdonate. (Piano) Scendi abbasso, e senza far sembiante di nulla, assicurati se il signor Duval è partito.
Nanetta. Sì, signora. (Esce)
Conte. Signora Gautier, ho una nuova a darvi.
Margherita. E quale?
Conte. Gagouki si marita.
Margherita. Il vostro principe polacco?
Conte. Egli stesso.
Margherita. E chi sposa?
Conte. Indovinate.
Margherita. Se non me lo dite...
Conte. Sposa madamigella Adele Raton.
Margherita. Secondo me, madamigella Adele commette una grande bestialità.
Conte. Io anzi presumo il contrario.
Margherita. Ma, signor conte, si capisce che siete mal informato: il vostro polacco è rovinato, la sua riputazione non è delle più favorevoli, e se sposa la signora Adele, si è per godersi tranquillamente le quindicimila lire di rendita che la buon’anima di suo zio, morto in America, ha avuto la debolezza di lasciarle.
Conte. Sarà.
Nanetta. (entra e dice piano) È partito. (Esce)
Margherita. (Va bene) Ora è necessario parlare di cose serie, signor conte; io non vi ho mandato a cercare per discorrere delle novità galanti della nostra capitale; dobbiamo parlar d’affari.
Conte. Infatti il vostro biglietto conteneva press’a poco le stesse frasi.
Margherita. Ho voluto prevenirvene: io non contava che sopra di voi.
Conte. Ve ne ringrazio.
Margherita. Sapete che il prezzo della carta monetata è ribassato terrìbilmente?
Conte. Scherzate?
Margherita. No, e questo sarebbe il tempo di approfittarne... Avete del denaro sonante?
Conte. Per chi?
Margherita. Per me.
Conte. Avete bisogno di denaro?
Margherita. Sì, ma una miseria però: quindicimila lire.
Conte. Diavolo! la somma non è poi tanto piccola! Ma che cosa volete farne di tutto questo denaro?
Margherita. Sapete che ho dei debiti!...
Conte. Ah! vi siete dunque decisa a pagare i vostri creditori?
Margherita. Pare di sì.
Conte. Assolutamente?
Margherita. Ma sì.
Conte. Allora avrete i quindicimila franchi.
Nanetta. (entra) Signora, un commesso ha recata questa lettera per voi, dicendomi di rimettervela all’istante.
Margherita. Chi mai può scrivermi a quest’ora? (legge) Armando! che significa ciò? «Vi ho già detto, o signora, che la posizione del signor de Grieux nella Manon Lescaut mi avviliva, e che non avrei avuto la forza di sopportarla. Al momento in cui usciva dalla vostra casa, v’entrava il signor conte di Gray. Io non ho nè l’età, nè il carattere di Saint-Gaudens: il mio solo torto è quello di non esser milionario, perciò dimentichiamo d’averci conosciuti, e che per un istante abbiamo creduto di amarci. Quando riceverete questa lettera io avrò lasciato Parigi. — Armando.»
Nanetta. Il commesso attende la risposta.
Margherita. Ditegli che va bene e che non v’abbisogna risposta. (Nanetta esce) (Ecco un altro sogno svanito!... direi quasi ch’è una fatalità!)
Conte. Potrei sapere che cosa contiene quella lettera?
Margherita. Questa lettera, signor conte?... contiene una buona nuova per voi.
Conte. Davvero?
Margherita. Avete guadagnato quindicimila franchi.
Conte. Sarebbe la prima volta.
Margherita. Non ho più bisogno del vostro denaro.
Conte. Come! i vostri creditori vi concedono forse una proroga?
Margherita. No... io amava, ecco tutto.
Conte. Voi?
Margherita. Io stessa.
Conte. E chi amavate?
Margherita. Un uomo che mentiva... come succede tutti i giorni... un uomo che voleva morire per me, e che dopo quindici giorni mi lascia... Leggete. (gli dà la lettera).
Conte. (legge ridendo) Ah! ah! era il signor Armando Duval... Egli, a quello che sembra, è geloso di me! mi fa l’onore di credermi un vostro amante... Infatti v’è poca differenza di simpatia fra quello che impresta il suo denaro e quello che cerca di dissiparlo.
Margherita. Ritornate al club questa notte?
Conte. Sì.
Margherita. Ebbene, allora m’accompagnerete all’Opera. Ho bisogno di vedere il signor Gastone de Rieux... di prender dell’aria, perchè soffoco.
Conte. La cosa era dunque molto seria. Siete così agitata... Margherita. Oh! è nulla!... (suona, viene Nanetta) Dammi una sciarpa ed un cappello.
Nanetta. Quale, o signora?
Margherita. Quella che vorrai, purchè sia leggera.
Nanetta. La signora avrà freddo...
Margherita. No.
Nanetta. Debbo restare svegliata per aspettarvi?
Margherita. No... può darsi che non rientri che domani mattina. (escono).