La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione seconda/Capitolo sesto

Sezione seconda - Capitolo sesto - Gli altri corollari li quali si sono da principio proposti

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[CAPITOLO SESTO]

gli altri corollari li quali si sono da principio proposti


I

473Con tal primo nascere de’ caratteri e delle lingue nacque il gius, detto «ious» da’ latini, e dagli antichi grecii διαιον — che noi sopra spiegammo «celeste», detto da Διός; onde a’ latini vennero «sub dio» egualmente e «sub Iove» per dir «a ciel aperto» — e, come dice Platone nel Cratilo, poi per leggiadria di favella fu detto δικαιον. Perché universalmente da tutte le nazioni gentili fu osservato il cielo con l’aspetto di Giove, per riceverne le leggi ne’ di lui divini avvisi o comandi, che credevan essere gli auspici; lo che dimostra tutte le nazioni esser nate sulla persuasione della provvedenza divina.

474E ’ncominciandole a noverare, Giove a’ caldei fu ’l cielo, in quanto era creduto dagli aspetti e moti delle stelle avvisar l’avvenire, e ne furon dette «astronomia» e «astrologia» le scienze quella delle leggi e questa del parlare degli astri, ma nel senso d’«astrologia giudiziaria», come «chaldaei» per «astrolaghi giudiziari» restarono detti nelle leggi romane.

475A’ persiani egli fu Giove ben anco il cielo, in quanto si credeva significare le cose occulte agli uomini. Della qual scienza i sappienti se ne dissero «maghi», e restonne appellata «magia» cosí la permessa, ch’è la naturale delle forze occulte maravigliose della natura, come la vietata delle sopranaturali, nel qual senso restò «mago» detto per «istregone». E i maghi adoperavano la verga (che fu il lituo degli áuguri appo i romani) e descrivevano i cerchi degli astronomi; della qual verga e cerchi poi si sono serviti i maghi nelle loro stregonerie. Ed a’ persiani il cielo fu il tempio di Giove, con la qual religione Ciro rovinava i templi fabbricati per la Grecia. [p. 204 modifica]

476Agli egizi pur Giove fu ’l cielo, in quanto si credeva influire nelle cose sublunari ed avvisar l’avvenire; onde credevano fissare gl’influssi celesti nel fondere a certi tempi l’immagini, ed ancor oggi conservano una volgar arte d’indovinare.

477A’ greci fu anco Giove esso cielo, in quanto ne consideravano i teoremi e i materni altre volte detti, che credevano cose divine o sublimi da contemplarsi con gli occhi del corpo e da osservarsi (in senso di «eseguirsi») come leggi di Giove; da’ quai materni nelle leggi romane «mathematici» si dicono gli astrolaghi giudiziari.

478De’ romani è famoso il sopra qui riferito verso di Ennio:

Aspice hoc sublime cadens, quem omnes invocant Iovem,

preso il pronome «hoc», come si è detto, in significato di «coelum»; ed a’ medesimi si dissero «templa coeli», che pur sopra si sono dette le regioni del cielo disegnate dagli áuguri per prender gli auspici. E ne restò a’ latini «templum» per significare ogni luogo che da ogni parte ha libero e di nulla impedito il prospetto; ond’è «extemplo» in significato di «subito», e «neptunia tempia» disse il mare, con maniera antica, Virgilio.

479De’ Germani antichi narra Tacito ch’adoravano i loro dèi entro luoghi sagri, che chiama «lucos et nemora», che dovetter essere selve rasate dentro il chiuso de’ boschi (del qual costume durò fatiga la Chiesa per disavvezzargli, come si raccoglie da’ concili hanetense e bracarense nella Raccolta de‘ decreti lasciataci dal Buchardo), ed ancor oggi se ne serbano in Lapponia e Livonia i vestigi.

480De’ peruani si è truovato Iddio dirsi assolutamente «il Sublime», i cui templi sono, a ciel aperto, poggi ove si sale da due lati per altissime scale, nella qual altezza ripongono tutta la loro magnificenza. Onde dappertutto la magnificenza de’ templi or è riposta in una loro sformatissima altezza. La cima de’ quali troppo a nostro proposito si truova appresso Pausania dirsi ἀετός, che vuol dir «aquila»; perché si [p. 205 modifica] sboscavano le selve per aver il prospetto di contemplare donde venivano gli auspici dell’aquile, che volan alto piú di tutti gli uccelli. E forse quindi le cime ne furon dette «pinnae templorum», donde poi dovettero dirsi «pinnae murorum», perché sui confini di tali primi templi del mondo dopo s’alzarono le mura delle prime cittá, come appresso vedremo. E finalmente in architettura restaron dette «aquilae» i «merli» ch’or diciamo degli edifici.

481Ma gli ebrei adoravano il vero Altissimo, eli’ è sopra il cielo, nel chiuso del tabernacolo; e Mosè, per dovunque stendeva il popolo di Dio le conquiste, ordinava che fussero bruciati i boschi sagri, che dice Tacito, dentro i quali si chiudessero i «luci».

482Onde si raccoglie che dappertutto le prime leggi furono le divine di Giove. Dalla qual antichitá dev’essere provenuto nelle lingue di molte nazioni cristiane di prender «il cielo» per «Dio»; come noi italiani diciamo «voglia il cielo», «spero al cielo», nelle quali espressioni intendiamo «Dio». Lo stesso è usato dagli spagnuoli; e i francesi dicono «bleu» per l’«azzurro», e perché la voce «azzurro» è di cosa sensibile, dovetter intendere «bleu» per «lo cielo»; e quindi, come le nazioni gentili avevano inteso «il cielo» per «Giove», dovettero i francesi per «lo cielo» intendere «Dio» in quell’empia loro bestemmia «moure bleu!» per «muoia Iddio!», e tuttavia dicono «parbleu!», «per Dio!». E questo può esser un saggio del Vocabolario mentale proposto nelle Degnitá, del quale sopra si è ragionato.

II

483La certezza de’ domini fece gran parte della necessitá di ritruovar i «caratteri» e i «nomi» nella significazione natia di «case diramate in molte famiglie», che con la loro somma propietá si appellarono «genti». Cosi Mercurio Trimegisto, carattere poetico de’ primi fondatori degli egizi, quale l’abbiam dimostrato, ritruovò loro e le leggi e le lettere. Dal qual [p. 206 modifica] Mercurio, che fu altresi creduto dio delle mercatanzie, gl’italiani (la qual uniformitá di pensare e spiegarsi, fin a’ nostri di conservata, dee recar maraviglia) dicono «mercare» il contrasegnare con lettere o con imprese i bestiami o altre robe da mercantare, per distinguere ed accertarne i padroni.

III

484Queste sono le prime origini dell’imprese gentilizie e quindi delle medaglie. Dalle qual’imprese, ritruovate prima per private e poi per pubbliche necessitá, vennero per diletto l’imprese erudite, le quali, indovinando, dissero «eroiche», le quali bisogna animare co’ motti, perché hanno significazioni analoghe: ove l’imprese eroiche naturali lo erano per lo stesso difetto de’ motti e, sí, mutole parlavano; ond’erano in lor ragione l’imprese ottime, perché contenevano significazioni propie, quanto tre spighe o tre atti di falciare significavano naturalmente «tre anni». Dallo che venne «caratteri» e «nomi» convertirsi a vicenda tra loro, e «nomi» e «nature» significare lo stesso, come l’uno e l’aítro sopra si è detto.

485Or, faccendoci da capo all’imprese gentilizie, ne’ tempi barbari ritornati le nazioni ritornarono a divenir mutole di favella volgare. Onde dalle lingue italiana, francese, spagnuola o di altre nazioni di quelli tempi non ci è giunta niuna notizia affatto, e le lingue latina e greca si sapevano solamente da’ sacerdoti; talché da’ francesi si diceva «clerc» in significazione di «letterato», ed allo ’ncontro dagl’italiani, per un bel luogo di Dante, si diceva «laico» per dir «uomo che non sapeva di lettera». Anzi tra gli stessi sacerdoti regnò cotanta ignoranza, che si leggono scritture sottoscritte da’ vescovi col segno di croce, perché non sapevano scrivere i propi lor nomi; e i prelati dotti anco poco sapevano scrivere, come la diligenza del padre Mabillone nella sua opera De re diplomatica dá a veder intagliate in rame le sottoscrizioni de’ vescovi e arcivescovi agli atti de’ concili di que’ tempi barbari, le quali s’osservano scritte con lettere piú informi e brutte di quelle che scrivono gli piú [p. 207 modifica] indotti idioti oggidí. E pure tali prelati erano per lo piú i cancellieri de’ reami d’Europa, quali restarono tre arcivescovi cancellieri dell’Imperio per tre lingue (ciascheduno per ciascheduna): tedesca, francese ed italiana; e da essi, per tal maniera di scrivere lettere con tali forme irregolari, dev’essere stata detta la «scrittura cancellaresca». Da sí fatta scarsezza per una legge inghilese fu ordinato che un reo di morte il quale sapesse di lettera, come eccellente in arte, egli non dovesse morire; da che forse poi la voce «letterato» si stese a significar «erudito».

486Per la stessa inopia di scrittori, nelle case antiche non osserviamo parete ove non sia intagliata una qualche impresa. Altronde, da’ latini barbari fu detta «terrae presa» il podere co’ suoi confini, e dagl’italiani fu detto «podere» per la stessa idea onde da’ latini era stato detto «praedium»; perché le terre ridutte a coltura furono le prime prede del mondo, e furono i fondi detti «mancipia» dalla legge delle XII Tavole, e detti «praedes» e «mancipes» gli obbligati in roba stabile, principalmente all’erario, e «iura praediorum» le servitú che si dicon «reali». Altronde dagli spagnuoli fu detta «prenda» l’«impresa forte», perché le prime imprese forti del mondo furono di domare e ridurre a coltura le terre; che si truoverá essere la maggiore di tutte le fatighe d’Ercole. L’impresa, di nuovo, agl’italiani si disse «insegna» in concetto di «cosa significante» (onde agli stessi venne detto «insegnare»); e si dice anco «divisa», perché l’insegne si ritruovarono per segni della prima division delle terre, ch’erano state innanzi, nell’usarle, a tutto il gener umano comuni; onde i termini, prima reali, di tali campi, poi dagli scolastici si presero per termini vocali, o sia per voci significative, che sono gli estremi delle proposizioni. Qual uso appunto di termini hanno appo gli americani, come si è veduto sopra, i geroglifici, per distinguere tra essolor le famiglie.

487Da tutto ciò si conchiude che all’insegne la gran necessitá di significare ne’ tempi delle nazioni mutole dovette esser fatta dalla certezza de’ domini. Le quali poi passarono in insegne [p. 208 modifica] pubbliche in pace; onde vennero le medaglie, le quali appresso, essendosi introdutte le guerre, si truovarono apparecchiate per l’insegne militari, le quali hanno il primiero uso de’ geroglifici, faccendosi per lo piú le guerre fra nazioni di voci articolate diverse e ’n conseguenza mute tra loro. Le quali cose tutte qui ragionate, a maraviglia ci si conferma esser vere da ciò: che, per uniformitá d’idee, appo gli egizi, gli antichi toscani, romani e gl’inghilesi, che l’usano per fregio della lor arma reale, si formò questo geroglifico, appo tutti uniforme: un’aquila in cima ad uno scettro, ch’appo queste nazioni, tra loro per immensi spazi di terre e mari divise, dovette egualmente significare ch’i reami ebbero i loro incominciamenti da’ primi regni divini di Giove in forza de’ di lui auspici. Finalmente, essendosi introdutti i commerzi con danaio coniato, si ritruovarono le medaglie apparecchiate per l’uso delle monete, le quali, dall’uso di esse medaglie, furon dette «monetae» a «monendo» appresso i latini, come dall’insegne fu detto «insegnare» appresso gl’italiani. Cosi da νόμος venne νόμισμα, lo che ci disse Aristotile; e indi ancor forse venne detto a’ latini «numus», ch’i migliori scrivono con un «m»; e i francesi dicono «loy» la legge ed «aloy» la moneta; i quali parlari non possono altronde essere provenuti che dalla «legge» o «diritto», significato con geroglifico, ch’è l’uso appunto delle medaglie. Tutto lo che a maraviglia ci si conferma dalle voci «ducato», detto a «ducendo», ch’è propio de’ capitani; «soldo», ond’è detto «soldato»; e «scudo», arma di difesa, ch’innanzi significò il fondamento dell’armi gentilizie, che dapprima fu la terra colta di ciascun padre nel tempo delle famiglie, come appresso sará dimostro. Quindi devon aver luce le tante medaglie antiche, ove si vede o un altare, o un lituo, ch’era la verga degli áuguri con cui prendevan gli auspici, come si è sopra detto, o un treppiedi, donde si rendevan gli oracoli, ond’è quel motto «dictum ex tripode», «detto d’oracolo».

488Della qual sorte di medaglie dovetter esser l’ale, ch’i greci nelle loro favole attaccarono a tutti i corpi significanti ragioni d’eroi fondate negli auspici. Come Idantura, tra gli geroglifici [p. 209 modifica] reali co’ quali rispose a Dario, mandò un uccello; e i patrizi romani, in tutte le contese eroiche le quali ebbero con la plebe (come apertamente si legge sulla storia romana), per conservarsi i loro diritti eroici, opponevano quella ragione: «auspicio esse sua». Appunto come nella barbarie ricorsa si osservano l’imprese nobili caricate d’elmi con cimieri che si adornano di pennacchi, e nell’Indie occidentali non si adornano di penne ch’i soli nobili.

IV

489Cosi quello che fu detto «Ious», Giove, e, contratto, si disse «Ius», prima d’ogni altro dovette significare il grascio delle vittime dovuto a Giove, conforme a ciò che se n’è sopra detto. Siccome nella barbarie ricorsa «canone» si disse e la legge ecclesiastica e ciò che paga l’enfiteuticario al padrone diretto, perocché forse le prime enfiteusi s’introdussero dagli ecclesiastici, che, non potendo essi coltivargli, davano i fondi delle chiese a coltivar ad altrui. Con le quali due cose qui dette convengono le due dette sopra: una de’ greci, appo i quali νόμος significa la legge e νόμισμα la moneta; l’altra de’ francesi, i quali dicono «loy» la legge ed «aloy» la moneta. Alla stessa fatta e non altrimente, quel fu detto «Ious optimus» per «Giove fortissimo», che per la forza del fulmine diede principio all’autoritá divina nella primiera sua significazione, che fu di «dominio», come sopra abbiam detto, perocché ogni cosa fusse di Giove.

490Perché quel vero di metafisica ragionata d’intorno all’ubiquitá di Dio, ch’era stato appreso con falso senso di metafisica poetica:

... Iovis omnia plena,

produsse l’autoritá umana a quelli giganti ch’avevano occupato le prime terre vacue del mondo, nello stesso significato di «dominio», che ’n ragion romana restò certamente detto «ius optimum»; ma nella sua significazione nativa, assai diversa [p. 210 modifica] da quella nella quale poi restò a’ tempi ultimi. Perocché nacque in significazione nella quale, in un luogo d’oro dell’orazioni, Cicerone il diffinisce «dominio di roba stabile, non soggetto a peso, non sol privato, ma anche pubblico», detto «ottimo» — estimandosi il diritto della forza, conforme ne’ primi tempi del mondo si truoverá — nello stesso significato di «fortissimo», perocché non fusse infievolito da niuno peso straniero. Il qual dominio dovett’essere de’ padri nello stato delle famiglie, e ’n conseguenza il dominio naturale, che dovette nascere innanzi al civile; e, delle famiglie poi componendosi le cittá sopra tal dominio ottimo, che in greco si dice δίκαιον αρισος, elleno nacquero di forma aristocratica, come appresso si truoverá. Dalla stessa origine, appo i latini, dette repubbliche d’ottimati si dissero anco «repubbliche di pochi», perché le componevano que’

... pauci quos aequus amavit
Iupiter.

E gli eroi nelle contese eroiche con le plebi sostenevano le loro ragioni eroiche con gli auspici divini; e ne’ tempi muti le significavano con l’uccello d’Idantura, con le ale delle greche favole; e con lingua articolata finalmente i patrizi romani, dicendo «auspicia esse sua».

491Perocché Giove co’ fulmini, de’ quali sono i maggiori auspici, aveva atterrato e mandato sotterra entro le grotte de’ monti i primi giganti, e con atterrargli aveva loro dato la buona fortuna di divenire signori de’ fondi di quelle terre ove nascosti si ritruovaron fermati, e ne provennero signori nelle prime repubbliche; per lo qual dominio ogniuno di essi si diceva «fundus fieri» invece di «fieri auctor». E delle loro private autoritá famigliari, dappoi unite, come appresso vedremo, se ne fece l’autoritá civile ovvero pubblica de’ loro senati eroici regnanti, spiegata in quella medaglia (che si osserva si frequente tra quelle delle repubbliche greche appo il Golzio) che rappresenta tre cosce umane le quali s’uniscono nel centro e con le piante de’ piedi ne sostengono la circonferenza; che [p. 211 modifica] significa il dominio de’ fondi di ciascun orbe o territorio o distretto di ciascuna repubblica, ch’or si chiama «dominio eminente», ed è significato col geroglifico d’un pomo ch’oggi sostengono le corone delle civili potenze, come appresso si spiegherá. Significato fortissimo col «tre» appunto, [poiché i greci solevano usare i superlativi col numero del «tre»], come parlan ora i francesi; con la qual sorta di parlare fu detto il fulmine trisulco di Giove, che solca fortissimamente l’aria (onde forse l’idea di «solcare» fu prima di quello in aria, dipoi in terra, e per ultimo in acqua); fu detto il tridente di Nettunno, che, come vedremo, fu un uncino fortissimo da addentare o sia afferrare le navi; e Cerbero detto trifauce, cioè d’una vastissima gola.

492Le quali cose qui dette dell’imprese gentilizie sono da premettersi a ciò che de’ lor principi si è ragionato in quest’opera la prima volta stampata; ch’è ’l terzo luogo di quel libro per lo quale non ci ’ncresce per altro d’esser uscito alla luce.

V

493In conseguenza di tutto ciò, da queste lettere e queste leggi che truovò Mercurio Trimegisto agli egizi, da questi «caratteri» e questi «nomi» de’ greci, da questi «nomi» che significano e «genti» e «diritti» a’ romani, gli tre principi della lor dottrina, Grozio, Seldeno, Pufendorfio, dovevan incominciar a parlare del diritto natural delle genti. E si dovevano con intelligenza spiegarla co’ geroglifici e con le favole, che sono le medaglie de’ tempi ne’ quali si fondarono le nazioni gentili; e sí accertarne i costumi con una critica metafisica sopra essi autori delle nazioni, dalla quale doveva prendere i primi lumi questa critica filologica sopra degli scrittori, i quali non provennero che assai piú di mille anni dopo essersi le nazioni fondate.