La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXXII

Capitolo XXXXII

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Capitolo XXXXII.

Come ’l Re tenne consiglio del ritornare in Francia o del rimanere in Terra Santa, e come s’attenne al rimanere.


Tantosto appresso il Re fece appellare i suoi fratelli e ’l Conte di Fiandra, e tutti gli altri gran personaggi che avea con lui a certo giorno di domenica. E quando tutti furono presenti, egli loro [p. 169 modifica]disse: Signori, io v’ho fatto cherère per dire a voi delle novelle di Francia. Egli è vero che Madama la Reina mia madre mi ha mandato ch’io me ne venga frettolosamente, che ’l mio Reame è in grande periglio, perchè non ho pace nè tregua col Re d’Inghilterra. Ed egli è vero altresì che le genti di questa terra mi vogliono guardare dello andarmene, dicendo che s’io me ne vo, adunque la loro terra sarà perduta e distrutta, e ch’essi se ne verranno tutti appresso me. Pertanto vi prego che ci vogliate propensare, e che dentro otto giorni me ne rendiate risposta.

La domenica seguente tutti ci presentammo davanti ’l Re per donargli risposta di ciò ch’elli ci avea incaricato dirgli, intorno la sua andata, o la sua dimorata. E portò per tutti la parola Monsignore Messer Guido Malvicino, e disse così: Sire, i Monsignori vostri fratelli, e gli altri personaggi che qui sono, hanno riguardo al vostro Stato, ed hanno conoscenza che voi non avete punto podere di dimorare in questo paese all’onore di Voi ed al profitto del Reame vostro. Perchè in primiero luogo di tutti vostri Cavalieri che ammenaste in Cipri, di due mila ottocento, egli non ve ne è anche dimorato un centinaio. Per altra parte Voi non avete punto di abitazione in questa terra, ed altresì vostre genti non hanno punto nullo danaio. Perchè tutto considerato e propensato, tutti insieme vi consigliamo che Voi andiate in Francia a procacciare genti d’arme e danari, perchè rifornitovene possiate sollicitamente rivenire in questo paese per [p. 170 modifica]vendicanza prendervi degl’inimici di Dio e di sua Legge.

Quando il Re ebbe udito il consiglio di Messer Guido, egli non fu punto contento di ciò, anzi dimandò in particolare a ciascuno ciò che ben gli sembrava di questa materia, e primieramente al Conte d’Angiò, al Conte di Poitieri, al Conte di Fiandra, e agli altri gran personaggi, i quali erano davanti a lui, li quali tutti risposero ch’essi erano dell’opinione di Messer Guido Malvicino. Ma ben fu costretto il Conte di Giaffa, che aveva delle castella oltre mare di dire la sua opinione in questo affare; il quale, appresso il comandamento del Re, disse che la sua opinione era che, se il Re poteva tenere alloggiamento in campo, sarebbe stato di suo grande onore il dimorare, più che il ritornarsene così a maniera di vinto. Ed io ch’era a punto il quattordicesimo là assistente, risposi alla mia volta, che teneva l’opinione del Conte di Giaffa. E dissi per mia ragione, correr voce che ’l Re non aveva ancor messo nè impiegato alcun danaro di suo tesoro, ma che avea solamente dispeso quello de’ Maestri Cherci delle sue finanze; e che per ciò esso Re doveva inviare a cherère nei paesi della Morea e d’oltre mare, Cavalieri e genti d’armi a buon numero, e che quando s’udrà dire ch’egli largheggia di gaggi, avrà tantosto ricovrato genti da tutte parti, perchè potrà esso Re diliverare tanti poveri prigionieri, che sono stati presi al servigio di Dio e suo, che giammai non usciranno di lor prigioni s’egli se ne va senz’altro così. [p. 171 modifica]E sappiate che della mia opinione non fui io mica ripreso, ma molti si presero a piangere, perchè non ci avea guari colui, il quale non avesse alcuno de’ suoi parenti cattivo nelle prigioni de’ Saracini. Appresso me, Monsignor Guglielmo di Belmonte disse che la mia opinione era assai buona, e ch’e’ s’accordava a ciò ch’io avea detto. Appresso queste cose, e che ciascuno ebbe ordinatamente risposto, il Re fu tutto turbato per la diversità delle opinioni di suo Consiglio, e prese termine d’altri otto giorni per dichiarare ciò ch’elli ne vorrebbe fare. Ma ben dovete sapere, che quando noi fummo fuori della presenza del Re, ciascuno de’ Signori mi cominciò ad assalire, e mi diceva per dispetto ed invidia: Ah! certo il Re è folle, s’egli non crede a voi, Sire di Gionville, per di sopra tutto il Consiglio del Reame di Francia. Ed io me ne tacqui, e stetti chiotto e pacioso.

Tantosto le tavole furono messe per andare a mangiare. Aveva sempre il Re in costume di farmi sedere alla sua tavola, se i fratelli suoi non vi fussono, ed anche usava in mangiando dirmi sempre alcuna cosa. Ma in quell’ora unqua motto non mi sonò, nè volse il viso verso di me. Allora mi pensai ch’elli fusse mal contento di me, perciò che aveva detto ch’e’ non avea ancora dispeso di suo tesoro, e che ne dovea dispendere largamente. Ed in cosi, com’elli ebbe reso grazie a Dio appresso suo desinare, io m’era ritirato ad una finestra ferrata ch’era presso il capezzale del letto del Re, e teneva le braccia passate per le barricelle dell’inferrata [p. 172 modifica]tutto pensivo: e diceva in mio cuore ch’ove il Re se n’andasse a questa fiata in Francia, che io men’andrei verso il Principe d’Antiochia, il quale era di mio parentado. Ed in cosi com’io era in tale pensiero, il buon Re si venne ad appoggiare sulle mie spalle, e mi tenea la testa per di dietro alle sue due mani. Ed io feci stima che fusse Monsignor Filippo di Nemorso che m’avea fatto troppo di noia quella giornata per lo consiglio ch’io avea donato; e cominciai a dirgli: Lasciatemi in pace Messer Filippo, in mala avventura che vi colga. E tornai il viso, ed il Re mi vi passò sovra le mani, e tantosto io seppi bene ch’elle erano le mani del Re ad uno smeraldo che aveva al dito, e me ne ismossi confuso come colui ch’avea mal parlato. E il Re mi fece dimorare tutto chiotto e poi mi va a dire: Venite qua, Sire di Gionville, come siete voi stato sì ardito di consigliarmi, contro tutto il Consiglio dei grandi personaggi di Francia, voi che siete giovine uomo, che io deggia dimorare in questa terra? Ed io gli risposi, che s’io lo aveva ben consigliato, ed egli credesse al mio consiglio; se male, non vi credesse punto e lo rifiutasse. Allora elli mi domandò, s’egli dimorasse, s’io vorrei dimorare con esso lui: Ed io risposi, che si certamente, fosse ciò a mio spendio o all’altrui. Ed allora il Re mi disse che buon grado mi sapeva di ciò ch’io gli avea consigliato la dimoranza, ma che non lo dicessi a nessuno. Donde per tutta quella settimana io fui sì gioioso di ciò che m’avea detto, che nullo male più mi gravava, e mi difendeva arditamente contro gli altri Signori che [p. 173 modifica]me ne assalivano. E sappiate che l’uomo appella i paesani di quella terra Pullani1, e fu avvertito Messer Piero d’Avallone, che era mio cugino, che mi si dava per istrazio un siffatto appellativo, perch’io aveva consigliato al Re la sua dimora coi Pullani. Perchè esso mi mandò ch’io me ne difendessi contro i linguardi, e dicessi loro ch’io amava meglio esser Pullano che Cavalier ricreduto com’essi erano.

Passata la settimana e venuta l’altra domenica, tutti ritornammo di verso il Re, e quando noi fummo presenti, egli cominciò a segnarsi del segno della Croce, soggiugnendo che ciò era lo insegnamento di sua Madre, la quale gli aveva appreso che qualora volesse qualche parola dire ch’egli così facesse, ed invocasse lo aiuto di Dio e dello Spirito Santo; e tali furono le parole del Re: Signori, io ringrazio voi che mi avete consigliato d’andarmene in Francia, e parimente ringrazio voi che mi consigliaste ch’io dimorassi in questo paese. Ma mi sono dappoi avvisato che, quando io dimorassi, non per ciò il mio Reame ne sarebbe in maggior periglio, perchè Madama la Reina mia Madre ha assai genti per difenderlo; ed ho altresì avuto riguardo al detto dei Cavalieri di questo paese, i quali affermano, che s’io mi metto in via, il Reame di Gerusalemme sarà perduto, perciocchè non vi dimorerà nullo appresso la mia partenza. Pertanto ho io fatto stima che son qui venuto per guardare esso Reame di [p. 174 modifica]Gerusalemme dall’essere interamente conquiso, e non punto per lasciarlo perdere, talchè, Signori, io vi dico, che se v’ha tra voi tutti chi voglia dimorar meco, si dichiari arditamente, ed a questi io prometto che donerò tanto, che la coppa sarà loro non mia2, ed altresì facciano quelli che non vorranno dimorare, e dalla parte di Dio possano essi compiere il lor volere. Appresso queste parole, molti ce n’ebbe d’isbaìti, e che cominciarono a piangere a calde lagrime.

  1. Pullani erano detti i nati da padre Siriano e da donna Franca, o viceversa, quasi pullati, e non aventi puro sangue, ma misto.
  2. Ciò è a dire: ch’io farò passare alle mani loro tutto il mio tesoro.