La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXXI

Capitolo XXXXI

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Capitolo XXXXI.

Qui dice il conto come ’l Re sofferse disagio in nave, e come io ebbi in Acri molte tribolazioni.


Dovete anche sapere che sebbene il Re avesse sofferto molto di male, ancora quand’egli entrò nella sua nave, le genti sue non gli avevano niente apparecchiato, come di robbe, letto, sdraio, nè altro bene o conforto alcuno; ma gli convenne giacere per sei giorni sulle materassa, sino a ciò che fussimo in Acri. E non aveva il Re nullo abbigliamento che due robbe che il Soldano gli avea fatto tagliare, le quali erano di sciamito nero foderate di vajo e di piccol grigio, con bottoni d’oro a fusone. Immentre che noi fummo sovra mare e che andavamo in Acri, io mi sedeva sempre appresso il Re, perciò che era malato. Ed allora mi contò elli come era stato preso, e come avea poscia procacciato la sua redenzione e la nostra per lo aiuto di Dio. E similmente gli venni io contando come era stato [p. 167 modifica]preso sull’acqua, e come un Saracino m’avea salvato la vita: sul che il Re mi diceva che grandemente era tenuto a Nostro Signore, quando elli mi avea stratto di così greve pericolo. Ed intra l’altre cose il buon santo Re lamentava a meraviglia la morte del Conte d’Artese suo fratello, perchè un giorno domandò che facesse l’altro suo fratello il Conte d’Angiò, e si dolse ch’egli non gli tenesse mai altrimenti compagnia, tuttocchè elli fussono insieme in una galea. Rapportarono allora al Re ch’egli giucava alle tavole con Messer Gualtiero di Nemorso. E quand’ebbe ciò inteso, si levò egli, e, vagellando per la grande fievolezza di malattia, cominciò ad andare, e quando fu sopra loro, prese i dadi e le tavole, e tutto gittò in mare, e si corrucciò fortemente al fratello di ciò ch’egli s’era sì tosto preso a giucare ai dadi, e che altrimenti non gli sovvenìa più della morte di suo fratello il Conte d’Artese, nè de’ perigli da’ quali Nostro Signore graziosamente li aveva diliberati. Ma Messer Gualtiero di Nemorso ne fu il meglio pagato, perchè il Re gittò tutti i danari suoi ch’egli vide sul tavolieri, appresso i dadi e le tavole, in mare.

E qui diritta voglio io ben raccontare alcune grandi persecuzioni e tribolazioni che mi sovvennero in Acri, delle quali i due, in chi aveva perfetta fidanza, mi diliverarono; ciò furo Nostro Signore Iddio e la benedetta Vergine Maria. E ciò dico io a fine d’ismuovere coloro che l’intenderanno ad avere altresì perfetta fidanza in Dio, e pazienza nelle loro avversità e tribolazioni, ed elli [p. 168 modifica]àterà loro così come ha fatto a me molte fiate. Or dunque diciamo, siccome allora che ’l Re giunse in Acri quelli della cittade lo vennero ricevere sino alla riva del mare con loro processioni a gioia e passa gioia. E ben tosto il Re m’inviò cherère, e mi comandò espressamente, su quel tanto ch’io avea caro suo amore, ch’io dimorassi a mangiare con lui sera e mattina, sin ch’egli avesse avvisato se noi ne anderemmo in Francia, o dimoreremmo colà. Io fui alloggiato presso il Curato di Acri, là ove il Vescovo di detto luogo m’avea statuito lo alloggiamento, e là io caddi grievemente malato: e di tutte mie genti non mi rimase un valletto solo, chè tutti dimoraro al letto malati come me. E non ci avea anima che mi riconfortasse d’una sol volta a bere; e per meglio allegrarmi tutti i giorni io vedeva per una finestra ch’era nella mia camera, apportare ben venti corpi morti alla Chiesa per interrarli: e quando io ne udia cantare Libera me, mi prendea a plorare a calde lagrime, in gridando a Dio mercè, e che suo piacer fosse il guardar me e le mie genti di quella fiera pistolenza che vi regnava; e così graziosamente Egli fece.